Gioacchino Criaco: “Elkann, i Consorzi di Bonifica calabresi e l’educazione al disamore per la terra”

dalla pagina FB di Gioacchino Criaco

Elkann, i Consorzi di Bonifica calabresi e l’educazione al disamore per la terra

Popolarissimo quanto inutile, imperversa da giorni il dibattito su un articolo scritto da un anziano signore. Moltissimi lo hanno letto, lo commentano per sentirsi parte di un contesto, in un verso o in un altro, o per dirsi differenti. Il nulla, si potrebbe dire, accollandosi il rischio di apparire troppo seriosi. Un nulla che è la costante di un’informazione generalista molto pseudo. E non c’è nulla che più del “nulla” attiri. Viviamo sempre più del nulla, precipitiamo nel vuoto. Provare a parlare di un qualunque argomento, che abbia una qualsiasi utilità, diventa arroganza, supponenza e, comunque, ci si indirizza a un ristretto numero di persone.

Figurarsi se uno dicesse “consorzio di bonifica”, un’espressione aliena, distante da un linguaggio moderno, social. Eppure, in Calabria, all’ultima seduta, prima delle meritate ferie, la politica dispone la modifica della legge regionale sui consorzi, prevedendone la soppressione degli 11 esistenti, sostituendoli con un unico ente e 11 nuove diramazioni. Senza troppi tecnicismi: i consorzi si occupano della terra, l’irrigazione, la bonifica, l’efficientamento.

Missione importante se la terra fosse importante. In genere dei consorzi ci accorgiamo per certe strane cartelle esattoriali che ci arrivano chiedendoci un dazio per proprietà antiche, ereditate dai nonni di cui non conosciamo né l’ubicazione né conoscevamo l’esistenza: vivono solo sulla carta dei bollettini da pagare. Ciò perché la terra è morta. L’hanno uccisa togliendole quello che era il rapporto primario: figli-madre. Mi attacco al seno e mi nutro. Vivo. Ora non ci attacchiamo al seno, il latte ce lo fornisce il farmacista o il supermercato. La terra diventa elemento estraneo all’umanità, in cui un sistema si sostituisce ad essa, diventandone l’intermediario, la figura centrale per soddisfare i bisogni prima appagati col rapporto diretto. È un’educazione all’estraneità, al disamore. È l’effetto di una cultura complice che ha circondato il rapporto con la terra di disvalori: allontanarsi dalla polvere è diventato emancipazione, modernità. Più lo si distrugge il suolo e più si va verso il futuro, ci si inurba e ci si evolve. E più ci si integra, stando alla pari con tutti e disquisendo amabilmente di Proust e delle turbe prostatiche di un vecchio signore. È così che ci si ritrova sul Promontorio dello Zefiro a respirare un fiato di morte che una schiera di traditori innesca attraverso i roghi.

in foto lo Zefiro