Cosenza, quando lo storytelling sconfigge anche la morte (di Chiamatemi Ismaele)

di Chiamatemi Ismaele

Il fuoco distrugge ogni cosa, salvo una favola ben costruita. I tre morti di ieri, bruciati nel rogo della città vecchia, sono vite annullate dall’assenza di un qualunque sistema di difesa sociale e dal destino di abbandono che assedia il centro storico e nemmeno i loro spettri riescono a scalfire l’idea di “città bellissima” che abilmente è stata costruita nei tempi recenti. Potere dello storytelling, che altro non è che il racconto egemone dei fatti, una sorta di “realtà aumentata” che annienta ogni altro punto di vista.

Merito certamente dell’abilità narrativa del sindaco Occhiuto, che per primo e meglio di altri politici in Calabria ha colto l’importanza dei social, dell’occupazione capillare degli spazi di comunicazione che vengono erroneamente immaginati “dal basso” e perciò democratici, perfetti per consolidare il già grande consenso.

Dentro questo meccanismo anche la durezza dei fatti, che una volta venivano definiti “ostinati”, si stempera di fronte all’efficacia affabulatoria del narratore. Nemmeno la morte, il fatto più incontrovertibile, riesce a restare tema di discussione. Essa viene sconfitta non dalla promessa cristiana, ma dall’efficacia dell’offensiva mediatica che sommerge, offusca, distrae.

Chi rammenta la proposta dell’amministrazione di candidare Cosenza come capitale della cultura? Ebbene è avvenuta un anno prima della chiusura della Biblioteca civica, della cancellazione di uno straordinario patrimonio pubblico di saperi e storie che però stava già agonizzando da tempo nel disinteresse dell’amministrazione, quest’ultima assai attratta dall’idea, tutta virtuale ma foriera di appalti, di dare vita a un museo costruito sul mito del barbaro Alarico. Che è come dire: i libri veri vadano al macero, i manoscritti preziosi vadano in fiamme, noi faremo un museo inventato. Ma questo è un fatto già vecchio.

Più recente è invece la morte di un operaio – presumibilmente assunto in nero –  avvenuta sul cantiere del magnifico ponte di Calatrava, costruito con finanziamenti pubblici e cancellata dalla valanga di selfie, anche istituzionali, che non mancavano di sorrisi e inopportuna allegria.

Il duello impari tra realtà e fantasia continua nella caparbia volontà della città vecchia di non voler crollare tutta d’un colpo, resistendo alla colpevole distrazione e venendo giù poco per volta, mentre nel frattempo la favola bella della città europea si arricchisce della nuova promessa di canoe e battelli sulle scarse o qualche volta impetuose acque del Crati e del Busento. A tutto ciò non manca un festoso plauso, perché a tutti piace credere a progetti incantatori.

E’ come guardare le cose attraverso una lente che magnifica l’immagine, una visione scremata da ogni intollerabile imperfezione. Davanti a questa lente la realtà si trasfigura, il punto focale dell’attenzione si sposta, ciò che è materiale viene sostituito dall’immateriale, l’oggettività dalla potenza evocativa dell’immaginazione, la consapevolezza dalle emozioni irrazionali, generatrici di diffuso consenso, perché “Quando un cane si mette ad abbaiare ad un’ombra – diceva Cioran –  mille cani ne fanno una realtà”.