(Chiara Spagnolo – repubblica.it) – Parte da Potenza il terremoto giudiziario che ha travolto l’avvocato siciliano Pietro Amara, la gola profonda che di recente ha fatto tremare la politica e il Csm. L’avvocato è destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito di un’inchiesta che riguarda presunti favori relativi a procedimenti che riguardavano l’ex Ilva di Taranto.
Al centro dell’inchiesta l’ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo, arrestato un anno fa per concussione e oggi destinatario di un provvedimento di obbligo di dimora. Amara è stato consulente legale di Ilva quando l’azienda era in amministrazione straordinaria e, in tale veste, avrebbe avuto rapporti – che la Procura lucana considera illeciti – con Capristo.
Agli arresti domiciliari è finito l’avvocato tranese Giacomo Ragno (già condannato nell’ambito del processo sul “Sistema Trani”, che svelò atti di corruzione degli ex magistrati Michele Nardi e Antonio Savasta). In carcere anche il poliziotto Filippo Paradiso, che avrebbe fatto da tramite tra Capristo e Amara.

L’inchiesta coordinata dal procuratore di Potenza, Francesco Curcio ruota intorno alla scelta di Amara come consulente della struttura legale di Ilva in As e partecipe della cosiddetta “trattativa” con la procura per raggiungere quel patteggiamento che qualche anno prima il pool di magistrati allora guidati da Franco Sebastio aveva respinto.
Lo staff legale dell’Ilva alza la posta offrendo il pagamento di una sanzione pecuniaria di 3 milioni di euro, 8 mesi di commissariamento giudiziale e 241 milioni di euro di confisca (invece dei 9 proposti nella prima istanza) come profitto del reato da destinare alla bonifica dello stabilimento siderurgico di Taranto. Ma i giudici della Corte d’assise ritennero “le pene concordate con i rappresentati della pubblica accusa” sono “sommamente inadeguate e affatto rispondenti a doverosi canoni di proporzionalità rispetto alla estrema gravità dei fatti oggetto di contestazione”.
Ma non è tutto. Nel periodo della trattativa, l’avvocato Giuseppe Argentino, figlio dell’allora procuratore aggiunto Pietro, poi nominato a capo della procura di Matera, entra a far parte dello studio Amara a Roma. A questo si aggiunge che a marzo 2017, due società, la “Dagi” e la “Entropia Energy”, di cui Amara è amministratore di fatto, si domiciliano a Martina Franca, in provincia di Taranto: come risulta dagli atti dell’inchiesta di Roma che coinvolse Amara, Giuseppe Argentino è indicato come uno dei consulenti della società. Un vortice di incarichi, ruoli, richieste e legami che diventa sempre più complesso e intricato. E che oggi, secondo la procura di Potenza, è stato sbrogliato.