Cucù, Presidente. La Calabria non ride più
L’Editoriale di Luigi Palamara
Fonte; Carta Straccia
Una Calabria che Roberto Occhiuto racconta come un sogno: boccali di birra, piloti da Formula 1, chef sorridenti che parlano di pasta e di mare.
Una Calabria da cartolina, da spot pubblicitario, da metaverso politico.
Una Calabria che non esiste.
Esiste solo nella sua testa. E bravo, Robertino.
Mentre tu fai il narratore di un mondo immaginario, la tua terra vera muore — in silenzio, ma muore.
Sotto i tappeti che scuoti davanti alle telecamere ci sono macerie: ospedali fatiscenti, giovani che partono, paesi che si svuotano come vene senza sangue.
Tu sorridi, ma la Calabria non ride più.
Tu non sei un amministratore: sei uno showman. E pure modesto.
Il tuo palco è fatto di conferenze, selfie e slogan, mentre fuori dal sipario la gente aspetta mesi per una visita, si umilia per un concorso, o per un lavoro che non arriva mai.
Tu parli di futuro, ma vivi in un presente che non vedi.
Ti sei convinto che basti raccontare una fiaba per cambiare la realtà.
Ma la Calabria vera non abita nei tuoi video.
Abita nei pronto soccorso che non ce la fanno.
Nelle mamme che aspettano una TAC come una grazia.
Nei ragazzi che fanno la valigia di notte per non salutare nessuno.
Nelle strade rotte, nei paesi svuotati, nei bar pieni di rabbia e silenzi.
Eppure tu continui a ballare. A sorridere. A celebrare.
Come se la festa non fosse finita da decenni. Come se la Calabria fosse un set e non una ferita. Certo, dirai che la gente ti ha votato.
Vero.
Ma anche gli ammalati a volte scelgono l’anestesia. La differenza è che, dopo, si svegliano.
E quando lo faranno — quando la Calabria vera si sveglierà — non ti applaudirà più.
Ti guarderà per quello che sei: il presidente di una regione in agonia che ballava la tarantella mentre il malato smetteva di respirare.
Cucù, Presidente. L’ultima presa per i fondelli è finita.
Ora tocca alla verità.
Settete!!!
Luigi Palamara









