Che qualcuno abbia provato ad insabbiare o a fermare l’inchiesta condotta dal PM Pierpaolo Bruni della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro sul voto di scambio a Cosenza e Rende tra esponenti politici e candidati a sindaco e appartenenti alle cosche locali, è pacifico.
Ci saremmo meravigliati del contrario, cioè, che nessuno dei marpioni politici coinvolti si stesse adoperando proprio per bloccarla. Cosa che conferma pienamente, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che questa inchiesta esiste. Altrimenti perché adoperarsi a fermarla se non esiste?
Che tale dottor Loi (del ministero degli Interni) si sia recato più volte dal prefetto di Cosenza per “sondare”, con la scusa che siamo a ridosso delle elezioni, se fosse opportuno o meno far scattare una operazione antimafia, legando il quesito (a trucco) ad eventuali problemi di ordine pubblico, lo sanno tutti.
Viene da chiedersi: chi ha dato mandato al dottor Loi di dare questo “consiglio” al prefetto? E poi com’è possibile che un funzionario del ministero degli Interni si interessi, nelle segrete stanze del prefetto, di argomenti che attengono a competenze della procura distrettuale antimafia, libera ed indipendente?
Domande che abbiamo già posto a chi dovere in un precedente articolo. Un tentativo, quello di appattare, che a quanto pare è stato rispedito al mittente. Ma non c’è solo questo a confermare l’esistenza dell’inchiesta della DDA, ma anche tanta carta che canta.
Su tutte, le dichiarazioni di diverse pentiti. Messe nero su bianco. Pentiti, come nel caso di Adolfo Foggetti, la cui attendibilità è stata dimostrata. Lo stesso ha fatto ritrovare il corpo del povero Luca Bruni. E non solo.

Le sue dichiarazioni, sulla compravendita di voti tra la sua cosca e diversi politici della città (Occhiuto, Paolini, Manna, Greco, Principe) le abbiamo lette tutti. Oltre ai racconti sugli aspetti criminali in città: nomi, cognomi, indirizzi, codici fiscali, fatti e circostanze. Dichiarazioni sulle quali da oltre un anno stanno lavorando gli investigatori.
Ma nonostante ciò, lo scetticismo a Cosenza dilaga. La scarsa fiducia nella giustizia dalle nostre parti prende il sopravvento. Memori anche del passato. Cci simu già ‘ncappati. Questa volta, però, mi sento di dire, che non è come quando si pentì Franco Pino.

Un paragone che tutti i cosentini, disillusi da questa giustizia troppa corrotta, soprattutto nel tribunale di Cosenza, usano, per dire che come allora anche questa volta non succederà niente. Arresteranno qualche venditore di bustine e i politici, che con i malandrini vanno a braccetto, la faranno franca anche questa volta.
Ma voglio sottolineare che il contesto politico, sociale, della città di oggi è diverso da quello di allora. Che Franco Pino avesse coinvolto dei politici nelle sue dichiarazioni è sempre stata solo una voce. E’ chiaro che tutti i cosentini sapevano e sanno che questa commistione tra Franco Pino e la politica di quegli anni è sempre esistita.
Così come avviene ancora adesso, con nuovi malandrini e nuovi politici. Perché era sotto gli occhi di tutti. Ma, a differenza di oggi, le cantate di Franco Pino sui politici di allora non abbiamo mai avuto modo di leggerle, di “verificarle” come è successo invece con quelle di Foggetti. Un elemento di non poco conto. Mentre allora hanno potuto insabbiare perché le dichiarazioni che coinvolgevano i politici furono fatte sparire, questa volta grazie alla fuga dei verbali di Foggetti ad opera dell’avvocato Sammarco, le cantate sono diventate “ufficiali” e a disposizione della città.
Nessuno può nascondere questa volta, come fecero con Franco Pino, che i nomi dei politici sono stati fatti. Le cantate di cui parliamo le trovate sul nostro sito alla categoria cronaca “Le cantate di Adolfo ed Ernesto Foggetti”. Pagine che hanno catturato l’attenzione dei lettori. Infatti le visualizzazioni individuali di ogni articolo hanno superato i 40.000 clic.
Come bene sa la digos che monitorizza giornalmente il nostro sito. E’ come se, a leggerle, i cosentini avessero avuta la conferma scritta di tutto quello che hanno sempre visto e saputo. Una specie di “certificazione”. In altre parole: oggi c’è una coscienza sociale diversa da allora, dove tutto si riduceva a malavita, sciampagna e palluni. A stuazzi e pitazzi la città è cresciuta e non penso che accetterà supinamente un altro insabbiamento.
Anche i cosentini meritano un po’ di rispetto e legalità. Ed i magistrati impegnati in queste indagini dovranno dar conto a loro, prima ancora che alla politica corrotta. O ai loro capi che tentano in tutti i modi di fermare l’inchiesta perché coinvolti anch’essi in intrallazzi e coperture.
Oggi qualcuno ha il dovere di spezzare questa catena e restituire il senso dello stato e delle istituzioni ai cittadini che da tempo lo hanno smarrito. Dovrebbe essere la politica sana di questa città a prendere questa l’iniziativa, ma qui non esiste niente di simile neanche nei 5 stelle (non parlo dei militanti ma di Morra e del suo candidato Coscarelli espressione del cinghiale e dei poteri politici), figuriamoci nella solita politica chi c’è.
Chi si è adoperato per fermare l’inchiesta non è mistero: un po’ tutti. Sia dalla parte di Occhiuto che da parte del PD, senza contare le pesanti amicizie che il sindaco Manna, che di pentiti se ne intende, ha messo in campo, compreso Paolini. Ricordiamoci che Jole Santelli, per quanto adesso conti come il due di coppe quando la briscola è a bastoni, è stata sottosegretario alla giustizia. Di gente ne conosce. Qualche piacere l’ha fatto, e può chiederne la restituzione.
Vuoi che qualche telefonata non l’abbia fatta anche per informarsi sulla posizione di Occhiuto? Dai, non raccontiamoci palle, ci può stare, sono amici. Se non l’aiuta lei, ad Occhiuto che è rimasto solo come un cane (politicamente parlando), chi vuoi che lo faccia, Roberto il fratello? Che non se lo inquadra nessuno? Certo, Jole e Roberto si muovono insieme su questa cosa. Ma è lei che conosce. Poi c’è il forte coinvolgimento di importanti esponenti del PD, in questa inchiesta, quali Sandro Principe. Senza contare l’informativa dei carabinieri sulle primarie del PD e i contatti del partito con la mala locale.
Se poi ci metti anche Orlandino Greco, che è capogruppo in consiglio regionale della lista “Oliverio Presidente”, la situazione del Pd precipita. Vuoi che anche qui, i vertici del PD nazionale, capita l’antifona, una pensatina a rivedere questa cosa, che forse gli è sfuggita di mano, non ce l’abbiano fatta? Insomma, l’insabbiamento di questa inchiesta starebbe bene un po’ a tutti.
Anche se viene da pensare: come mai prima il PD la fomenta, l’inchiesta, anzi, la agita come spauracchio anche nei confronti dei consiglieri dimissionari, per indurli a firmare, e oggi si adopera per fermarla? Perché è molto probabile, che oltre al coinvolgimento di Sandro Principe, che magari poteva anche stare bene a qualcuno del partito, una occasione per levarselo da torno, che il PD ci sia dentro più di quando si pensi in questa inchiesta. Altri nomi sarebbero stati fatti. E quindi non bisogna più fomentarla. Anche se questo di fatto ora crea un serio problema politico in città, visto che il PD aveva puntato tutto sull’azzoppamento giudiziario dei suoi avversari politici.
Se il quadro dei candidati rimane immutato, sono cavoli per il PD. Ed ecco che qualche vecchio marpione avrà di sicuro pensato che ammupiando questa inchiesta della DDA, dove sono tutti insieme destra e sinistra, ed è meglio farla sparire, se ne può sempre far aprire un’altra ad hoc e ad personam, giusto per stroncare qualche avversario ostico alle prossime amministrative a Cosenza. Una ipotesi che in questa cultura della corruzione diffusa non è peregrina. Ma che per vedere la sua realizzazione ha bisogno di un forte potere politico. Che non tutti hanno.
Generalmente chi è al governo, e quindi esercita potere, ha più “ascendente” su quei magistrati sempre pronti a far carriera, a conquistar privilegi, costi quel che costi. In tre parole: disponibili a vendersi. Una situazione, quella che stiamo vivendo in questi giorni a Cosenza, che dire confusa è dire poco. Una incertezza diffusa che ci fa vivere alla giornata, cittadini e politici. Che in un modo o nell’altro, a breve, dovrà sbloccarsi. Non si può più stare con l’acqua alla gola, politicamente parlando. Ma anche socialmente.
Concludo dicendo che, nonostante le decennali vessazioni da me patite dalla giustizia, io ci credo nell’onestà degli uomini, e a tal proposito voglio ricordare le parole del Pm Pierpaolo Bruni all’indomani dell’arresto del boss Ettore Lanzino, dopo la perquisizione di quello che era stato negli ultimi mesi di latitanza il suo covo: «Emerge un allarmante quadro di collusioni tra la criminalità organizzata e le istituzioni sotto gli occhi di tutti e nell’indifferenza generale. Questa è la Calabria ma anche l’Italia». Ecco. Io credo negli uomini, e credo che una pronuncia così precisa non possa essere solo di facciata.
GdD