Gli sciacalli miracolati muovono guerra al Reddito di Cittadinanza

(DI DANIELA RANIERI – Il Fatto Quotidiano) – Allo scopo presumibile di vendere qualche copia in più del suo nuovo libro (chiamiamolo così per brevità: in realtà è la solita impepata di veleni, gossip, vanagloria e piagnisteo), Matteo Renzi fa sapere che in questo momento storico la priorità per il suo non-partito è abolire il Reddito di Cittadinanza. Già l’anno scorso aveva avviato una raccolta firme allo scopo di indire un referendum (visto che gli riescono così bene) contro questa misura di lotta alla povertà, ma aveva racimolato solo 5 mila firme (praticamente una petizione di quartiere) e non ne aveva più parlato. Quale momento migliore di questo per riproporla, dopo una pandemia che ha fatto un altro milione di poveri, con una carestia di guerra alle porte e nella tempesta dei rincari energetici?

Renzi non è solo in questa battaglia. Contro il Rdc c’è tutto mondo culturale ostile al M5S: dal Pd, che votò contro, a Salvini, a Giorgia Meloni.

Se di Renzi e del suo mondo immaginario in cui gli imprenditori sono illuminati elargitori di ricchezza e i poveri dei furbacchioni che campano sulle spalle di “chi si spacca la schiena” (cioè degli imprenditori e di chi lavora in condizioni indegne) sappiamo fin troppo, le ragioni di Meloni sono apparentemente meno chiare. I richiami al “popolo” della leader aspirante capo del governo sembrano stridere con la guerra alla principale misura di sostegno ai poveri, misura che lei chiama “metadone”, per cui i poveri sarebbero dei drogati di indolenza e inoperosità che lo Stato rimpinza artificialmente. Ciò appare in contrasto con l’immagine di Fratelli d’Italia come destra sociale, amica (e spesso sponsor) di quella destra estrema che porta i pacchi alimentari alle famiglie in difficoltà. Ma cosa induce Meloni a respingere milioni di poveri dal suo potenziale elettorato?

I neoliberisti alla Blair vi sono indotti dal disprezzo per i poveri, dalla fede in una società competitiva e spietata, dalla volontà di dipingere gli svantaggiati come persone che hanno fallito l’obiettivo di crescere e affermarsi nella società, motivo per cui vanno punite, non premiate in denaro. Se li si affama, è il loro ragionamento, alzeranno le terga dal divano e accetteranno anche i lavori più miserabili. Lo schiavismo è l’asintoto a cui tendere per far girare l’economia.

Ciò che accomuna la destra renziana e meloniana è l’assunto che la collettività sia divisa in due: sotto ci sono i parassiti, che hanno trovato la scusa per non lavorare percependo una manna di aiuti pubblici (568 euro al mese in media); sopra, i produttivi, che sono i padroni della piramide sociale.

Questa impostura si basa sulla certezza che gli italiani non sappiano come funziona e a chi va il Rdc: secondo l’Inps, solo un terzo dei percettori è in grado di lavorare; costoro andrebbero quindi obbligati a lavorare (anche per meno di 500 euro), mentre gli altri – anziani, disabili – possono pure morire di fame. In tutti i Paesi della Ue esistono misure di contrasto alla povertà, ma solo da noi l’élite dei privilegiati ritiene che siano gli improduttivi ad aver rotto il patto sociale. Questa aberrazione ha origine nel tradimento della natura della polis: costoro, benché “politici”, sanno di essere dei miracolati, essendo inabili a qualunque lavoro manuale o intellettuale che non sia presenziare alle conferenze di dittatori arabi, sbrigare affari di partito, postare scemenze e selfie sui social, sperperare soldi pubblici in propaganda e vivere al riparo da ogni schizzo di realtà e di fatica. Gli interessa capitalizzare il consenso della loro parte sociale: i “datori di lavoro” milionari che piangono miseria, Renzi; il ceto medio, Meloni. Il modello di cittadino ideale di Renzi è Elon Musk; quello di Meloni il patriota proprietario di piccola ditta (un tempo leghista), non il poverissimo e di certo non l’immigrato (altra impostura: per prendere il Rdc occorrono 10 anni di residenza continuativa in Italia).

Perciò ritengono una priorità eliminare il Rdc, non alzare il salario minimo: in sostanza il Rdc fa concorrenza sleale ai salari da fame dei loro amici confindustriali. L’Italia è il quarto Paese su 27 per percentuale di lavoratori poveri: se un lavoratore è povero è perché non si è ingegnato abbastanza (gli espedienti sono tanti, e li insegnano i mentori anziani di questi due giovani squali della politica: evasione, frode fiscale, doppio lavoro, lavoro in nero etc.); perché far pagare la sua inettitudine allo Stato o ai padroni delle ferriere? Invece alla base del sistema solidaristico di collettività c’è il principio che se tu sei a terra è lo Stato a tenerti in piedi, e quando invece te la passi bene sei tu, con le tue tasse, che devi sostenere gli altri. È il principio alla base del welfare: infatti è il welfare che questa classe di miracolati vuole smantellare fino all’ultimo pezzo, perché alla base del loro agire c’è la feroce certezza che loro non finiranno mai a terra.