Crotone, talpe in divisa al servizio del clan: ecco come informavano la cosca sulle indagini

La cosca Megna di Papanice intratteneva rapporti con le forze dell’ordine. Uomini in divisa si sarebbero anche resi disponibili a fornire notizie d’indagini in corso che avrebbero interessato i componenti del clan. È lo scenario tratteggiato dai poliziotti delle Squadre mobili di Crotone e Catanzaro e del Servizio operativo centrale nell’informativa allegata all’inchiesta “Glicine Acheronte” coordinata dalla Dda di Catanzaro. Si tratta dell’operazione che lo scorso 27 giugno, con 43 misure cautelari eseguite dai carabinieri del Ros, ha consentito di sgominare l’organizzazione criminale capeggiata dal boss Mico Megna e di smantellare il presunto comitato d’affari che avrebbe influenzato le istituzioni pubbliche per finalità elettorali.

E in questo contesto, si inseriscono le ipotizzate relazioni che la propaggine parmense dei “papaniciari” avrebbe intrecciato con un finanziere che all’epoca dei fatti contestati era in servizio al Gruppo delle Fiamme gialle di Giuliano (Napoli). Il militare, scrivono gli investigatori, «è risultato avere un rapporto particolarmente confidenziale con Enrico Moscogiuri», oltre che cosciente «della natura illecita degli affari portati avanti dai sodali della consorteria ‘ndranghetistica», e senza farsi «alcun scrupolo a prendere parte a riunioni» con Mario Megna, nipote del capobastone, nel ristorante “San Martino” di Collecchio.

Inoltre, si legge tra le carte del blitz, dalle conversazioni captate «è emerso» che il finanziere si recò «più volte proprio a Parma su richiesta di Enrico Moscogiuri», al quale avrebbe «riferito notizie confidenziali riguardanti indagini a suo carico». Tant’è che il 29 giugno 2016 gli agenti intercettarono Mario Megna mentre teneva un incontro nel locale con altre quattro persone, più il militare che – per la Polizia – sarebbe stato a conoscenza «del contenuto illecito della discussione». E’ «emblematico – viene evidenziato nell’informativa – il fatto che il militare che presta servizio a Giugliano in Campania si sia recato nella città emiliana per l’occasione, al pari di Mario Megna, il quale raggiunge periodicamente Parma per la gestione degli affari illeciti della cosca».

Il faccia a faccia di quel giorno proseguì l’indomani, sempre dentro il ristorante, dove Mario Megna – annotano gli inquirenti – pensò bene di sottolineare «la grande forza della propria cosca di ‘ndrangheta di appartenenza che si è manifestata anche in momenti difficili», come avvenne in occasione dell’omicidio, nel 2008, di Luca Megna, il figlio del boss.

Dopodiché Megna mostrò ai presenti un video pubblicato sul sito di una testata giornalistica calabrese relativo al suo arresto nel 2011 per tentata estorsione. “Non devono campare i cristiani” si sarebbe vantato l’ipotizzato affiliato nel commentare la vicenda. Ma le riunioni tra il militare e i presunti referenti del “papaniciari” in Emilia andarono avanti pure nelle settimane successive ed erano sempre improntate su affari (probabilmente illeciti) da concludere.

A seguire, gli agenti citano una circostanza che confermerebbe la tesi secondo la quale il finanziere si sarebbe prestato a rivelare notizie investigative ai sodali del clan. «Mario, occhio: i movimenti finanziari sono tutti attenzionati, le banche sotto controllo, anche il San Martino, anche il latte mi raccomando»: questo è il contenuto di un messaggio che il militare ad agosto 2016 fece recapitare mediante una terza persona a Moscogiuri. Fonte: Gazzetta del Sud