dalla pagina FB di Consolato Minniti
I MORTI DI SAN LUCA E IL FALSO MITO DELLA NUOVA NARRAZIONE DELLA CALABRIA
Dal pomeriggio di ieri sto tentando – invano, a dirla tutta – di trovare una spiegazione giornalisticamente plausibile alla notizia battuta da un’agenzia e poi ripresa da molte testate con riferimento al drammatico incidente avvenuto a Montauro nel quale sono morte quattro persone, tutte giovanissime, di età compresa tra i 19 ed i 34 anni. Qualcuno ha stabilito che un’informazione rilevante – da fornire mentre i cadaveri dei poveri ragazzi erano stati da poco prelevati dal luogo dell’incidente – era quella relativa alle ragioni per le quali il gruppo si trovasse a transitare sulla SS 106: andare a far visita ad un detenuto del carcere di Catanzaro, congiunto di una delle vittime. Non solo: si è aggiunto che i cognomi di almeno due degli occupanti della Panda erano da ricollegarsi subito ad alcune tra le famiglie ‘ndranghetistiche più temibili del territorio di San Luca.
L’interrogativo di fondo è: perché?
Avrei compreso – ed anche apprezzato professionalmente – notizie di questo genere se i quattro giovani fossero stati uccisi in un agguato dai tipici tratti mafiosi. Se un commando avesse assaltato l’auto e fatto fuoco, uccidendoli. In tal caso, una simile ricostruzione sarebbe stata non solo interessante ma soprattutto pertinente. Eccolo il termine chiave di tutta la faccenda: pertinente. A me pare che di tutte le notizie ricordate in precedenza non ve ne sia neppure una che possa definirsi pertinente con un incidente stradale che diviene immane tragedia.
Quel che vorrei sapere da chi fa informazione in questi casi è, ad esempio, la dinamica dell’incidente. Se vi sia stato, e in che misura, un errore umano. Se una delle due auto andasse o meno a velocità sostenuta, oltre i limiti consentiti. Se si sia trattato di uno scontro frontale e, in tal caso, quale delle due auto abbia invaso l’altra corsia e perché. Se qualcuno dei conducenti fosse o meno in condizioni psicofisiche alterate. Insomma, mi interesserebbe sapere tutto quel che si può dire con riferimento ad un incidente stradale. Anche per comprendere, da lettore e da utente della SS 106, se quel tratto sia più pericoloso di altri e perché.
Potrebbe essere d’interesse – volendo spingersi al limite della cronaca – l’ipotesi in cui qualcuno dei soggetti coinvolti stesse correndo dopo aver commesso un reato e ciò rappresentasse la causa indiretta dell’incidente.
Comprendo che acquisire tutte queste informazioni richieda tempo e sacrificio e soprattutto non siano tutte immediatamente accertabili. Ma ciò non giustifica l’idea che si possa, persino in una circostanza simile, inserire l’argomento della ‘Ndrangheta che nulla ha a che spartire con quanto accaduto. A meno che non si voglia prendere in prestito dal diritto quella che i giuristi chiamano la “teoria della conditio sine qua non” e cioè che, se non avessero avuto un parente detenuto in carcere, quei ragazzi non si sarebbero messi in viaggio e quindi non avrebbero avuto l’incidente. E così, andando a ritroso, se quel parente non avesse commesso il delitto non sarebbe stato detenuto. E via all’infinito, fino alla nascita stessa del detenuto e dei suoi parenti prossimi. Capirete bene come trattasi di una teoria che non può trovare cittadinanza in un simile contesto.
Quanto avvenuto, tuttavia, ci spiega a chiare lettere perché quella che tanti si affrettano a definire “nuova narrazione della Calabria” rischi di rimanere solo uno slogan preso in prestito da chi della Calabria se ne infischia abbastanza.
Nella mia concezione di “nuova narrazione”, infatti, dovrebbero essere evitati proprio questi luoghi comuni del tutto inconferenti rispetto ad un incidente in cui muoiono quattro giovani. Su questo occorre una profonda riflessione, non certo – come pure qualcuno vorrebbe – nei casi in cui i giornalisti narrano fatti di criminalità , corruzione e malaffare. Lì la narrazione non può e soprattutto non deve cambiare. Anzi, se è possibile deve farsi sempre più incisiva e senza sconti. Perché in quel caso il problema non è certo chi racconta, ma chi commette i fatti (e anche chi sta zitto e dovrebbe parlare).
Ieri pomeriggio nella curva della morte di Montauro, invece, quattro giovanissimi sono rimasti incastrati fatalmente nelle lamiere della loro auto. E poco importa se stessero andando ad una festa, a fare la spesa o a trovare un congiunto in carcere. Importa ancor meno – direi una percentuale prossima allo zero – se fossero o meno appartenenti a famiglie notoriamente mafiose. Erano quattro giovani i cui sogni, speranze e progetti sono stati spazzati dal rumore sordo della morte che, in una singolare e sinistra epifania, non ha lasciato scampo.
Mi piacerebbe che tutti noi, appartenenti alla categoria dei giornalisti, ci interrogassimo su cosa sia davvero notizia e cosa diventi, piuttosto, pettegolezzo pruriginoso non pertinente. Probabilmente riusciremmo ad evitare scivoloni come quello di ieri che provocano dolori e lacerazioni, profonde ed ulteriori, in chi sta già vivendo il dramma dell’improvviso distacco dalle persone che amava, senza bisogno di un’etichetta anche nel dolore.