di Gabriele Carchidi
La prima volta che abbiamo visto quel frate vestito di bianco nella curva sud dello stadio San Vito di Cosenza è stata tra il 1983 e il 1984. Non avevo ancora compiuto 20 anni e aderivo con estrema convinzione agli ideali “rivoluzionari” degli Ultrà Cosenza e dei Nuclei Sconvolti, l’unica vera forma di aggregazione in città in un periodo drammatico, “segnato” da una sanguinosa guerra di mafia che rendeva difficile persino andare a mangiare una pizza la sera. Quel frate vestito di bianco ci aveva ispirato subito una certa diffidenza: “Ma chissu cchi bbo?”… Però qualcuno dei nostri lo conosceva e si era affrettato a dirci che era uno forte, un missionario convinto che aiutava veramente il prossimo.
Diventò “famoso” il 18 marzo del 1984 dopo un Cosenza-Bari di Serie C1 al San Vito. Contrariamente a quanto scrive il pur bravissimo Furio Zara, il Cosenza quella partita la vinse: 1-0, gol di Biagio Lombardi dopo appena tre minuti sotto la Sud. Un bolide da fuori area che si insaccò sotto la traversa: un gollazzo! Poi ci pensò un giovanissimo Ciccio Marino a fermare il fortissimo Galluzzo e a conservare quella prestigiosa vittoria. Ma a quel frate vestito di bianco, che festeggiava con noi, non era piaciuta la reazione finale dell’allenatore del Bari, che era Bruno Bolchi detto “Maciste”, già valente mediano dell’Inter. Quel frate era sceso dentro il campo e a Bolchi non gliele mandò a dire, i due si beccarono un po’ e la notizia e anche qualche immagine attirarono l’attenzione dei media. E così tutti avevamo “scoperto” che quel frate vestito di bianco si chiamava Padre Fedele Bisceglia.
Non passò molto tempo e Padre Fedele diventò un punto di riferimento per tutti gli ultrà e nel campionato successivo, considerato che dopo 21 anni tornava il derby col Catanzaro, la sua “casa” cioè il convento dei Cappuccini nel Santuario del Crocifisso alla Riforma era diventata anche la nostra “sede”. Tutte le coreografie delle partite al San Vito e tutte le trasferte si organizzavano da lui. A Catanzaro, quel 18 novembre del 1984, finì a schifio, come dicono i siciliani, e lui era con noi a prendere pietre e persino “graste” che volavano dai balconi. Volevamo fare qualcosa di memorabile nella partita di ritorno e così a Piero Romeo venne in testa l’idea del celeberrimo “bandierone”, che venne cucito a mano proprio dentro il suo convento, quella idea che consolidò definitivamente e per sempre il nostro legame con quel frate vestito di bianco che ormai era diventato il “monaco” per tutti.
E a quella partita del 6 aprile 1985, che rimane ancora oggi l’ultima che abbiamo vinto al San Vito (1-0, gol di Aita) è legato uno dei ricordi più cari che ho del “monaco”. Dopo la fine della partita, eravamo andati davanti alla porta carraia dello stadio per sfottere la squadra del Catanzaro (la trasferta era stata vietata ai tifosi giallorossi dopo i casini dell’andata) e per applaudire i nostri beniamini ed era volata qualche parola grossa, soprattutto con i poliziotti… Sì, perché la polizia non aveva gradito la nostra “iniziativa” e ci intimidiva… E così era finita che mi ero trovato da solo in “prima linea” e il vicequestore dell’epoca, un tale che si chiamava Cappelli, mi aveva mollato un ceffone per farmi indietreggiare ma soprattutto per farmi stare zitto (non vi dirò mai quello che gli dicevo a quel soggetto…). Beh, dopo aver visto la scena, Padre Fedele non ci aveva pensato un attimo ad affrontare quel signore, gli si era avvicinato a un centimetro dalla sua faccia di culo e gli urlò col tutto il fiato che aveva in gola: “Ti mando a fare il vigile urbano!!!”. Quella frase diventò presto un “cult” per tutto il gruppo e ancora oggi, a 40 anni di distanza, con qualcuno degli ultrà ce la ricordiamo benissimo e anche quella frase diventerà da oggi in poi una maniera per non dimenticare mai quel frate vestito di bianco.