Cosenza: Luberto, il porto delle nebbie e i palazzi a due passi dal carcere

Granieri e Luberto, due nomi due garanzie

Oggi ritorniamo a fare luce sulle tante nefandezze del magistrato Vincenzo Luberto, uno degli “intoccabili” più discussi e chiacchierati, incredibilmente ancora “braccio destro” del procuratore Gratteri a Catanzaro e – secondo molti – la sua vera palla (di piombo) al piede, a causa dei suoi rapporti di lobby con la feccia della massoneria deviata calabrese. Questa storia risale a sette anni fa ma è ancora molto viva nella memoria dei cosentini.

Nel corso del 2011 la procura di Cosenza ha in corso una importante indagine relativa alla costruzione di una serie di palazzi per civili abitazioni nei pressi del carcere di Cosenza. Si tratta di edificazioni, con contributi della Regione Calabria a fondo perduto nella misura del 50% in base alla legge regionale fatta approvare dalla solita lobby masso-politico-mafiosa che comanda la Regione da decenni. Siamo nel campo della cosiddetta “edilizia sociale”, della quale ci siamo abbondantemente occupati nel corso di questi anni.

In questo palazzo alcuni appartamenti, ancora intestati al costruttore, sono in effetti di proprietà di altri e in modo particolare si sussurra di persone molto vicine al magistrato Vincenzo Luberto (e che ve lo dico a fare?), a Manuela Morrone (figlia giudice del politico Ennio) e Stefano Dodaro (marito poliziotto di Manuela), che in pratica fanno da prestanome.

Il cantiere, in particolare, viene posto sotto sequestro dalla procura di Cosenza il 9 giugno 2011. Si tratta del cantiere della cooperativa Nova Casa, posto proprio di fronte al carcere di Cosenza, dove si stavano costruendo immobili a ridosso delle mura della casa circondariale. Tre persone finiscono nel registro degli indagati: sono il legale responsabile della cooperativa Rocco Filippelli, il progettista della struttura Antonio Coscarella e Sabina Barresi, dirigente del settore Pianificazione del territorio del Comune di Cosenza. La funzionaria del Comune è accusata di aver rilasciato il permesso edilizio in violazione degli strumenti urbanistici vigenti.

Il sequestro è nato da una segnalazione dell’amministrazione penitenziaria di Cosenza, che denunciava l’insicurezza del cantiere a ridosso del carcere. Troppo vicino alla casa di restrizione e troppo altro il rischio di fare rilievi fotografici, di comunicare con i detenuti o addirittura di lanciare oggetti all’interno del cantiere, con la gru che addirittura sporge sul muro del carcere. Insomma, una sorta di caso-limite.

La cosa poi è apparsa ancora più strana perché anche un’altra richiesta di un’altra impresa lì vicino era stata respinta con tanto di motivazione di inedificabilità e invece per questo palazzo tutto procedeva “normalmente” nonostante gli stessi intoppi e la cooperativa aveva anche proceduto a chiedere i finanziamenti alla Regione. Le indagini, svolte dalla Guardia di Finanza, sono state coordinate dal procuratore capo Dario Granieri e dall’aggiunto Domenico Airoma e la puzza di bruciato si sente fino a Campagnano. 

Ovviamente, si trattava della solita “sceneggiata” del porto delle nebbie, perché nel giro di meno di un mese quel sequestro verrà clamorosamente annullato e le chiavi del palazzo sono tornate alla cooperativa Nova Casa. I lavori ripartono e gli appartamenti con vista sul carcere verranno regolarmente realizzati come da programma.

I giudici del Tribunale della Libertà (presidente: Gianfranco Grillone; a latere: Vincenzo Lo Feudo e Claudia Pingitore, sì proprio lei ovvero uno dei peggiori elementi del porto delle nebbie) hanno revocato il sequestro preventivo del cantiere.

L’impresa, a parere del Riesame, non avrebbe violato alcun vincolo. Neppure quello dell’assoluta inedificabilità delle aree immediatamente a ridosso della casa circondariale. Divieto che i giudici del riesame definiscono «di dubbia efficacia». E ciò perché la casa circondariale, nelle carte del Comune, risulta in fase di delocalizzazione (!!!), quando sappiamo bene che sono passati ormai otto anni e che il carcere (a meno che non sia sparito stanotte…) è sempre al suo posto.

Nell’attesa che ciò accada (sic !) le betoniere sono tornate a funzionare nel cantiere a ridosso del penitenziario con il successo delle tesi difensive esposte dagli avvocati Franz Caruso (altro amico degli amici, e che ve lo dico a fare?) e Fabio Saitta, legali del costruttore, Rocco Filippelli.

Il porto delle nebbie aveva aperto il fascicolo – come accennato – dopo la segnalazione del capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria italiana. Il funzionario si diceva seriamente preoccupato per «l’intervento edilizio che provoca ripercussioni negative in termini di sicurezza all’interno del carcere». Il responsabile nazionale del Dap nel documento faceva anche riferimento a «comunicazioni fraudolente con i detenuti, rilievi fotografici non autorizzati» oltre, ovviamente, a temere possibili azioni di tipo militare. Il Tdl però eccepiva: «La indubbia situazione di allarme non consente di ipotizzare la sussistenza di una o più ipotesi criminose. Essa pare, piuttosto, la conseguenza di una sorta di “scarto” tra previsioni programmatiche e realtà fattuale, “scarto” a sua volta addebitabile al mancato coordinamento tra amministrazioni portatrici di interessi non sempre convergenti e, nel caso di specie, evidentemente inconciliabili». Capito che storia?

Ma il bello deve ancora arrivare e naturalmente si tratta di particolari che mai sono stati riportati da nessun media. La situazione si sblocca per un particolare decisivo: accade che durante l’indagine viene intercettato anche il solito magistrato Luberto che parla con il costruttore e un avvocato e dà consigli su come predisporre il ricorso per l’annullamento del sequestro. Pari pari quelli che poi saranno tirati fuori dai giudici compiacenti, soprattutto Grillone e Pingitore. Il procuratore Granieri sulle prime chiede spiegazioni all’allievo del suo “principale” ovvero Spagnuolo, poi si mette sull’attenti ed esegue gli ordini, mollando definitivamente la presa.

La vicenda, infine, approda in Cassazione, e si conclude, in perfetto stile porto delle nebbie, con la sentenza favorevole per gli imputati in quanto il ‘fatto non sussite’. Non vi sarebbe stato alcun tipo di violazione della legge urbanistica. Tutto risulterebbe essere regolare. Così come l’accesso al carcere da parte degli agenti di polizia penitenziaria non sarebbe affatto ostacolato dalla presenza dei due edifici. Coscarella, Filippelli e Barresi sono stati quindi assolti, i palazzi ora sono regolarmente abitati (anche se spesso ci si lamenta del fatto che la monnezza del carcere viene depositata all’interno dei palazzi…) e Luberto e i suoi amici hanno “piazzato” tutto quello che dovevano piazzare. E le stelle, come al solito, sono rimaste a guardare…