Foraffascinu, una commedia ca fa ‘mmidia

Arrivo un po’ prima dell’inizio dello spettacolo. Voglio respirare anche io l’atmosfera che c’è dietro le quinte. E’ qui che si colgono umori e sensazioni prima dello spettacolo. Voglio da subito misurare con il termometro della mia sapienza il grado di preparazione e di organizzazione della compagnia. Per la stesura della mia recensione, direi, è fondamentale cogliere alcuni aspetti e dettagli che altrimenti sul palcoscenico non si scorgerebbero. Tutto questo, per definire una analisi completa dell’opera. Almeno così facciamo noi critici teatrali di un certo livello. Ognuno ha i suoi metodi.

La “location” è l’auditorium del Liceo Classico “Bernardino Telesio”. Un palcoscenico che bene conoscono gli associati della Terra Di Piero. Che, come si sa, promuove lo spettacolo: Foraffascinu, prova a dire cuddruriaddri. Uno spettacolo che come Conzativicci è finalizzato alla raccolta fondi per la realizzazione di un parco giochi per bambini inclusivo, senza barriere, e accessibile a tutti, in pieno centro cittadino. Costruzione che pare essere alle battute finali. Probabilmente per primavera tutti i bimbi di questa città potranno giocare e socializzare in uno spazio a loro dedicato. Una azione nobile che rende merito non solo a chi da tempo la promuove ma a tutta la città che ha partecipato a questo progetto attivamente. Una sensibilità dimostrata che annulla tutti i difetti negativi dei cosentini, a cui il novello commediografo Canaletto non risparmia, nei suoi scritti, sarcasmo, derisione, irrisione, canzonatura. Del resto, la scrittura del Canaletto, è di questo che si nutre. Detto questo, che era doveroso, andiamo alla recensione, dello spettacolo di ieri, che poi è quello che noi critici teatrali di un certo livello siamo chiamati a fare.

Una prima occhiata dietro le quinte svela subito una atmosfera serena. Sì, c’è molto movimento e frenesia, ma tutto pare seguire un ordine prestabilito, come se ci fosse un copione da seguire anche per dietro le quinte. Com’è mia consuetudine dò uno sguardo al camerino delle donne: una marea. Sono tante le presenze femminili. Pare, a me, da una prima panoramica, che la taglia questa volta langue. Memore, evidentemente, e ancora influenzato dalle “prorompenza” di Conzativicci. L’occhio mi ci è andato, il paragone mi è venuto spontaneo. Di questo, comunque, mi ricrederò da lì a poco.

L’aria che si respira è quella da debuttanti, e tutto sembra filare liscio. Attori e comparse sono alle battute finali del trucco. Sono quasi le otto e già la gente inizia ad entrare copiosa. Meno di mezz’ora e l’Auditorium è pieno in ogni ordine e grado, e la compagnia pronta all’entrata in scena.

Ad aprire, come sempre, è Francesca, che agile si muove tra le parole, spigliata e diretta come suo stile. Nella presentazione, Francesca, che a guardarla bene apre la strada verso il mio ripensamento in merito al languire della taglia, lancia una zippa che non ti dico.

Senza mezzi termini si scaglia contro alcuni che da tempo, sui social e non solo, sputano veleno con basse insinuazioni sulla Associazione, e in particolare su Sergio. Insinuazioni, ovviamente, rispedite al mittente, non solo da un pragmatico Canaletto, con un “ni fricamu i loru”, ma da tutto il pubblico presente.

Nota di costume a parte, lo spettacolo può iniziare. E qui devo dire che iniziano i problemi. Deontologicamente parlando mi tocca essere sincero. Anche i critici teatrali di un certo livello rispondono ad una deontologia, anzi nel nostro caso la responsabilità è maggiore, dobbiamo per legge “divina” dire la verità. Non posso contraddire me stesso, nè tradire il mio mestiere. Devo tirare fuori ciò che l’intimo della mia coscienza urla. Ho l’obbligo di dargli voce. E così faccio: non ho capito come possa un rozzo giardiniere – diciamoci la verità, Sergio non è proprio quello che definiresti una persona elegante, in questo senso rozzo – aver appreso, così, senza mai leggere neanche un mio libro, senza aver fatto nessun master, o accademia, l’arte della commedia, al punto di scriverla e metterla in scena? Mah! Questo è un mistero. Mi tocca essere sincero, questa cosa mi provoca una invidia che non ti dico: ma come, io che ho passato la vita a studiare e a leggere tutto sul teatro, e a scrivere libri, mi tocca mettermi al pari con lui, che un po’ ignorantello è? Questa cosa, che sono costretto ad ammettere, mi urta. E non poco. A ‘mmmdia mi sta mangiannu vivu. Mi tocca riconoscergli la propensione all’apprendimento. Questo suo nuovo spettacolo pare scritto da un commediografo navigato. E’ come se avesse, sin da bambino, mangiato pane e messa in scena. Ciò che per noi è valso anni di studio, per lui sembra essere naturale. Chi ‘mmidia. Cchi raggia. Purtroppo non si può negare questo, il riscontro è lì davanti agli occhi: un pubblico che ride e apprezza. Devo per forza scrivere la verità. Cchi raggia!

La bellezza di questa sua nuova commedia sta nel pretesto che la narrazione usa per parlare di diversità: la gastronomia. Sua maestà u cuddruriaddru. Una metafora azzeccata, perché si sa che il cibo è identità. Quale cusentinu non si sente rappresentato dai cudduriaddri? Anzi ne siamo orgogliosi. Ed è qui, in questo orgoglio collettivo, che un “furbetto” Umberto Stozzi, decide di metter in atto un esperimento sociologico. Dichiara pubblicamente che a lui i cuddruriaddri non piacciono, anzi che gli puzzano, addirittura che li schifa. Una “ammissione” che scatena il panico. Una confessione che spezza l’integrità collettiva di una comunità.

Non può essere che a un cosentino non piacciono i cuddruriaddri. Una specie d’eresia che va cancellata a tutti i costi, anche ricorrendo al magico, al demoniaco. Pur di redimerlo, Umberto viene catapultato diritto all’inferno, dove un malvagio e ansioso Belzeblù, preso da una gulia irrefrenabile di scirubbetta, che non può mangiare per via dell’eterno calore che c’è all’inferno, si rende disponibile a risolvere il problema del diverso Umberto, pur di ottenerne una tazza.

golose

Il tutto si sussegue in una serie di sketch esilaranti, tipici della commedia vernacolare, dove tutti sono all’opera per di convincere Umberto a ritornare indietro da questa sua eresia: megere, golose, tentatrici, lussuriose, tutti coalizzati contro Umberto il diverso. Ma Umberto non molla. Rivendica questa sua diversità. E si barcamena, pur di non retrocedere rispetto al suo “esperimento”, tra mille peripezie. Non posso raccontarvi pienamente la storia, né perché Umberto decide di dire questa bugia, né se realmente a lui piacciono o no i cuddruriaddri, proprio per non rovinarvi la visione, dato che ci saranno altre repliche. Ma voglio sottolineare tre piccole perle: il monologo sul “potere”, recitato da Belzeblù, e quello sul cuddruriaddru, recitato da Umberto Stozzi, e il Tango.

Bellissima, l’ho già detto ma lo ripeto, la metafora gastronomica: avete mai visto nu cuddruriaddriu uguale all’altro? No. E’ impossibile replicarlo. Non è “omologabile”. E’ la sua unicità che lo rende osannato e venerato, oltre che gustato.

tango

Un finale, quello di Foraffascinu, che si avventura nel politico, l’arte nobile, e ne esce indenne: senza retorica, né ipocrisia. Non fosse altro perché, a scrivere questa commedia è stato un uomo che da sempre, nonostante quel pizzico di antipatia che si sa cacciassa un sarebbe mali, sa come stare in mezzo agli uomini. Con onestà e umanità (cchi ‘mmidia!).

P.S. Mi tocca dirlo, uno spettacolo da vedere (cchi ‘mmidia). Come mi tocca dire (cchi ‘mmidia) che la seconda è andata.

Puoi, da adesso in poi considerarti, caro Canaletto, uno di noi (cchi raggia).

GdD