Democrazia futura. Astensionismo e rischio democratico

di Stefano Rolando, docente di Comunicazione Università UILM

I sondaggi pre-elettorali di agosto 2022 producono la solita schizofrenia. Sono presi terribilmente sul serio quando premiano e vengono considerati inattendibili quando sono pessimisti.

In verità l’elettorato in agosto è distratto dalle ferie. E la conflittualità, quella esplicita e quella latente, che c’è tra i partiti, tesi finora più a denigrare l’avversario che a spiegare in modo convincente i programmi, tende ad essere un respingente.

Per questo un dato finora indiscusso da tutti è che l’astensionismo prevalga come il partito – o per meglio dire il non-partito – con più consenso. Alla fine delle loro rilevazioni non tutti ma quasi tutti gli istituti di sondaggio che si sono fin qui espressi buttano lì un dato che, anche quando è prudente e contenuto, supera di gran lunga la previsione degli esiti dei partiti maggiori.

Sommando astenuti convinti e astenuti per ora indecisi la forbice delle previsioni è dal 35 al 45 per centoAppunto la partita principale si gioca sugli indecisi, che abbasseranno la soglia dell’astensionismo e potranno incidere sui risultati finali o per lo meno sui risultati di molti collegi oggi contendibili, talvolta anche capovolgendo i pronostici.

La fascia dei giovani (18-25 anni) presenta questa contraddizione. È quella che fa alzare di più per il momento l’asticella della potenziale astensione. Ma è anche quella che vota per la prima volta per il Senato, costituendo in questo segmento una potenziale sorpresa.

Il Sole 24 ore ha dedicato una specifica analisi alla scomposizione del voto di chi ha dato nel 2018 la preferenza a Cinquestelle, facendone il primo partito italiano scelto da un terzo dell’elettorato. Riccardo Saporiti, il 5 agosto, stima che il 42 per cento alla fine manterrà la preferenza per questo partito che continua a definirsi “movimento”, mentre quasi il 12 per cento preferirà spostarsi sul PD, l’11 per cento sceglierà la scissione di Luigi Di Maio, marginale è il voto verso le destre, mentre il 10,5 per cento è in dichiarata astensione e il 14,4 per cento va considerato ancora indeciso.

Nel caso di Cinquestelle si tratta di corpose masse di voti. Dunque, con sorprese ancora possibili.

Ma comincia ad emergere una analisi in generale riguardante la sfida di punta tra il centrosinistra a trazione PD e il centrodestra a trazione Fratelli d’Italia. Stando alle elezioni del 2018 il potenziale astensionistico del Centrosinistra appare doppio di quello del Centrodestra.

La somma di questi due argomenti – indecisione in 5Stelle ma per ora senza inclinazione verso la destra e problema di seria concentrazione di un potenziale distacco dal voto originato da ex-elettori del Centrosinistra – farebbe così propendere che il lavoro su indecisi e astenuti più ha successo più dovrebbe premiare il riequilibrio tra l’attuale vantaggio del Centrodestra e una possibile rimonta del Centrosinistra.

Tutto dipenderà da due fattori:

  1. il modo con cui Centro Sinistra e Terzo Polo tratterranno la specifica comunicazione verso astenuti e indecisi, entrando con intelligenza e non con luoghi comuni nelle ragioni della riluttanza;
  2. il ruolo che potranno avere i soggetti civili, civici (quelli realmente civici non quelli inventati a scopo elettorale da alcuni partiti), associativi, valoriali scegliendo di svolgere a loro modo una campagna elettorale nella fase cruciale di settembre, magari sostenendo candidati socialmente o civicamente significativi soprattutto per i territori e non perché “nominati” (più che eletti) dalle segreterie dei partiti.

Seconda parte[3]

Vi è dunque un modo più organico di porsi davanti a questo argomento.

Brevemente qui sintonizzato con recenti prese di posizione, pur in un dibattito non in primo piano.

Malgrado l’iniziativa di analisi e di proposta di contrasto al fenomeno presa dal Governo Draghi a fine 2021 giunta a conclusione nell’aprile 2022, a cui si fa in seguito riferimento più adeguato.

Resta su questo argomento scarsa considerazione politica e sostanziale marginalità mediatica. Ed è dunque utile, nel quadro della campagna elettorale, cercare di indagare le cause e rapportarle se possibile alle fasce di età, ai territori, alle dinamiche sociali ed economiche.

Ad un primo esame appaiono almeno tre fenomeni diversi, il primo di tipo “forzato”, il terzo di tipo “volontario” e il secondo con aspetti intermedi:

  • un astensionismo tecnico-elettorale: causato da problemi organizzativi, logistici e di regolarità dei documenti necessari a votare;
  • un astensionismo fisiologico: causato da motivi personali legati alla salute dell’avente diritto al voto che non sceglie di votare per motivi personali;
  • un astensionismo per sfiducia e protesta: causato da mancata fiducia nella politica, nel potere decisionale del singolo, nel non vedere risolte dagli eletti questioni considerate rilevanti.

Nel 1976 l’insieme delle tre cause totalizzavano il 6,6 per cento di voto mancato.

Il «grande balzo» è tra le elezioni del 1975-76 e quelle del 1979-80, quando i non votanti crescono percentualmente di circa il 50 per cento (+ 53 per cento alla Camera, +43,3 per cento al Senato). Analogo incremento nelle schede bianche come in quelle nulle (entrambe in progressivo calo fin dalle elezioni del 1968), che — sempre tra il 1976 e il 1979 — crescono rispettivamente del 40,7 per cento e del 56,1 per cento (alla Camera).

Il miglioramento tecnologico-organizzativo delle condizioni partecipative di questi ultimi quarant’anni (di cui 25 in epoca digitale) – con riferimento alla “macchina elettorale”  istituzionale –  fa intendere che non sia sui meri aspetti tecnico-burocratici (pur esistenti) la prima causa dell’incremento.  Ove si trovasse la garanzia per la sicurezza del voto esercitato individualmente e segretamente in forma digitale e addirittura da remoto, si potrebbe comunque neutralizzare certamente una parte importante della non fruizione del diritto di voto.

Dunque, la crescita del non voto deve far prevalente riferimento alla sommatoria delle cause individuali, di cui quella di sfiducia/ protesta appare la più significativa. In ogni caso alcuni aspetti tecnico-burocratici vanno considerati anche in forma critica per la persistenza di problemi segnalati da tempo ma non risolti come quella degli elettori “fuorisede” (5 milioni di cittadini) per i quali “anche quest’anno non sono previsti interventi per tutelare il loro diritto di partecipare al voto”.

Vero è, al tempo stesso, che un fattore intermedio, tra l’influenza della crisi dei partiti e gli aspetti tecnico-organizzativi, tra le motivazioni dell’aumento dell’astensionismo riguarda il nesso diretto tra queste due questioni. Ciò il declino del radicamento territoriale dei partiti fino a un vero e proprio sfaldamento che lascia parti ampie del paese solo rendendo possibili relazioni affidate ai media e alla rete.  Nella curva crescente del fenomeno va segnalata la crucialità dell’anno 2008, in cui si verificò la maggior crescita di astensionismo elettorale del dopoguerra, assieme a quella del 1996].

Astensionismo e rischio democratico

La complessità del fenomeno comunque è pari alla scarsa rilevanza di una vera preoccupazione pubblica e civile per trasformare questa complessità in consapevolezza collettiva, come scrive Donatella Natta introducendo un interessante dossier con molteplici testi accessibile in rete:

Fatta eccezione per alcuni tipi di consultazione, solo i voti considerati validi concorrono a produrre effetti tangibili sugli esiti dei confronti elettorali”.[6]

Riccardo Cesari, professore ordinario di Metodi matematici per l’economia e le scienze attuariali e finanziarie dell’Università di Bologna, conferma l’ipotesi di un balzo delle astensioni rispetto all’andamento che finora – salendo progressivamente dalla fine degli anni Settanta – ha sfiorato ma non ancora superato il 30 per cento alle elezioni politiche nazionali. Anche se le recentissime amministrative hanno segnalato un netto aumento delle astensioni raggiungendo la cifra del 45 per cento e ancora ricordando che alle elezioni europee del 2019 votarono – cifra record al ribasso – meno del 55 per cento degli elettori). Cesari pone tuttavia un problema di rischio democratico, così espresso:

“Se, per conoscere l’opinione di una popolazione, se ne intervistasse un campione del 60 per cento si otterrebbero risultati molto rappresentativi. Tuttavia, è così solo perché quel 40 per cento che non si è contattato o che non ha risposto è un gruppo casuale e la sua assenza non inficia la rappresentatività del restante 60 per cento. Se, viceversa, quel 40 per cento di assenze è un gruppo sistematico, per esempio tutte donne, o tutti meridionali, o tutti del Nord, o tutti giovani, il risultato di quel sondaggio uscirebbe fortemente distorto e per nulla rappresentativo dell’intera popolazione. Qui sta il problema” [7].

Alla ricerca di una causa rilevante che ha spinto e spinge verso l’astensione il professor Cesari non indica preliminarmente un fattore di razionale giudizio critico nei confronti della politica, ma l’incidenza – in generale e nelle fasce giovanili – del fattore “povertà”.

Con questa argomentazione:

Tra gli aspetti che aiutano a spiegare questi livelli di astensionismo, oltre a questioni logistiche, di costi-opportunità, di habit formation e di forme alternative di partecipazione attiva, credo abbia un ruolo la morsa della povertà, nella doppia tenaglia dei problemi più pressanti che incombono sul potenziale elettore e della forte disillusione che la politica sia ancora capace di darvi una risposta”.

Anche in questo la “distorsione democratica” è espressa da una netta distinzione territoriale in cui il fenomeno ha caratteri molto più evidenti nelle regioni meridionali, rispetto a quelle centro-settentrionali.

Riccardo Cesari riprende infatti questo tema in un secondo contributo:

La relazione tra povertà e astensionismo elettorale oltre a spiegare una quota elevatissima (63%) della variabilità interregionale dell’astensione mostra molto nettamente, nei dati 2018, il ritorno di un dualismo Nord-Sud che si pensava almeno in parte superato”.[8]

Roberto D’Alimonte entra con più nettezza nell’ambito delle cause di sfiducia e di protesta:

“Non esiste un unico motivo per cui sempre meno elettori vanno a votare. Ma tra i vari fattori esplicativi occorre metterne in rilievo soprattutto uno che abbiamo indirettamente già citato a proposito dei referendum: la crisi dei partiti. Al tempo della Prima Repubblica i partiti svolgevano una funzione essenziale di socializzazione, di informazione e di mobilitazione. Non è un caso che l’astensionismo sia cominciato a crescere sensibilmente dall’inizio della Seconda Repubblica dopo il tracollo dei partiti che erano stati i protagonisti della Prima. Il crollo della fiducia nei partiti ha portato con sé il crollo della partecipazione. A livello di elezioni politiche tra quelle del 1994 e quelle del 2018 l’affluenza è calata di quasi quattordici punti percentuali. A livello di elezioni europee è calata di più e lo stesso dicasi ai livelli inferiori. Vedremo cosa succederà alle prossime politiche nella primavera del 2023. È probabile che si sforerà al ribasso la soglia del 70 per cento”.

Sempre nel dibattito di questo agosto 2022 l’analisi della crescita senza soste dell’antipolitica nell’Italia del terzo millennio è un fattore di rilievo nell’impennata delle astensioni.

Francesco Raniolo, docente di Politica e comunicazione all’Università della Calabria, risponde ai quesiti del settimanale Panorama con queste osservazioni:

L’affermarsi della cosiddetta antipolitica ha alimentato quella che è chiamata spirale del discredito, che ha investito la politica e i suoi principali oggetti: partiti, classe politica e Parlamento innanzi tutto. Si aggiunga che questa cultura dell’antipolitica è cresciuta a dismisura al verificarsi di alcuni eventi cruciali che hanno sconvolto le nostre società democratiche. Mi riferisco prima di tutto alla crisi economica del 2008, specie nell’Europa del Sud, che ha alimentato un potenziale di protesta e di risentimento che ha trascinato l’onda populista”.

È il costituzionalista Sabino Cassese a tornare, nel dibattito ferragostano, sul vulnus democratico del discredito dei partiti dettagliando e analizzando la saettante definizione di Mauro Calise (“fragili, volatili inconsistenti”). Il nodo della riflessione è la perdita di democrazia interna del sistema intero dei partiti italiani, venendo così meno la cornice di legittimazione che Piero Calamandrei espresse all’Assemblea Costituente il 4 marzo 1947:

Una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti[11].

Astensionismo, il recente rapporto promosso dal governo Draghi con proposte rimaste per aria

Un’analisi storico-sociologica con molti dati disaggregati del fenomeno dell’astensionismo nelle elezioni politiche in Italia, costella queste analisi in un precedente studio, sempre proveniente dall’Università della Calabria, per gli anni 1992-2012[12].

La Camera dei Deputati in primavera ha segnalato un dossier di documentazione governativo sul fenomeno dell’astensionismo in Italia, nel contesto di una crisi parlamentare che aveva portato ad un governo di emergenza nel febbraio del 2021, sottolineando in alto modo istituzionale la condizione di insufficienza dei partiti rappresentati. Per questa ragione il dossier porta per la prima volta in un atto pubblico la ragione della disaffezione come prima causa.

In rete è disponibile l’intera relazione che ha questo incipit:

Il 22 dicembre 2021 con decreto del Ministro dei rapporti con il Parlamento con delega alle riforme istituzionali è stata istituita la Commissione di esperti con compiti di studio e consulenza, di analisi ed elaborazione di proposte, anche di carattere normativo, e iniziative idonee a favorire la partecipazione dei cittadini al voto, presieduta dal prof. Franco Bassanini. Il 14 aprile 2022 la Commissione ha presentato la relazione finale  dal titolo Per la partecipazione dei cittadini Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto. Dalla relazione emerge come siano diverse le cause dell’astensionismo, in primo luogo i sentimenti di protesta e l’indifferenza dei cittadini nei confronti della politica[14].

Il ministro per le riforme istituzionali Federico D’Incàresponsabile del progetto, interviene nella prefazione del Rapporto, dando spessore alla preoccupazione del governo Draghi per il vulnus democratico del fenomeno rispetto alla modalità definita “occasionale” dei partiti di affrontare il tema:

“A fronte di questa vera e propria malattia della democrazia, desta stupore l’attenzione che viene dedicata al tema dalle forze politiche e dai media, che ne discutono quasi solo nell’imminenza delle consultazioni elettorali. Di astensionismo si parla in genere solo nei pochi giorni prima di un voto e in quelli immediatamente successivi. Ma tra un’elezione e l’altra, quando le istituzioni avrebbero tempo di adottare misure concrete, la questione, come un fiume carsico, si inabissa nuovamente e agende politiche”.

In una parte del Rapporto sono prese in considerazione le condizioni normative e organizzative del voto in molti altri paesi al fine di assumere misure di modernizzazione che possono concorrere alla attenuazione del processo in crescita.

Lo scioglimento delle Camere e l’anticipazione delle elezioni hanno naturalmente derubricato la discussione politico-parlamentare su questo contributo di analisi e sulle misure previste per un programma di contrasto e di incentivazione partecipativa senza che finora la campagna elettorale abbia se non potuto almeno tentatodi tenere in agenda realmente il tema.

Ora, a poco più di un mese dalle urne, gli spazi sono stretti per immaginare che il tema trovi un posto nell’agenda elettorale, anche se sorprende un po’ che l’affollamento degli strateghi del marketing elettorale non veda in questo vero e proprio “giacimento” un’opportunità per cui misurarsi seriamente. Ma forse ha per ora ragione Angelo Panebianco che osserva che

nelle elezioni politiche italiane c’è un sovraccarico etico, dato che, secondo le minoranze politicizzate, da una parte e dall’altra si scontrano il Bene e il Male”.

Argomento che fa prevalere una comunicazione a base di anatemi e non a base di ragionamenti e proposte concrete. Ma, distribuendosi il sovraccarico in parti uguali, c’è anche da pensare che esso non abbia nemmeno il potere di scalfire gli equilibri del grande esercito che si astiene.

Conclusioni

Insomma, l’unico che risulti aver attivato un approfondimento delle cause e messo un comitato di esperti a valutare misure di contrasto attorno a un fenomeno che pur avendo andamenti simili nel mondo è certamente aggravato in Italia da non adeguate misure tecnico-burocratiche e soprattutto da una crisi di fiducia del sistema dei partiti che ha dati inquietanti, è stato (attraverso il suo ministro di competenza) il super-tecnico, indipendente, grand commis dell’economia e della finanza, che i partiti politici italiani hanno indotto a lasciare l’incarico stufi della sua “diversità” e aggressivi in  ordine alla necessità di far tornare “la politica” alla guida del paese.

Se ci fosse un progetto altamente politico da considerare a rimedio della fragilità della democrazia italiana esso dovrebbe tener in seria considerazione, nella sua complessità, proprio l’astensionismo, che nel tempo ha portato ad equiparare il diritto al voto al diritto al non voto, come scrive Linda Laura Sabbadini:

“Attualmente è considerato normale recarsi a votare, come non recarsi a votare. Il deporre la scheda nell’urna è percepito sempre meno come un diritto, e ancor meno come un dovere, e sempre più come una facoltà di cui avvalersi”.

Una condizione in cui la connotazione critica nei confronti dell’involuzione dei partiti non trova più nemmeno la necessità di essere espressa e ricordata, facendo prevalere l’interpretazione storicamente costituita dal principio: “la democrazia è chi c’è” (da sempre bandiera della rappresentanza conservatrice e delle classi agiate).

Detto altrimenti la condivisione internazionale del problema, la crescita progressiva inarrestabile, l’utilizzo a fini pratici dei voti validamente espressi come paradigma decisionale, hanno trovato il modo di lasciare ai margini della consapevolezza sociale, generale e diffusa, le ragioni reali della curva crescente del fenomeno, magari anche nel loro reale peso e nella loro gerarchia.

Appunto, è il governo Draghi ad avere messo, in forma ricognitiva ma anche propositiva, il tema in agenda.

La risposta dei partiti politici, aperta la campagna elettorale, è che nessuno ha additato il fenomeno

Chi scrive nutre qualche fiducia circa il fatto che la questione potrebbe – forse anche dovrebbe – essere sollevata da coloro (per esempio i docenti di materie connesse al tema) che hanno un dialogo aperto con i giovani sull’argomento. Ma soprattutto da chi fa politica e amministrazione pubblica nell’ambito del civismo (quello reale e non quello generato fittiziamente dai partiti in occasione dei turni elettorali) nel quadro di un confronto critico che ha a cuore la rigenerazione della politica.

Tanto per immaginare che – senza neanche discutere la teoria della “democrazia è chi c’è” – il tema della natura e della dimensione degli astenuti riguardi unicamente gli operatori statistici, quelli che hanno infiniti meriti, ma anche un limite: di trattare in generale la realtà come dinamica delle cose avvenute, cioè il passato.