E’ giusto che qualcuno vada in galera per le cose che scrive?

Sto ricevendo tantissimi messaggi privati in merito all’articolo mio e di Silvio, pubblicato oggi sulle pagine de “il manifesto”, a proposito del caso iacchite’. Alcuni sono commenti di sincera condivisione, altri di aspra critica, com’è naturale che sia. Premesso che considero ipocrita chi sostiene la necessità di un’esposizione asettica degli eventi, e che il modello del “giornalismo anglosassone” lo lascio ai cronisti telecomandati, l’articolo si limita a raccontare i fatti fornendo numeri e dati oggettivi, pur lasciando trasparire, come da sempre siamo abituati a fare, il nostro fazioso orientamento. Qui né devo né voglio fornire giustificazioni per i pezzi che scriviamo. Avverto però il bisogno di sviscerare alcuni punti, anche per una questione di praticità: rispondo una volta sola a tutti quelli che mi stanno inviando messaggi.

Emotivo. Non saprei trovare un altro aggettivo per descrivere il mio rapporto con iacchite’. Suscita in me emozioni. Tra me, Michele e Gabriele esiste un’amicizia antica. Nei confronti del lavoro che svolgono, ho maturato un’affinità critica. Anzitutto, io non sono in sintonia con loro quando si scagliano contro i movimenti antagonisti. Meriterebbero più rispetto gli attivisti per la difesa dei beni comuni, il diritto all’abitare, la dignità di precari e migranti, l’autonomia degli spazi sociali. Per una semplice ragione: dedicano gran parte della propria esistenza all’Altro e alla costruzione di un mondo diverso.
Al contrario, ogni volta che Michele e Gabriele strapazzano signorotti incalliti e solidi potentati, godo. Mi rallegra sapere che nel sottobosco popolato da quelli che in questo sistema ci sguazzano, nessuno si sente più al riparo dalla gogna internautica.
Vorrei frenare le mie emozioni, ma non riesco.

Invece, quando denigra persone che conosco, ad alcune delle quali sono legato da affetto sincero, iacchite’ mi fa incazzare. Perché, a prescindere dell’amicizia che provo per alcuni degli individui che loro prendono di mira, non credo che questi soggetti meritino il linciaggio e la forca digitale. A volte aborro il linguaggio adoperato da iacchite’. E non mi esalto quando s’incunea nella vita privata di donne e uomini che, non avendo scelto di fare i politici, non sono personaggi pubblici. Gli apparati dello Stato lo hanno fatto diverse volte a mio danno: con la scusa di indagare sulle cose che scrivo, penso e dico, hanno scoperchiato i miei affetti, il mio stile di vita. Non posso augurare ad altri di subire lo stesso trattamento. Non lo auguro a nessuno.

Però una cosa è sicura: mi provoca nausea la lamentazione delle “anime belle”, quelle che si appellano alla convenzione di Ginevra, che interpellano gli avvocati e si stracciano le vesti per sfoderare il sacro etico torace. Troppa gente ha cavalcato i mostri peggiori, blandendoli come barboncini, pur di ritagliarsi un posticino all’asciutto nella palude sociale in cui annaspiamo. E quanti dei cronisti che oggi allibiscono dinanzi alle scorribande di iacchite’, hanno riversato nelle notizie che confezionavano, al soldo di editori aguzzini, le informazioni carpite agli affetti che coltivavano, alle relazioni che fingevano di costruire, ai marciapiedi che calpestavano?

Iacchite’ spesso racconta al mondo intero quel che la gente mormora, spinge a sublimazione episodi lievitati a suon di aggettivi. Ma perché? Media mainstream e quotidiani cartacei, dalla notte dei tempi, si comportano forse in modo diverso? Chi è senza odio, scagli il primo mazzo di fiori. E se ha argomenti per replicare, invece di piagnucolare tra gli studi legali e le stanze della digos, impugni la penna e smentisca quel che scrive iacchite’. Oppure, se non merita di essere preso sul serio, lo ignori. Conosco diverse persone che lo hanno fatto, che si sono difese a viso aperto, mediante la tastiera. E per questo motivo, le stimo. Sebbene si ritengano ferite dagli articoli di Michele e Gabriele, non vorrebbero vederli confinati dietro le sbarre. Allora, discutiamo di questo. È giusto che qualcuno vada in galera per le cose che scrive? E al di là di questo caso specifico, in generale, la società in cui viviamo, può fare a meno del carcere? Io penso di sì.

Claudio Dionesalvi