Del Bene: “‘Ndrangheta non più violenta: cerca l’imprenditoria per entrare in politica”

“I fenomeni criminali della ’Ndrangheta hanno cambiato strategia. Non c’è più la manifestazione della violenza e della forza. Ora è quella di avere una maggiore ovazione imprenditoriale ed entrare nel mondo poltico-istituzionale; insinuandosi silenziosamente negli apparati burocratici degli enti locali. E questo non si fa con violenza ma con la corruzione”.

E’ questo l’allarme lanciato dal sostituto procuratore nazionale antimafia, Francesco Del Bene, che ieri sera è intervenuto a Reggio Emilia nell’ambito del convegno “Le mafie insospettabili”, insieme al giornalista Saverio Lodato e Elia Minari. Per il magistrato c’è il rischio che le condanne di primo grado del processo Aemilia cadano nel dimenticatoio: “Quando il fenomeno era sviluppato in Sicilia parti istituzionali sostenevano che la mafia non esistesse, vogliamo ripetere la stessa cosa qui? Come in Valle d’Aosta e in Lombardia? Ciò significa cancellare quanto è stato scoperto”. Il processo Aemilia ha “accesso un riflettore su una mafia capace di mantenere rapporti con il mondo istituzionale, imprenditoriale e con la stampa. Insomma capace di controllare le economie”.

Secondo Del Bene la cosa più “grave” che emerge “è che gli imprenditori in crisi hanno chiesto aiuto alla ‘Ndrangheta. E’ cosi che l’economia legale viene infarcita di capitali sporchi, che molto spesso vengono investiti in attività come il gioco online”. Sulla figura dello ’ndranghetista 2.0., il magistrato ha detto: “Oggi non troverete più chi indossa la coppola, ma sono persone come noi”.
Per fare una “fotografia” del fenomeno, il sostituto procuratore nazionale antimafia ha utilizzato uno studio di un sociologo che dice: “I fenomeni criminali mafiosi hanno questa zona nebulosa dove avviene una confusione tra lecito e illecito; dove non si è in grado di distinguerle tra loro. Sono cementati dagli affari. Prima il mafioso si imponeva, adesso non ha interesse di sottomettere la categoria imprenditoriale, ma di conviverci perché servono per infiltrarsi nell’economia”. Il pm ha poi ricordato che per “anni in Sicilia ci siamo imbattuti nella figura del concorso esterno in associazione mafiosa. Quanti processi e sentenze della cassazione hanno cercato di delineare questa figura. Non solo in Sicilia, ma anche nelle regioni del Nord”.  La ’Ndrangheta ha ormai “una grande disponibilità economica che può comprare qualsiasi cosa. E’ diventata la mafia più pericolosa in Italia. Il fenomeno non ha riguardato solo l’Emilia Romagna, ma sono arrivati anche in Valle d’Aosta”. Per il magistrato “bisogna avere l’idea che il fenomeno non si è infiltrato, ma si è radicato in gran parte dei territori più ricchi”.
Del Bene si è poi chiesto: “Come è avvenuto questo?” “Per la sottovalutazione del fenomeno. – ha detto – Bisogna creare gli anticorpi, non solo nelle regioni del Sud, ma anche nelle regioni del Centro-Nord”.Per questo, non bisogna “considerare l’Emilia Romagna un’eccezione in quanto il fenomeno è stato processato e quindi finito, ma in realtà non è così”. E riguardo gli strumenti per contrastare il fenomeno, il giudice ha spiegato che “le misure interdittive sono il primo strumento che ci permette di accendere un faro” insieme agli “strumenti di prevenzione della confisca delle imprese, che trascende dall’azione penale, ma che fa più male perché va a colpire l’impresa o un immobile. Questa è una forte risposta dello Stato che dovrebbe poi restituire alla collettività. – ha continuato – Purtroppo in Italia solo nell’emergenza adottiamo certe iniziative, ma questa forma mentis dovrebbe essere usata prima”.

Il sostituto procuratore nazionale antimafia ha poi parlato della mafia siciliana, di come essa si trovi “in crisi”“Questo non significa che la mafia è ‘timida’, – ha detto – ma esistono ancora delle parti soprattutto legate al terzo livello dei rapporti istituzionali”.
Nel concludere il suo intervento, Del Bene ha poi parlato dei cinque anni passati al fianco di Nino Di MatteoVittorio Teresi e Roberto Tartaglia come pubblica accusa nel processo Trattativa Stato-Mafia: “Sul processo c’era una gran parte della stampa completamente critica. Della sentenza se ne è parlato solo il giorno del dispositivo. Ho vissuto 5 anni di grande pressione e amarezza: noi stavamo facendo il nostro dovere”. Il magistrato ha poi continuato: “Dal giorno alla notte quello che era considerato un bravo magistrato gli è stata fatta terra bruciata attorno. Sono stati cinque anni durissimi per la mia famiglia, per non parlare del Dottor Di Matteo”.