Il Cavaliere fortunato che avvelenò il calcio col modello delle tv

Prelati, notabili e conti
sull’uscio piangeste ben forte
chi ben condusse sua vita
male sopporterà sua morte
Straccioni che senza vergogna
portaste il cilicio o la gogna
partirvene non fu fatica
perché la morte vi fu amica
Fabrizio De André, La morte

(DI MASSIMO FINI – ilfattoquotidiano.it) – Ho incrociato per la prima volta Berlusconi ai Salesiani di via Copernico. Lui era un interno. Io ci andavo perché i Salesiani avevano l’unico campo di calcio della zona. Berlusconi senza il rialzo aveva più o meno la statura di Brunetta, ma pretendeva di fare il centravanti e non passava mai la palla. C’era già, in nuce, tutto Berlusconi.

Berlusconi non capiva niente di calcio, di marketing sì. Propose di dividere i due tempi, in quattro, perché ci fosse più pubblicità. Chiunque abbia masticato un po’ di calcio sa che nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo, negli spogliatoi, si crea un’alchimia misteriosa e una squadra che era stata un tappeto nel primo tempo diventa protagonista nel secondo. Quella volta Berluscaso, come lo chiamava il primo Bossi, fu respinto, ma ciò non gli ha impedito in seguito di rovinare, insieme a molti complici, il gioco. A Berlusconi il calcio serviva per mera propaganda: “Il Milan vince perché adotta la filosofia della Fininvest”.

Io presi le misure di Berlusconi nel 1986 quando presentò il Milan all’Arena, con vallette, starlette, pornette, in perfetto stile Super Bowl, mancava solo la puttanona scosciata in groppa all’elefante. Perché Berlusconi è sempre stato più americano degli americani. Scrissi allora sull’Europeo un pezzo che cominciava così: “O il calcio distruggerà Berlusconi o Berlusconi distruggerà il calcio”. Ha vinto lui, come sempre.

Quando arrivò al Milan Berlusconi liquidò l’allenatore, il mitico Nils Liedholm e fece bene perché un galantuomo come Nils non poteva esistere in un ambiente come quello berlusconiano. Prese Sacchi e gli andò bene. Berlusconi è sempre stato un uomo fortunato. Aveva acquistato per 10 miliardi Ruud Gullit, ma all’interno di quella compravendita il PSV gli mollò per 1 miliardo e mezzo Van Basten. Ma il campione non era Gullit, era Van Basten. Il 26 ottobre del 1988 il Milan affrontava a San Siro la Stella Rossa di Belgrado. Non sapevano i milanisti che nella Stella Rossa c’erano due giovanissimi fuoriclasse, Dragan Stojkovic e Dejan Savicevic. A San Siro finì uno a uno. Al ritorno a Belgrado andò in vantaggio la Stella (gol di Savicevic), ma al dodicesimo del secondo tempo calò su Belgrado una nebbia fittissima. L’arbitro sospese la partita. Allora, diversamente da oggi, la partita doveva essere ripresa da capo. Gli slavi entrarono in campo demotivati, i milanisti galvanizzati dallo scampato pericolo. Finirà ai rigori, con la vittoria del Milan. A Belgrado la nebbia scende una volta ogni dieci anni. Scese proprio quel fatidico giorno e sono convinto che senza quella nebbia non solo non ci sarebbe mai stata l’epopea del Milan, sconfitto alla prima gara importante, ma sarebbe cambiata la storia d’Italia.

Ho incontrato Berlusconi due volte. Una per un’intervista sul calcio da tenersi ad Arcore. Fu molto gentile, rispose direttamente al telefono. Ad Arcore però a un certo punto si infastidì e disse: “Ma lei fa solo domande negative”. Risposi: “Il mio compito è fare le domande, il suo di rispondere”. Verso sera comparvero sul prato della villa le due figlie di Berlusconi, Barbara ed Eleonora, vestite come i parvenu pensano che debbano vestire i figli dei ricchi (si è detto di passata, non ho mai visto una persona così fuori posto come Berlusconi in casa sua, nella villa settecentesca di Arcore che era stata dei Casati Stampa). Lo scrissi e Berlusconi se ne adontò protestando con il direttore dell’Europeo: “Sono stato il solito ingenuo”.

In seguito feci per la Domenica del Corriere un’inchiesta su Milano due, il quartiere costruito da Berlusconi, sorvolando varie leggi. Lo descrissi per quello che era: un desolante ghetto per la media borghesia, privo di anima. Cominciarono ad arrivarmi telefonate più o meno minatorie, tanto che, alla fine, stufo, dicevo che ero mio fratello.

Incontrai un’altra volta Berlusconi a San Siro. Siccome avevo un figlio piccolo non potevo portarlo nella posizione da me preferita (secondo anello, sulla centrale di centrocampo da cui la partita si vede meglio). Ero quindi in tribuna d’onore. Galliani e Berlusca erano a due passi da me. Durante l’intervallo giornalisti famosi si affollarono attorno a Berlusconi. Alla fine della partita (Corradini su Van Basten, uno a uno) Berlusconi venne diretto verso di me e disse: “L’ho vista ieri al Costanzo Show”. “Ma vede proprio tutto presidente”, replicai e me ne andai con mio figlio. Però quello di Berlusconi era un segno di attenzione, sapeva benissimo che io gli ero contro, ma non poteva tollerare che ci fosse qualcuno che non lo amasse. E questa attenzione all’altro, sia pure per motivi narcisistici, è stata una delle sue forze. Il terzo incontro riguarda uno scambio di lettere. Nel 1994 Annabella, sotto le elezioni, voleva far intervistare Prodi da un antiprogressista, Giordano Bruno Guerri e Berlusconi da un antiberlusconiano e quindi si rivolse a me. Il programma era che avrei preparato delle domande scritte, da mandare all’ufficio stampa di Forza Italia e poi ci sarebbe stato un incontro ad Arcore. Mandai le domande all’ufficio stampa di Roma. Mi rispose Paolo Bonaiuti. Disse che c’erano delle domande che non poteva accettare. Risposi: “Senti, lui o chi per lui ha tutto il tempo per rifletterci sopra”. L’intervista non si fece. Mandai a Berlusconi un biglietto che diceva così: “Egregio Presidente, io l’ho sempre criticata ma non le ho mai negato il coraggio. Vederla fuggire come una lepre impaurita davanti a tre domandine scritte non mi pare degno di lei”. Dopo meno di tre ore suonarono alla mia porta. Un valet gallonatissimo mi consegnò una lettera di Berlusconi che mi riempiva di insulti. Ma, come scrive Nietzsche, anche la lettera più villana è sempre meglio del silenzio. E questo episodio fa parte dell’attenzione che Berlusconi presta agli altri.

In quella antica intervista ad Arcore, Berlusconi mi aveva detto una cosa abbastanza sorprendente: “Mia madre mi dice sempre ‘come mai a te, Silvio, le cose costano una fatica molto maggiore degli altri?’. Io rispondo ‘mamma io sono fatto così, finché resisto resisto’” e infatti ha resistito fino all’ultimo grazie alla sua enorme energia e alla commovente illusione di essere immortale.

Non è elegante sparare su un morto così, in questi giorni tutti i commentatori hanno parlato della sua “umanità”, derubricando a vicende giudiziarie non meglio specificate i suoi delitti, dalla condanna per un’enorme evasione fiscale alle nove prescrizioni di cui ha usufruito grazie alle leggi ad personam (corruzione della Guardia di Finanza, corruzione di magistrati, corruzione di testimoni). È umano e comprensibile. Ma c’è una vicenda su cui non si può in alcun modo sorvolare. È la truffa che Berlusconi, in combutta con Previti, organizzò ai danni della marchesina Casati Stampa, minorenne e orfana di entrambi i genitori morti in circostanze tragiche. Purtroppo per lei, Anna Maria aveva come protutore Previti. Berlusconi e Previti comprarono la villa di Arcore, il grande parco e poi l’enorme territorio circonvicino che apparteneva ai Casati Stampa. Per un tozzo di pane. Poiché avevano comprato tutto questo ben di dio con azioni di Berlusconi non quotate in Borsa, e che quindi non valevano nulla. La Casati Stampa non riusciva a realizzare il proprio teorico guadagno. Ricomparvero allora il Gatto e la Volpe, Berlusconi e Previti, che le dissero: “Non ti preoccupare, ti ricompriamo tutto noi, a metà prezzo” cioè alla metà della metà del prezzo che avevano questi beni.

Ora io capisco, anche se non giustifico, che l’imprenditore possa evadere il Fisco per milioni, corrompere la Gdf, magistrati, testimoni ma il cinismo di quella azione non può trovare alcuna giustificazione. Quando si parla di “umanità” di Berlusconi bisognerebbe essere consapevoli che questa supposta “umanità” nasconde il suo profondo cinismo.

Berlusconi, quello che affermava di non aver mai ingiuriato un avversario, disse di Di Pietro: “È un uomo che mi fa orrore”.

A noi fa orrore Silvio Berlusconi.