Il nanismo suddico
di Gioacchino Criaco
La cerchia: fra i mali sudici il male peggiore. La si nomina sottovoce perché non si ha contezza di quanto danno arrechi, soprattutto perché la si teme.
Per esempio, l’odio presunto che Saverio Strati aveva per la Calabria: in realtà aveva in odio soltanto una cerchia ristretta di calabresi, per il resto nutriva amarezza. Ce l’aveva con gli scrittorini, i poetini, i professorini: un numero non molto alto di sedicenti intelligenti -gli intellettualini nostrani-. Quelli che hanno pubblicazioni a raffica su ogni risvolto e anfratto della cultura calabrese. Che stanno a ogni convegno, che si infilano nei premi, nelle associazioni, nei comitati. Che conferiscono status culturali e appuntano medaglie di merito. La famosa, o famigerata, intellighenzia calabrese, che più della penna e calamaio vuole il pennacchio e il palco, che -o sei con loro.. o non sei-.
Strati non era con loro e quindi, in Calabria non era. Insieme a lui non lo sono stati in tanti.
In Calabria non era, e non è, Lorenzo Calogero, che per il resto del mondo è uno dei poeti più grandi del novecento. In Calabria non era, e non è, Saverio Montalto, grande in narrazione ma scarsissimo in relazioni intelligenti. In Calabria non era e non è Rocco Carbone, una vita e un talento immolati all’idea.
Perché da noi non si è se non si sta all’interno di una congrega. E chi pensa che siamo vittime di un familismo amorale o immorale si sbaglia. Il nostro dramma è il cerchismo idiota: un cucinino in cui si fa bollire nel pentolone una brodaglia sciapa, sempre la stessa, che è quella dello -stai con noi-, -ma dove vai?- ma chi te lo fa fare?-.
Da tanto tempo, e ancora adesso, nei ruoli della cultura calabrese ci stanno i nani, e ci stanno pure nella politica, nell’imprenditoria,(con nessun riferimento alle altezze fisiche, è ovvio).
La Calabria è una sabbia mobile in cui le strade le indicano i mediocri, se ci si va dietro si finisce sempre nel pantano.
Alvaro, il più grande, di fango non ne voleva sapere, gli piaceva il volo. Alle nostre latitudini chiunque provi a toccare il cielo si troverà sotto il tiro incrociato dei nani.
Diciamola tutta, da noi volare alto è un sacrilegio, perché bisogna pensare in grande, farlo significa spezzare funi, tagliare ponti, rompere schemi.
Il cambiamento è il nemico della mediocrità nostrana: di quella politica, imprenditoriale, intellettuale e anche istituzionale.
Le cerchie si spartiscono le spoglie della Calabria.
I migliori calabresi avevano rifiutato la cerchia, che in vita li ha osteggiati, e da noi fatto sparire, salvo poi, a bara chiusa di impossessarsi delle spoglie per farne feticci pro domo sua.
La cerchia è così, ti impicca e poi ti usa contro te stesso.
Il rimedio è sottrarre i cadaveri alle cerchie, nobilitare le spoglie e farle diventare di tutti.
Alvaro e Strati non erano dei calabresi, così Calogero, Montalto, Carbone… Così tutti quelli che le cerchie hanno ammazzato.
È la paura che ci frega, la melma del pantano ci coccola, ci protegge. Spezzare, osare, tagliare, dovrebbe essere un mantra, anche se significa andare contro gli affetti, le amicizie; anche se comporta rotture traumatiche. Per farlo servono le ali, e tanto tanto coraggio. È più facile restare dei nani.
la foto, Nemesi, di Antonello Scotti









