I test di medicina e l’irresistibile tentazione di prendersela con i giovani

di Alice Valeria Oliveri

Fonte: Domani 

Der Apfel fällt nicht weit vom Stamm, si dice in tedesco, «la mela non cade lontana dall’albero». L’espressione fa riferimento al fatto che i figli ereditano da genitori pregi e difetti, per cui, se vogliamo capire da dove viene questa bella Granny Smith, basta alzare la testa e scorgere l’arbusto da cui è precipitata.
Tra racconti biblici e pomi della discordia, il frutto si presta a molte metafore e, nel caso del detto teutonico, si potrebbe estendere il campo del significato applicando la legge del tronco all’istruzione. È polemica fresca di giorni, quella sempre in corso sul funzionamento dell’università, e riaccesa dalla reazione pittoresca di Anna Maria Bernini alle proteste di alcuni studenti. I giovani contestano il semestre filtro? La ministra dell’Università risponde che sono «inutili».

Il tema suscita inevitabilmente riflessioni al sapore di o tempora, o mores, la caramella Rossana della retorica nostalgica. Il professor Roberto Burioni sostiene che lui avrebbe passato il test in seconda liceo («quarto anno per noi del classico di una volta», specifica, se ancora qualcuno in Italia non avesse capito cos’è il ginnasio); la professoressa Antonella Viola invece dice che la politica dovrebbe ammettere il fallimento.
Forse un punto di partenza per non inciampare nelle solite trappole del «I giovani non hanno voglia di fare niente» e «Ai miei tempi era tutta una prova del 9», per quanto sia allettante far risalire ogni problema al decadimento delle nuove generazioni, potrebbe essere chiedersi che radici ha l’albero da cui cadono i frutti di oggi.
Cosa hanno fatto le riforme, i docenti, i governi degli ultimi trent’anni, per fare sì che gli studenti si preparassero adeguatamente – e gratuitamente – a un concorso di medicina. A questo proposito, potremmo rivisitare un altro adagio: quando il saggio indica il ramo, il cretino guarda la mela.