Diritto di accesso agli atti, la Regione Calabria “infilzata” dal Consiglio di Stato

L’arroganza del potere “bastonata” dai giudici amministrativi. Nei giorni scorsi, infatti, c’è stata una pronuncia del Consiglio di Stato che ha pesantemente censurato la Regione Calabria e, una volta di più, ci fa vedere come spenda in maniera inappropriata le proprie risorse (i soldi pubblici), in azioni (giudiziarie e non) al limite del temerario, e ciò dopo essere venuta meno «agli ordinari doveri di ufficio», calpestando il diritto di accesso agli atti del cittadino – lavoratore.
Tanto succede al Consiglio regionale della Calabria, dove una giornalista del soppresso ufficio stampa, dopo essere stata licenziata insieme con altri tre colleghi dopo quasi 20 anni (non frutto di proroghe) di lavoro, si è vista negare l’accesso diretto a ottenere alcuni documenti importanti per il proprio giudizio davanti al giudice del lavoro. Una storia di diniego e di opposizione che, dopo una prima sentenza del Tar Calabria del 2022 che già censurava, seppure in parte, il negato accesso, trova oggi la parola fine nella pesantissima sentenza del Consiglio di Stato in danno della Regione Calabria, la quale aveva conferito mandato all’avv. Giuseppe Naimo perché proponesse appello alla pronuncia del Tar che aveva ordinato il rilascio degli atti illegittimamente negati. Perché poi? Segreto di Stato?

«La Regione Calabria ha impropriamente invocato taluni precedenti giurisprudenziali che nella specie, se non correttamente calibrati, rischierebbero seriamente di trasformarsi in un commodus discessus per amministrazioni inerti e inefficienti che non intendono adempiere ad ordinari compiti d’ufficio», così scrive il Consiglio di Stato nelle conclusioni della sentenza. Una sentenza che evidenzia per certi versi un’arroganza del potere, che potrebbe dar luogo anche a un profilo di abuso di ufficio, si sconfina nel penale, oltre che un danno erariale da valutarsi dinnanzi alla Corte dei Conti, considerato che il Consiglio di Stato, nel rigettare l’appello, ha condannato la Regione alle spese del giudizio già dalla stessa anticipate in sede di gravame, nonché al rimborso delle spese legali a favore del dipendente, con un esborso complessivo di quasi 4.000 euro.

Il Consiglio di Stato, quinta Sezione giurisdizionale, ha quindi messo un punto fermo in ordine all’obbligo che grava in capo all’Amministrazione di rilasciare documentazione formalmente richiesta con istanza di accesso che sia strumentale rispetto alla posizione di un dipendente che voglia tutelare i propri interessi in sede giudiziale, sottolineando che attraverso il rilascio della documentazione richiesta alla P.A. è anche possibile per un dipendente sindacare l’operato e la correttezza della stessa amministrazione per atti relativi al cessato rapporto di lavoro.

E’ anche a ciò preordinato il rilascio di documenti – affermano i giudici di Palazzo Spada – allorché un dipendente verifichi ka sussistenza di possibili inadempienze della P.A. nel legittimo riconoscimento di prerogative lavorative.

Peraltro, nel caso trattato dal Consiglio di Stato, la Regione Calabria si era addirittura assunta la responsabilità di dichiarare la materiale inesistenza di alcuni documenti e l’impossibilità di rilasciarne copia, senza specificare le ragioni, impedendo di fatto al dipendente di chiederne l’accesso senza poter dubitare della veridicità di quanto dichiarato dall’ente.

Al Tar Calabria, che aveva rimesso già in parte ordine a tale diritto negato, la Regione è insorta proponendo appello e adducendo risibili ragioni quali quelle di una oggettiva impossibilità di rilascio perché non documenti “formali” e in ultimo sostenendo che si trattava comunque di documenti o dati non rinvenuti agli atti dell’ufficio, cos’ ritenendo di poter eludere un preciso obbligo nascondendosi sulla non reperibilità degli atti che la P.A. è tenuta a custodire.

Tale veridicità, smentita dalla difesa del dipendente (assistito dall’avvocato Natale Carbone), con documentazione proveniente dalla stessa Regione Calabria, ha fatto emergere l’assoluta inadeguatezza di una P.A. la cui attività dovrebbe essere improntata al rispetto die principi di trasparenza ed efficienza, e non certo a nascondersi dietro inerzie e inadempienze a ordinari compiti di ufficio, laddove nel caso di specie l’adempimento avrebbe unicamente comportato la stampa di appena 200 fogli del tabulato… Fonte: Gazzetta del Sud