Cosenza, sparatoria al B-Side: il nomignolo inventato e lo striscione degli ultrà

Ha trascorso otto anni della sua vita in carcere, condannato dal Tribunale di Cosenza ed in modo particolare dal giudice Maria Antonietta Onorati per un reato che non ha mai commesso. La storia di Andrea Molinari in città la conoscono tutti, così come tutti sanno che non è stato lui a sparare quella maledetta notte del 28 ottobre 2006 al B-Side di Rendecontro un buttafuori del locale, che è rimasto ferito gravemente. Iacchite’  vi sta raccontando un’altra incredibile storia di malagiustizia direttamente dal porto delle nebbie di Cosenza. 

PRIMA PUNTATA (http://www.iacchite.com/cosenza-sparatoria-al-b-side-lincredibile-storia-di-andrea-molinari/)

SECONDA PUNTATA (http://www.iacchite.com/cosenza-sparatoria-al-b-side-lintercettazione-taroccata/)

TERZA PUNTATA

Oggi esaminiamo altre due “prove” raccolte nei confronti di Andrea Molinari e di come sono state “raccolte” e “costruite”.

Durante la fase iniziale delle indagini, arriva una telefonata anonima alla caserma dei carabinieri di Rende. E’ un giovane che riferisce dei particolari della vicenda, tra i quali il presunto nomignolo di Andrea Molinari e lo indica come “il coreano” dicendo che è stato lui a sparare al buttafuori.

L’anonimo al telefono riferisce anche altro, su specifiche domande dell’ufficiale dell’arma con il quale comunica. Per esempio, che lui in quel momento si trova a casa e quindi la telefonata parte da un’utenza di rete fissa, poi chiede addirittura all’ufficiale di poter rimanere anonimo e viene incredibilmente accontentato, visto che avrebbe potuto rilasciare queste dichiarazioni almeno sui verbali o magari raccontare altri dettagli. Eppure, non c’è nessuna individuazione del soggetto, anche se chiamava da casa sua…

L’attenzione invece si sposta sull’individuazione de “il coreano”, che avviene velocissimamente. Come? Semplice, un gioco da ragazzi, nonostante ci fossero mille avventori presenti quella sera come dicono loro stessi. Vanno alla caserma dei carabinieri di Mendicino e ne escono con un verbale dove c’è scritto che effettivamente il Molinari per “sentito dire” durante gli scontri di Eboli tra gli ultrà del Cosenza e dell’Ebolitana (avvenuti nel settembre del 2005) veniva chiamato “il coreano” o “coreolano”. Però il verbale termina così: “… si precisa che dagli atti di questa caserma l’appellativo non è rilevabile…”.

Ricapitolando: Andrea Molinari verrebbe chiamato “il coreano” per “sentito dire”. Ma da chi? Da una persona che non è neanche presente nel luogo dove avviene la sparatoria. E non solo: gli Ultrà Cosenza e gli amici di curva di Molinari espongono uno striscione di solidarietà per la sua vicenda e nello striscione lo chiamano affettuosamente ‘u cicatu. Lo striscione viene preparato per una gara casalinga al San Vito ed è abbastanza grande e chiaro da fugare ogni dubbio. Dunque, qualcosa non quadra.

Un’altra prova determinante contro Andrea Molinari è il ritrovamento di una sola particella di polvere da sparo sul maglione, sequestrato a cinque giorni di distanza dai fatti ed esaminato sei mesi dopo dal Ris di Messina, che comunque individua la particella dal lato schiena dell’indumento. In dibattimento, l’unica perizia è quella del professore Sandro Lopez, perito balistico, che in breve descrive come durante un test effettuato in un poligono, la sola esplosione di un solo proiettile di pistola calibro 9×21, dall’esame di un reperto, modello maglione, soltanto sulla parte della manica ha “rilasciato” almeno 40 particelle. Ciò vuol dire che, matematicamente parlando, con l’esplosione di 5 proiettili dello stesso calibro, soltanto sulla parte della manica dell’indumento, le particelle “rilasciate” sarebbero state ben maggiori, figurarsi su tutto l’indumento…

Mentre nel caso di specie, si vedeva solo una particella, addirittura sul lato schiena dell’indumento.

A questo punto, il perito concludeva con la possibilità di un inquinamento volontario del reperto, con varie modalità, in primis senza utilizzo di guanti, con l’eventualità di essere stato posato prima nell’auto dei carabinieri e poi nella stessa caserma prima di essere repertato. Tutti luoghi dove le varie armi possono comunque involontariamente inquinare un qualsiasi indumento.

Di diverso avviso è il Tribunale, che nella sentenza di primo grado scrive: “… l’indumento è stato prima ripulito in malafede per poi essere consegnato a terzi…”. In poche parole, l’imputato, dopo avere sparato, ha lavato il maglione per poi “riposarlo” nell’auto con la quale avrebbe compiuto il ferimento. Cosa alquanto inverosimile perché anche la persona più distratta di questo mondo avrebbe fatto prima a sbarazzarsene in un qualsiasi cassonetto e non a lavarlo per poi “riposarlo” nell’auto con la quale avrebbe compiuto il ferimento… Ma anche questo fa parte del caso B-Side e dell’incredibile storia di Andrea Molinari.

3 – (continua)