Cosenza, Spagnuolo e la lotta alla droga

Il procuratore Spagnuolo e il suo aggiunto Manzini

Lo scriviamo sempre: arrestato un malandrino, purtroppo, se ne fa subito un altro. Non sono i blitz, seppur necessari, a fermare l’attività criminale. Altrimenti per quanti blitz ci sono stati negli ultimi 10 anni, a Cosenza non ci dovrebbe essere neanche l’ombra di un mafioso. E invece, tempo 24 ore dal blitz, e tutto ritorna come prima: si spaccia, si strozza, si chiedono le tangenti, si corrompe, si ruba, si truffa come prima e più di prima.

E’ chiaro che l’attività di repressione deve fare il proprio lavoro, ma è anche vero che se non si sale fino all’origine del male, da questa situazione non se ne esce. Se si continua ad arrestare chi spaccia qualche grammo di fumo e non si indaga mai su chi fa arrivare quintali di droga in città, voi capite che siamo sempre allo stesso punto.

Se non si indaga su chi pulisce i soldi sporchi proveniente da attività illecite, ogni speranza di porre fine al malaffare in città sinni va a fa futta. Di morti di fame disposti a spacciare in città ce ne sono a tonnellate. Purtroppo. Ma le persone che sanno come pulire i soldi sporchi o far arrivare chili e chili di cocaina, sono poche, anzi pochissime.

Non dovrebbe essere difficile individuarli. Eppure questo passaggio non avviene mai. Ci si accontenta della retata di pesci piccoli, giusto per far numeri e statistica. Se il procuratore Spagnuolo ha deciso, come pare che sia, di dar battaglia allo spaccio di droga in città, deve anche dirci i canali di rifornimento di questi “pusher”. Non può ogni volta fermarsi all’arresto di qualche ragazzotto di quartiere che spaccia più per pagarsi affitto e bollette che per comprarsi moto e abiti firmati. O per “soddisfare” la propria tossicodipendenza.

La mia non è una giustificazione del reato, ma un’analisi sociologica del fenomeno “spaccio in città”. Che come dice il procuratore Spagnuolo ha assunto proporzioni gigantesche tanto da esprimersi così: a Cosenza si spaccia ad ogni angolo della città.

L’ho scritto tante volte: vendere fumo a Cosenza è uno dei “mestieri” più diffusi. Così come succedeva negli anni 70/80 a Napoli con la vendita delle sigarette di contrabbando. Non c’era angolo, rione, quartiere, piazzetta della città che non avesse i suoi venditori di sigarette.

Un reato talmente diffuso da essere tollerato. L’unica forma di economia e di sussistenza per determinati ceti sociali. E la stessa cosa succede oggi a Cosenza, dove la disoccupazione giovanile dilaga. E l’unico modo per maneggiare qualche 50 euro è quella di vendere fumo. Ripeto: non giustifico chi spaccia, ma non si può neanche negare l’origine del problema. Se davvero vogliamo risolverlo. Bisogna costruire opportunità. Mettere di fronte ad una scelta ben precisa questi ragazzi. E di fronte ad una possibilità, ognuno è padrone del proprio destino. Se decidi di continuare a spacciare piuttosto che accettare un lavoro, stare in galera è quello che ti meriti. E qui davvero non c’è più nessuna giustificazione.

Chi deve creare queste opportunità è la Politica. Ma qui non esiste la Politica. Se non quella dei ladri mafiosi che hanno tutto l’interesse a lasciare le cose come stanno. Rubano i soldi destinati proprio a questi ragazzi in difficoltà con scientifica malvagità affinchè mai si posano emancipare dalla loro miseria e restare sempre a disposizione del crimine. Un esercito di disperati da cui attingere all’indomani di ogni blitz, nuova manovalanza.

Ora se la lotta alla droga è davvero la priorità del procuratore Spagnuolo, ci aspettiamo, a breve, una retata di pesci grossi, altrimenti vorrà dire che questa cosa della lotta alla droga è solo “strusciu” da dare in pasto all’opinione pubblica per far passare l’idea di una procura che lavora, mentre in realtà la lotta alla droga serve solo a coprire l’inefficienza e la complicità della procura su altre inchieste che riguardano i colletti bianchi corrotti, i politici mafiosi e i loro colleghi magistrati collusi.

GdD