Franco Pino, ascesa e discesa di un pentito

Franco Pino

Sono passati 21 anni da quel 1995 che passò alla storia di Cosenza come l’anno del pentimento del boss Franco Pino. 

La notizia la annunciò il neonato Quotidiano della Calabria, diretto da Pantaleone Sergi, che aveva un filo diretto col capitano Angelo Giurgola, il carabiniere che materialmente raccolse le prime dichiarazioni di Franco Pino e realizzò il patto che il boss, in carcere, aveva siglato con la procura di Cosenza per mandare a puttane il processo Garden. L’operazione era stata messa a segno il 10 ottobre 1994 ma, di fatto, quelle vecchie volpi di Alfredo Serafini e Mario Spagnuolo già stavano lavorando per neutralizzarla.

Oggi, a 21 anni di distanza, un nuovo pentito, vecchio allievo di Franco Pino, pare che stia vuotando il sacco. Corsi e ricorsi storici.

Franco Pino è nato a Cosenza il 26 marzo 1952 e secondo Nicola Gratteri è l’unico vero pentito di ‘ndrangheta oltre al reggino Filippo Barreca. Peccato, però, che sia stato sempre usato dai magistrati per dire cazzate o per neutralizzare processi troppo pericolosi.

La sua biografia dice che è figlio di un’insegnante e di un macellaio (che con la mala e con la ‘ndrangheta non ebbero mai a che fare), si prese il diploma con buoni voti e aprì un negozio di fiori. Ma un bel giorno, per difendere l’onore della sorella infastidita da un delinquentello, finì in carcere, e uscito di lì entrò nella mala cosentina. Scalò la gerarchia della ‘ndrangheta fino a raggiungere il grado di “diritto e medaglione”, conferito dal padrino Umberto Bellocco.

Fu lui che, ordinando l’uccisione di Luigi Palermo, detto “ u Zorru (il 14 dicembre 1977 vicino al cinema Garden, a Rende, a colpi di pistola sparati da due killer), trapiantò la ‘ndrangheta nel territorio cosentino.

omicidio palermo u Zorru era il suo capo e il capo di tutta la criminalità cosentina, ma siccome sfruttava le prostitute, la ‘ndrangheta non voleva averci niente a che fare. Lo uccise perché era contrario allo spaccio della droga ma anche perché non sopportava il fatto di essere stato chiamato «infame» da lui davanti a tutti (in effetti aveva fatto arrestare un suo nipote acquisito, Franco Perna, confidando ai carabinieri che era il responsabile di una rapina a un treno carico di denaro e gioielli).

Morto “‘U Zorru”, fu Perna a pretendere di assumere la guida del clan, e come prima cosa organizzò un’imboscata contro Pino che andava a festeggiare la sua scarcerazione (13 luglio 1978, ci furono solo feriti). Fu guerra di successione. Da una parte i Pino-Sena, dall’altra i Perna-Pranno-Vitelli. I due si strutturarono secondo le gerarchie previste della ‘ndrangheta e accettandone i riti appresi in carcere.

pernaAvendo una cosca piccola, Franco Pino cercò di allearsi ai Piriomalli di Gioia Tauro o ai Condello di Reggio, offrendo anche servizi di killeraggio, per esempio il duplice omicidio Geria-Saffioti (in Scalea, Cosenza, 6 agosto 1983). Adoperò anche sicari di Cutolo, che nessuno conosceva e che poi lui aiutava a nascondersi.

Momento culminante della guerra con Perna (che contò 27 morti): quando, essendo rinchiuso a Colle Triglio, spararono contro la finestra della sua cella, mancando lui ma uccidendo un suo fedelissimo. Pino rispose organizzando un assalto contro il padiglione che ospitava i detenuti affiliati a Perna (senza conseguenze). Poi riferì ai carabinieri il colore dell’auto usata dai killer per venirlo ad ammazzare.

C’era un avvocato, Silvio Sesti, che serviva entrambi i clan e andò a riferire a Perna che Pino aveva raccontato ai carabinieri il fatto del colore dell’auto. Sesti venne poi ammazzato il 21 giugno 1982, ma Pino, su richiesta dello stesso pm Stefano Tocci, non fu ritenuto colpevole.

Silvio Sesti
Silvio Sesti

Non era stato lui il mandante, ma, come scriviamo nella categoria Cold Case, erano i penalisti cosentini che non ne potevano più della “bravura” di Sesti e perciò lo fecero uccidere. Lo avevano capito anche i bambini ma non la procura di Cosenza, guidata dal peggiore, Oreste Nicastro, che fece finta di nulla.

La pace tra i due gruppi venne siglata nel 1986, bar Due Palme in pieno centro di Cosenza, garanti i boss Giuseppe Pesce di Rosarno e Giuseppe Piromalli di Gioia Tauro.

Franco Pino venne catturato in Sila nel 1994, nell’ambito dell’operazione Garden.

Si pentì, con grande scalpore, qualche mese dopo. Fece ritrovare ai carabinieri del colonnello Giovanni Nistri tutto l’arsenale della cosca (sepolto nelle montagne in casse a tenuta stagna), poi rivelò struttura del gruppo e alleanze con le cosche degli altri territori.

Parlò pure dell’espansione della ‘ndrangheta nella Romania del dopo Ceausescu (dove i clan, corrompendo funzionari di Stato, stavano per accaparrarsi i lavori per la costruzione del nuovo aeroporto di Bucarest e di un’autostrada lunga settecento chilometri).

Parlò di appalti e tangenti (dopo avere imposto chi doveva rifornire di pane la mensa dell’Università e dell’ospedale di Cosenza, aveva preteso anche che i suoi picciotti ci andassero a pranzare gratis). Fu condannato per tutti i delitti confessati, nel 2000, con le attenuanti riconosciute ai collaboratori di giustizia (negate in primo grado).

foto-mancini-1Fece dichiarazioni che, insieme a quelle di altri pentiti, motivarono l’accusa per concorso esterno in associazione mafiosa contro l’onorevole Giacomo Mancini, socialista, salvo precisare poi di non aver mai detto di avere avuto contatti con lui, bensì di aver fatto un patto di scambio con l’ex consigliere regionale del Psdi Pino Tursi Prato alle elezioni regionali del 90 e poi alle elezioni comunali del 93 (l’ultima volta in favore di Mancini, candidato sindaco di Cosenza). Mancini fu assolto, Tursi Prato condannato. Un risultato pessimo, frutto di dichiarazioni che non stavano né in cielo e né in terra.

pino_tursi_pratoEra chiaro che era manovrato e che gli facevano dire quello che volevano loro, i magistrati deviati e corrotti.
Fece scandalo dichiarando che la squadra di calcio del Cosenza gli aveva dato dei soldi per comprare la vittoria in due partite: con l’Avellino, nell’89, e con il Pescara, nel 94 (che però vinse lo stesso, 2 a 0). Erano delle puttanate grandissime, ma evidentemente servivano per fare scena.

Più o meno come le cazzate che disse a più riprese sul barbaro omicidio di Roberta Lanzino. Addossò le responsabilità ai Sansone ma era chiarissimo fin da subito che non era così. E la stella del pentito Franco Pino inevitabilmente si è affievolita. Fino a farlo diventare, da più grande pentito di ‘ndrangheta a pentito pressoché inaffidabile.