Cosenza. ‘Ndrangheta al Comune. Mazzuca avvicinato da un emissario dei clan

A Bari, Torino, Palermo, Napoli, Tropea, Rende, e in molte altre città e paesi italiani il voto di scambio e le infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione sono considerate un reato. E non ci sarebbe nessun bisogno di sottolinearlo, lo dice il nostro Codice Penale, se non fosse per la necessità di porre un paragone con quello che succede nella nostra Cosenza. Le inchieste condotte dalle procure di Bari, Torino, Palermo, Napoli e Catanzaro di questi ultimi mesi hanno ancora una volta evidenziato la vulnerabilità dello stato alle infiltrazione mafiose, e l’antico vizio dei politici di comprare i voti. Un “modo di fare politica” che tutti gli italiani conoscono. Il voto di scambio e le infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazioni sono un problema che riguarda tutti i comuni italiani, dal profondo nord al profondo sud. L’unica distinzione che si può fare è quella tra le amministrazioni che resistono e si oppongono alle infiltrazioni mafiose, e quelle che si lasciano infiltrare.

Tutto dipende sempre dalle “qualità” etiche e morali dei politici che eleggiamo. E come tutti sanno, in questo sistema corrotto, ad essere eletti sono quasi sempre i politici intrallazzati che usano il “bene comune” come merce di scambio per acquistare consenso. Diventa inutile, perciò, aspettarsi, da chi disprezza la democrazia al punto tale da offenderla con il voto di scambio, una gestione della cosa pubblica incentrata sugli interessi dei cittadini. Questo lo capisce anche un criceto. Se dopo ogni tornata elettorale assistiamo al ripetersi del solito “magna magna”, la colpa è anche di chi vende il proprio voto per un misero compenso. E non può essere il bisogno a giustificare la svendita della democrazia e della libera partecipazione. Esiste anche la dignità che, per chi ce l’ha, ricco o povero che sia, non è mai in vendita. Dignità che sicuramente manca ai politici mafiosi che sfruttano la miseria altrui per bramosie di potere e denaro. E la conclusione non può che essere questa: chi ha colpa del suo male pianga se stesso.

La “paura”, dunque, di essere infiltrati, appartiene a tutte le pubbliche amministrazioni, e Cosenza non fa eccezione a questo. In Italia tutti gli amministratori devono tenere sempre gli occhi aperti, vigilare e segnalare all’autorità giudiziaria ogni eventuale accenno di presenza mafiosa nella pubblica amministrazione. Ciò che rende, però, unica e diversa Cosenza dalle altre città italiane, è la capacità della potente cupola massomafiosa che governa la città, di rendere tutto normale, anche il voto di scambio e le infiltrazioni mafiose, che come si sa da noi si consumano alla luce del sole. Se nel resto del paese qualcosa, quando si indaga sul voto di scambio e sulle infiltrazioni mafiose, succede, a Cosenza puoi anche “immortalare” politici che incontrano mafiosi a danno della pubblica amministrazione, che non succede mai niente.

Cosenza è, e deve restare, un’isola felice dove la massomafia deve poter riciclare montagne di denaro senza essere disturbata. La ‘ndrangheta e la corruzione a Cosenza, anche se tutti la vedono, tutti devono dire che non esiste. A cominciare dai magistrati e dai politici. Ovvero i principali difensori del “Sistema Cosenza”. Se si scoprisse che le istituzioni in città sono infiltrate dalla ‘ndrangheta e piene di corrotti, il banco dell’isola felice salterebbe. E addio ai milioni del riciclaggio. Cosenza gode di coperture ad altissimi livelli.

Che la ’ndrangheta è di casa a Palazzo dei Bruzi da molto tempo, è cosa risaputa. I clan si sono sempre dati da fare con la pubblica amministrazione. Anche se per i magistrati le infiltrazioni mafiose esistono solo a Castrolibero e Rende, a Cosenza questo odioso fenomeno, per loro, non si è mai manifestato. Nonostante sia sotto gli occhi di tutti il viavai di mafiosi e corruttori per gli uffici comunali. Traffico che continua ancora oggi con l’amministrazione guidata dall’avvocato penalista Franz Caruso. I clan, che tutti conoscono ma che nessuno mai indica, nella casa comunale, c’erano prima e ci sono anche oggi. E continuano tranquillamente a gestire, senza sborsare un euro, buona parte del patrimonio pubblico e ad imporre ditte amiche negli appalti pubblici. Di tutto questo esistono prove e riscontri in mano alla solita magistratura che più che intervenire, come fanno i loro colleghi in altre città, preferisce far finta di niente. Voltarsi dall’altra parte per nascondere l’evidenza, è la sola cosa che riescono a fare.

Ma a nascondere la presenza dei clan in Comune non sono solo i magistrati, anche il sindaco Franz Caruso e il presidente del consiglio comunale Giuseppe Mazzuca. Entrambi hanno taciuto alla città e alla autorità giudiziaria gravi episodi di infiltrazione mafiosa avvenuti nella pubblica amministrazione. E lo dimostra il fatto che Mazzuca ha deciso di presentarsi davanti alla polizia giudiziaria per raccontare tutto, solo dopo essere venuto a conoscenza di una nostra inchiesta, presentata in “anteprima” all’autorità giudiziaria, dove emerge chiaramente un episodio di “avvicinamento” alla sua persona, avvenuto nel suo ufficio, di un emissario dei clan. Aggiungendo al nostro episodio, altri episodi di “avvicinamento” avvenuti mesi prima. Una evidente mossa per pararsi il culo a sgamo avvenuto. Perché Mazzuca ha aspettato mesi per denunciare questi gravi episodi? Avrebbe dovuto denunciare subito, cinque secondi dopo aver ricevuto il messaggio dall’emissario del boss, tutto all’autorità giudiziaria, invece si reca presso l’autorità giudiziaria solo dopo aver appreso della nostra inchiesta. Ovviamente di tali episodi era informato anche il sindaco che come Mazzuca non ha mai informato l’autorità giudiziaria.

Sollecitato dalla nostra inchiesta Mazzuca ha raccontato agli investigatori, per oltre due ore davanti alle telecamere della polizia scientifica, di essere stato avvicinato nel suo ufficio, in più occasioni e mesi prima dalla data (recente) della sua testimonianza, da un emissario dei clan che lo invitava a seguirlo in un bar cittadino per incontrare un noto esponente di spicco della ‘ndrangheta locale. Una testimonianza che conferma la nostra inchiesta, e giustifica i nostri interrogativi. Se Mazzuca racconta agli investigatori di essere stato avvicinato mesi prima dall’emissario dei clan nel suo ufficio e di aver informato dell’accaduto il sindaco, la domanda sorge spontanea: come mai hanno aspettato i risultati della nostra inchiesta per denunciare questi episodi alla polizia giudiziaria?

Insomma è da tempo che ambasciatori dei clan convocano il presidente del consiglio comunale Mazzuca “sti barri barri” per parlare di affari (loschi… altrimenti di cosa dovrebbe parlare un politico con un capoclan?) e tutti, sindaco in testa sono a conoscenza di questi episodi: magistrati, questore, capo della mobile, consiglieri comunali di destra e sinistra, assessori, sindacati, società civile, movimenti, professionisti dell’antimafia, deputati, senatori e cittadini. E nessuno osa dire niente. Il problema, in questa città, è chi denuncia, e rende pubblico il malaffare. Non certo le infiltrazioni mafiose e il voto di scambio. E se per i politici e i consiglieri comunali di “sinistra” si può comprendere il loro silenzio, difendono il fortino e il bottino, per il silenzio, sulla gravità dei fatti, dei politici e dei consiglieri di destra, che rappresentano l’opposizione in consiglio, non c’è nessuna spiegazione. O meglio una spiegazione c’è: non possono denunciare i fatti al ministro Piantedosi come hanno fatto i loro colleghi baresi, perché non possono confessare di aver aperto, prima di questa amministrazione, insieme al loro caro amico e sodale Mario Occhiuto, fratello del governatore (sic!) le porte del Comune ai clan. Non esiste destra e sinistra, i politici sono tutti da stessa paranza. Occhiuto o Caruso “a musica aru comuni è sempri a stessa”. E nessuno, a Cosenza, può farci niente.