Cosenza. Professore Rodotà, perdoni loro perché non sapevano quello che facevano

Le truppe cammellate del cazzaro avevano “chiuso” l’operazione piazzetta di via Roma pochi giorni prima dell’inizio dell’anno scolastico 2018-19. Del resto, ormai da anni il primo giorno di scuola a Cosenza era diventato misero strumento di propaganda politica imitando maldestramente i tempi del duce e dell’istituto Luce.

A settembre 2018 il sindaco cazzaro aveva annunciato una sedicente “sperimentazione” del traffico con la quale chiudeva lo spazio antistante le scuole elementari di via Roma che altro non era che il pretesto per dare il via a una vergognosa speculazione con la quale assegnava 300 mila euro a qualche suo cliente per la realizzazione dell’ennesima orribile piazza.

Non solo: nel suo delirio di onnipotenza, il cazzaro aveva persino dichiarato che l’isola pedonale davanti alle scuole elementari di via Roma sarebbe stata realizzata per tutelare la salute dei bambini, quando appariva ovvio che mentre una volta le auto scendevano, ora affrontavano una ripida salita e questi poveri bambini sono stati letteralmente aggrediti dai veleni degli scarichi delle autovetture. Altro che salute! E poi ormai tutti sappiamo che per quella piazza Occhiuto ha destinato 300 mila euro da distribuire a qualche suo amico o creditore.

La Delibera n° 131 del 17 ottobre 2017 parlava chiaro: nessuna prova, nessun monitoraggio, nessun confronto con commercianti e cittadini, nessuna tutela della salute (sic!) dei bambini. Via Roma è rimasta chiusa senza interruzione, fino a quando non abbiamo cambiato sindaco. L’atto di giunta rivelava l’arcano poiché approvava la realizzazione di un‘area pedonale (una piazza) su via Roma tra la scuola elementare e quella media, con tanto di impegno di spesa per la modica cifra – appunto – di trecentomila euro circa. 

Occhiuto parla con i cittadini protetto dal body guard… avissim’i fa ca piglia ancunu buffu?
FOTO GURU

Ma il tempo resta galantuomo. E stavolta in un lasso di tempo veramente breve ci ha restituito la verità. Neanche la pazienza di attendere il 31 gennaio 2019 – termine conclusivo della sedicente fase sperimentale – ed ecco bello e pronto il pacco preconfezionato. Con un atto di giunta si notifica alla città che quelle modifiche sono quelle e basta.

Nessuna analisi sul traffico. Nessun rilevamento dei rumori e delle polveri sottili. Nessuna interlocuzione con i commercianti. Nessun atto nobile per la salute (risic!) dei bambini. Questo è e basta! E nessuno è intervenuto in difesa di cittadini oppressi ed indifesi. Nessuno ha avuto il coraggio di sanzionare questo modo di gestire la cosa pubblica e condannare questo atteggiamento dittatoriale.Quella piazza – il cui cartello di cantiere è stato farlocco come la sua faccia – è stata inaugurata davanti al solito codazzo di cortigiani e lacché, guidati dal preside delle scuole elementari, che una volta si atteggiava a sedicente attivista di “sinistra” ed era stata addirittura intitolata a Stefano Rodotà, che si è rivoltato per anni nella tomba perché questo modo di fare politica è lontano anni luce dalla sua integrità e dirittura morale. Per fortuna mai nessun esponente della sua famiglia ha avallato quella gran cagata di piazza.

Stefano Rodotà, morto il 23 giugno del 2017, è stato un giurista e politico cosentino, che ha dato lustro al nome della nostra città nel corso della sua attività.

Era nato il 30 maggio del 1933 a Cosenza da una famiglia piccolo-borghese di San Benedetto Ullano (Shën Benedhiti), comune arbëreshë in Calabria ubicato sulle pendici interne della Catena Costiera a 25 km dal capoluogo bruzio, e discendeva da una illustre famiglia italo-albanese che ha annoverato fra il XVII e il XVIII secolo intellettuali difensori della minoranza etnica e religiosa arbëreshë.

Il padre, insegnante di matematica di origine albanese poi iscritto al Partito d’azione insegnava alle medie, dava ripetizioni a Giacomo Mancini, il futuro leader socialista; uno zio divenne segretario locale della Dc. La politica, insieme allo studio, è sin da subito una passione divorante. Rodotà ha frequentato a Cosenza il liceo classico Bernardino Telesio. Era imparentato anche con Donna Vittoria Vocaturo, seconda moglie di Giacomo Mancini, al quale Stefano Rodotà era molto legato.GLI ANNI GIOVANILI, IL PARTITO D’AZIONE E IL PARTITO RADICALE

Così la Stampa ne ricordava gli anni giovanili. “Ha una passione politica antica, sin dagli anni dell’adolescenza, quando correva nella notte all’edicola ad attendere l’uscita del mitico Mondo di Mario Pannunzio. Bambino, nella piccola casa del padre, che era un semplice insegnante di matematica di origine albanese, in quella Cosenza in cui si sciolse il Partito d’azione, passavano personaggi del calibro di Riccardo Lombardi e Ugo La Malfa. Passione politica divampata subito, nell’animo del giovane Stefano, che s’iscrive al partito radicale di Pannunzio, che conosce insieme a Luigi Spaventa e Tullio De Mauro su presentazione di Elena Croce ma poi rifiuta di candidarsi in Parlamento per il partito di Pannella. Radicale nella difesa del principio di uguaglianza, in Parlamento Rodotà entra come indipendente nelle liste del Pci“.

Stefano Rodotà ha attraversato tutte le stagioni della sinistra italiana. Nel caos istituzionale che anticipò la fine del primo mandato del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il Movimento 5 Stelle sostenne lui nella corsa al Quirinale. Proprio quello Stefano Rodotà che dal 1979 al 1983 era stato deputato del Pci e poi dall’83 al ‘92 deputato della Sinistra Indipendente e ancora presidente del Pds per due anni, fino al 1993. Cosenza, in quei giorni del 2013, trepidava per uno dei suoi figli migliori che non solo era in lizza per diventare capo dello Stato ma era anche schierato dalla parte giusta, nel senso che non era appoggiato dalla “Casta” ma da chi si opponeva con forza (altri tempi ormai, visto che anche i grillini sono diventati “Casta”…) al suo strapotere. Pareva il candidato “perfetto”, per fare ponte tra M5s, Sel e Pd, che in parte nei primi tre scrutini lo votò. Ma alla fine il Pd virò verso il bis di Giorgio Napolitano. Una scelta che si commenta da sola.

Iniziare da questa vicenda storica recente per raccontare uno studioso di diritto che teneva gli scritti di Hans Kelsen e Max Weber nella parte più alta e luminosa del suo pensiero giuridico, significa annodare i fili di una storia italiana strana, trasversale e impossibile: quella degli intellettuali apartitici con valori egualitari e progressisti schiacciati dal sistema asfissiante e identitario dei partiti di massa novecenteschi. Personalità come Altiero SpinelliCarlo Galante GarroneGianfranco Pasquino, una sorta di “riformismo militante”, di “servizio civile” prestato alla politica attiva. Per Rodotà, dopo l’esperienza parlamentare degli anni Ottanta, quel servizio civile si sviluppò dal 1997 al 2005 nel ruolo di primo presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, quello che tutti conoscono come garante per la privacy. Così restituì linfa ad una branca del diritto che rinacque con l’avvento del web, soprattutto rispetto al problema dell’uso e della diffusione dei dati personali.

Ecco chi era Stefano Rodotà, la cui figura è stata strumentalizzata per anni da un cazzaro ignorante per inaugurare una piazza brutta e funzionale solo alle sue esigenze di potere, “mascherata” con il suo nome.Professore Rodotà, oggi che quella vergognosa piazza non c’è più, perdoni loro, che non si sono vergognati di esprimere il massimo dell’ipocrisia e della falsità nei suoi confronti strumentalizzando vergognosamente la sua figura: li perdoni perché non sapevano neanche quello che facevano. Accecati e incapaci di opporsi a un sindaco in preda ad un ormai incurabile delirio di onnipotenza e stimolati da un bisogno continuo di leccare il culo a chi detiene il potere. 

Ma poi verrebbe da chiedersi: ci fanno o ci sono? Per rispondere a questa domanda,  basta guardare la faccia del preside delle scuole elementari di via Roma, che ha “difeso” fino all’ultimo quell’obbrobrio, l’esempio più calzante del vecchio adagio “Franza o Spagna purché se magna”. Altro che “rivoluzione”!