Crisi di governo. Travaglio/Padellaro: “Meglio sfidare le urne – Sì, ma è ancora lunga”

Meglio sfidare le urne

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – Caro Marco, non so tu ma io non mi fido per niente. Perché nessuno mi toglie dalla testa che il percorso a ostacoli imposto da Demolition Man è stato studiato per esigere, giunti all’ultima curva, la non riconferma di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi.

Perché quando Matteo Renzi avrà concordato con il resto della coalizione il famoso cronoprogramma – con l’avvicendamento di tre o quattro ministri a lui sgraditi, a cominciare da Alfonso Bonafede alla Giustizia – egli con l’abituale gioco delle tre carte, ora perfezionato in qualche suk arabo, proverà a intortare gli astanti. È un trappolone abbastanza prevedibile, e mi sembra già di sentirlo mentre confeziona il pacco con l’inconfondibile stile arabo-rignanese: signori miei, visto che siamo d’accordo per arrivare insieme fino al termine della legislatura, e insieme eleggere anche il capo dello Stato, suvvia vogliamo paralizzare il Paese su Conte, come se non ci fossero personalità all’altezza in grado di guidare il governo? Se non l’ha già fatto potrebbe giocare la carta dell’esploratore Roberto Fico (visto che sta già lì) senza contare Draghi, Panetta, Cartabia, Cottarelli, e chi più ne ha più ne metta. Spero naturalmente di sbagliare, ma penso che fidarsi del campione del mondo dell’inaffidabilità sarebbe un po’ come nominare presidente di Amnesty lo sceicco Bin Salman.

Perciò mi chiedo e ti chiedo: prima di finire mani e piedi impigliati nella rete renziana, non sarebbe preferibile dargli un taglio e procedere speditamente verso le elezioni? Conosco la prima obiezione: però, fissarsi sul Conte-ter non è la stessa modalità ricattatoria, sia pure di segno opposto, rimproverata a Renzi? No, perché se l’avvocato pugliese si trova saldamente in vetta alle classifiche di popolarità in Italia e in Europa, significa che la sua capacità di governo nel corso di un periodo tra i più drammatici della storia italiana viene largamente apprezzata. Senza contare che tre partiti su quattro della coalizione uscente lo hanno ricandidato senza se e senza ma. Quindi, piegarsi ai diktat del “politico più impopolare che vuole cacciare il politico più popolare” (Massimo D’Alema), quel tizio che si diverte a taglieggiare i governi dall’alto del 3% dei consensi, non sarebbe sommamente indecente?

Poi c’è l’argomento che soprattutto nel Pd si considera decisivo: che se si va al voto possiamo trovarci Matteo Salvini a Palazzo Chigi, e Silvio Berlusconi al Quirinale. Ne siamo proprio sicuri? Secondo il sondaggio Ipsos pubblicato domenica dal Fatto la somma di Lega, FdI e Forza Italia fa 46,2%. Mentre M5S, Pd e Sinistra Italiana raggiungono insieme il 40,3%. Se ai due partiti virtuali, Italia Viva e Azione di Carlo Calenda, aggiungiamo Più Europa abbiamo un 8% circa di elettorato certamente non sovranista e neppure antieuropeo. In una campagna elettorale fortemente polarizzata sulla gestione dei 209 miliardi di fondi europei (ottenuti grazie al negoziato condotto da Conte) siamo così convinti che gli elettori tutti quei soldi li lascerebbero nelle mani di chi li considera sterco del diavolo, o quasi? Ok, insiste il partito del male minore, ma davanti al rischio che il destra-centro conquisti l’intero piatto elettorale non sarebbe meglio ingurgitare l’amaro fiele renziano piuttosto che mettersi nelle mani degli amici di Trump e di Putin?

Controdomanda: quindi proprio noi che esaltiamo ogni giorno la Costituzione più bella del mondo dovremmo metterci di traverso per impedire l’attuazione dell’articolo 1 e del principio che la sovranità appartiene al popolo? E ciò perché temiamo che all’apertura delle urne vincano gli altri (oppure perché i mercati la prenderebbero male)? E se pure vincessero gli altri (e non è detto) la sconfitta del centrosinistra (o di ciò che ne ha le parvenze) non potrebbe essere l’occasione per riflettere sugli errori commessi? E stando all’opposizione, perché non cercare di costruire la futura maggioranza su basi più solide? Non si chiama democrazia? E non potrebbe anche essere la buona volta che ci togliamo dalle scatole quel signore lì?

Dimenticavo lo strombazzato “governo dei migliori”. A parte che non si capisce come verrebbero scelti questi supposti “migliori” (per concorso o a cura delle note confraternite?) penso che abbia ragione Paolo Mieli quando giudica il governo istituzionale una finta soluzione, o nel migliore dei casi un ponte per arrivare al voto di giugno. In conclusione, se Renzi alzando ogni giorno il prezzo del ricatto alla fine costringesse Conte a farsi da parte, spero vivamente che Pd e 5Stelle mantengano l’impegno preso di chiudere questo teatro dell’assurdo e di dedicarsi alla campagna elettorale. Sinceramente, Marco, sto forse vaneggiando?

Sì, ma è ancora lunga

(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Caro Antonio, io mi fido meno di te. Partito in tromba per far fuori Conte, bombardare la coalizione giallorosa, spaccare 5Stelle e Pd, dirottare dove sa lui i 209 miliardi del Recovery, il tutto per nobili ragioni ideali e non certo per vili poltrone, lo statista di Rignano è lì che traffica per sistemare la Boschi. E ogni cinque minuti alza la posta: via Bonafede, Gualtieri, Arcuri, Tridico, Parisi, Benassi, via la blocca-prescrizione, dentro il Mes e la Bicamerale sul Recovery, e magari anche una fettina di culo disossata. Anche se e quando votasse la fiducia al Conte-ter, continuerebbe a fare l’unica cosa che sa fare quando non comanda lui: rompere. Quindi sì: le elezioni sono la soluzione migliore. Anche perché ci libererebbero per sempre di lui. E il trionfo del centrodestra non è più così scontato ed è assai probabile che, se Demolition Man continua a fare il suo unico mestiere, si scivoli verso le urne più facilmente di quanto si immagini. Tutte le chiacchiere e i fiumi di inchiostro sui governi Draghi, Cottarelli, Cartabia, Severino, Giovannini, Panetta, Fico, Di Maio, Patuanelli, Franceschini sono sprecati: la scelta del premier spetta al partito di maggioranza relativa, cioè ai 5Stelle, che l’han detto e ripetuto: “O Conte o andiamo all’opposizione”.

Anche i governi istituzionali, tecnici, di larghe intese, di scopo e di scopone scientifico sono fantascienza, salvo che M5S e Pd non stiano raccontando balle. I 5Stelle, se perdono Conte, non appoggiano nessun altro, la Meloni non li lascia certo da soli all’opposizione e a quel punto Salvini ha grossi problemi a ritrovarsi la rivale che gli punta il fucile carico. Così le intese si fanno ristrettissime, perché restano FI, Pd e la Lega di Giorgetti, sempreché i dem facciano ciò che negano di voler fare: sommare i propri voti a quelli sovranisti. In ogni caso i numeri non bastano. Ed eccoci alla terza e ultima opzione possibile. Che purtroppo non sono le elezioni subito, cioè a marzo, come sarebbe naturale in tempi normali. Ma a maggio/giugno, quando si spera che finirà la nuova ondata pandemica.

Più in là non si può andare perché a luglio scatta il semestre bianco. Quindi, senza maggioranza, Mattarella varerebbe un governo a tempo, di tipo tecnico-elettorale, anche di minoranza o “delle astensioni”, affidato a un personaggio super partes. E a fine aprile scioglierebbe le Camere.

Prima, però, può rinviare il Conte-2 al Parlamento che – non dimentichiamolo – nell’ultimo voto di fiducia gliene aveva tributata una assoluta alla Camera e una relativa al Senato. Lì il Conte-2 aveva ottenuto 156 voti (più quello virtuale di un grillino malato di Covid e momentaneamente assente): tanti quanti ne avrebbe avuti l’opposizione se Iv avesse votato la sfiducia, come voleva l’Innominabile, poi dissuaso da molti dei suoi che oltre l’astensione non sarebbero andati e a quel punto avrebbero optato per la fiducia, regalando a Conte la maggioranza assoluta. Scena difficilmente ripetibile dopo l’ennesima rottura causata dal tappetino di Bin Salman: l’ultima, quella decisiva per portarci alle urne. A quel punto Iv potrebbe davvero spaccarsi, tra le evebraun renziane pronte a seguire il capo nel bunker perinde ac cadaver e gli italomorenti intenzionati a restare vivi. E il governo potrebbe persino ottenere la fiducia e andare avanti senza quel famoso gatto appeso ai maroni con uno che gli tira la coda da dietro. Insomma, la scelta fra Conte-ter ed elezioni non è immediata: passeranno purtroppo altri giorni, che sono esiziali per l’Italia, ma non per un leader totalmente irresponsabile.

Se invece, dopo i fuochi d’artificio delle ultime ore, costui scendesse a più miti consigli ricordandosi del suo 2% e accontentandosi di qualche poltrona in più, Conte avrebbe il dovere di provarci. Per tre ragioni. 1) Guidarci in questi mesi cruciali per il Recovery Plan, la guerra dei vaccini, i ristori alle categorie penalizzate dalle chiusure e la lotta alla pandemia (dovrebbe concentrarsi solo su queste urgenze, lasciando al dopoguerra tutti i temi “divisivi”). 2) Non prendersi la colpa di una crisi voluta da quell’altro. 3) Salvare la coalizione 5Stelle-centrosinistra che, col valore aggiunto di Conte alla guida, potrebbe giocarsi la partita con Salvini con qualche chance di vittoria. Sempreché, naturalmente, Conte, 5Stelle, Pd, LeU ed Europeisti ritengano possibile andare avanti senza pagare un pizzo inaccettabile (tanto per essere chiari: Bonafede e le sue riforme non si toccano). Certo, l’eventuale Conte-3 partirebbe più debole del 2. Ma anche l’Innominabile perché, se tornasse a ricattare, a tradire gli impegni (stavolta scritti) e a far saltare il tavolo, anche le evebraun italomorenti potrebbero decidersi a mollarlo. O sedarlo e spedirlo in Arabia Saudita in una valigia. Sola andata.