“Non doversi procedere per intervenuta prescrizione” recita il dispositivo della sentenza con cui i giudici della seconda sezione della Corte d’appello di Napoli (presidente Vincenzo Alabiso) hanno riformato il verdetto di primo grado nei confronti di Alfonso Papa. L’ex magistrato ed ex parlamentare Pdl, finito nel 2010 al centro dell’inchiesta su una grande lobby di potere, la cosiddetta P4, ha visto azzerare dalla prescrizione le accuse relative ai tre capi di imputazione per i quali era stato condannato nel primo processo e ha ottenuto la conferma dell’assoluzione già decisa dai giudici del tribunale in relazione ad altre accuse dal momento che in Appello è stato ritenuto in parte inammissibile e in parte respinto il ricorso del pubblico ministero. Ma per fare piena chiarezza, dopo le prime notizie di agenzie, commenti e reazioni, è intervenuta la presidenza della Corte d’appello, con un comunicato ufficiale: «Il dispositivo letto in udienza da questa Corte d’appello, adita dal pubblico ministero e dall’imputato, non è stata pronunziata sentenza di assoluzione ma sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione».
Sempre a caldo si erano diffuse notizie della sentenza di Appello e le dichiarazioni di Papa a descrivere la «fine di un calvario». «Con l’indagine ho perso famiglia e lavoro ma guardo avanti. Non lo auguro a nessuno, con il paradosso che mi hanno arrestato i colleghi deputati e mi hanno assolto i giudici» aveva fatto sapere Alfonso Papa. Poi la precisazione della Corte: «è intervenuta la prescrizione».

25-05-2012 Roma
Politica
PdL – Conferenza stampa di Berlusconi e Alfano
Nella foto Alfonso Papa
Photo Roberto Monaldo / LaPresse
25-05-2012 Rome
PdL party – Press conference of Silvio Berlusconi and Angelino Alfano
In the photo Alfonso Papa
Tra 90 giorni si conosceranno le motivazioni della decisione che ha chiuso il secondo capitolo giudiziario di un’inchiesta avviata nel 2010 dai pm Woodcock e Carrano e culminata nell’estate del 2011 con l’arresto dell’allora deputato Pdl Alfonso Papa. L’arresto fu autorizzato dalla Camera il 15 luglio 2011. Papa rimase in cella, nel carcere di Poggioreale, per 101 giorni. Il 31 ottobre successivo ottenne i domiciliari e il 23 dicembre la libertà. Basta fare pochi calcoli per comprendere quanto tempo sia trascorso dai fatti. Ora la prescrizione ha azzerato le accuse che in primo grado, nel processo conclusosi a dicembre 2016, avevano portato alla condanna dell’ex deputato a quattro anni e sei mesi di reclusione per reati di concussione per induzione nei confronti degli imprenditori Alfonso Gallo e Marcello Fasolino e di istigazione alla corruzione nei confronti dell’ex responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica Lorenzo Borgogni. Per altri episodi finiti al centro dell’inchiesta, Papa (difeso dagli avvocati Carlo Di Casola e Giuseppe D’Alise) ottenne invece l’assoluzione già nel primo processo. Tutto ruotava attorno alla cosiddetta P4, al ruolo del faccendiere Luigi Bisignani (che patteggiò una condanna a un anno e sette mesi) e a un giro di informazioni su indagini in corso usate o millantate per creare potere e ottenere favori e regali.
Alfonso Gallo, indiscusso deus ex machina della General Construction, oggi Geko, è un personaggio molto noto a Cosenza. Gestisce dalla fine del 2013 l’impianto di depurazione delle acque nere di contrada Coda di Volpe a Rende, sequestrato dalla procura di Cosenza. Sperava di vincere una gara “europea” da 200 milioni ma – contrastato da ampie zone grigie del Pd, per usare un eufemismo – è stato “palleggiato” per anni e la presa in giro continua. Ma questa è un’altra storia…

Abbiamo già scritto che ci troviamo davanti ad un imprenditore particolare. Napoletano, vulcanico e massimo esperto in finanza e soprattutto servizi segreti. Un personaggio creato da quel vecchio marpione del faccendiere andreottiano (impelagato nelle matasse degli “spioni”) Luigi Bisignani e finito più volte nel mirino della magistratura.
Intorno a lui hanno ruotato i momenti principali delle corruttele relative alle indagini del ministro Giulio Tremonti portate avanti dalla procura di Milano. E’ stato il protagonista numero uno della vicenda del rigassificatore di Brindisi, sulla quale, da corruttore, assunse il ruolo di concusso. Una classica per gente come Gallo. Al tempo, narrano le cronache, tentò di corrompere il procuratore aggiunto Bottazzi, che poi denunciò… Il rapporto ambiguo con magistrati e forze dell’ordine, del resto, è una costante di tutta la sua carriera.
Fino al 2009, scrivono i suoi biografi ufficiali, avrebbe fatto transitare in Italia da tre società fiduciarie in Lussemburgo circa 500mila euro al mese, che avrebbe diviso in finanziamenti a nero tra Renzo Lusetti (dirigente di spicco del Pd fino all’altro ieri), il direttore generale del ministero dell’Ambiente Mascazzini, Marco Milanese (in proprio e per Tremonti), Enzo Morichini (uomo di D’Alema), Emilio Spaziante e Donato Ceglie.
Ma la sua notorietà è stata molto alta qualche anno fa con la storia della P4, l’inchiesta condotta dal magistrato Henry John Woodcock.
La cosiddetta P4 (la suggestione parte sempre dalla P2 di liciogelliana memoria mentre la P3 è quella scoperta ma non catturata da De Magistris) avrebbe avuto l’obiettivo di gestire e manipolare informazioni segrete o coperte da segreto istruttorio, oltre che di controllare e influenzare l’assegnazione di appalti e nomine, interferendo anche nelle funzioni di organi costituzionali.
Alfonso Gallo, che era stato chiaramente colto con le mani nella marmellata dal magistrato, si presta in tutti i modi ad accusare il parlamentare Alfonso Papa (ex magistrato e quindi inviso a Woodcock) per incastrarlo secondo la volontà del pm. Non che Papa fosse uno stinco di santo, per carità, ma Gallo non ci scherzava nemmeno con tutto quel “palmares”…
Stando alla tesi dell’accusa, Papa sarebbe stato per Luigi Bisignani (il punto di riferimento di Alfonso Gallo) una delle principali fonti di notizie sensibili riguardanti soggetti investiti di funzioni istituzionali. Allo scopo di ottenere tali informazioni riservate, l’onorevole Papa si sarebbe avvalso del supporto del maresciallo della Finanza, La Monica.
Gallo diventa il principale accusatore di Papa. Dice che c’era un piano per spostare da Napoli a Roma l’inchiesta della P4 e per screditare lo stesso pm Woodcock. Ammette di aver pagato a Papa e alla sua amica ucraina Luda soggiorni in alberghi di lusso.
Dalle carte emerge che il maresciallo La Monica ha “compiuto alcuni accessi abusivi al sistema informatico delle forze di polizia” per raccogliere informazioni su questo imprenditore.
I pm Curcio e Woodcock, quindi, sentono Gallo, il quale è quasi desideroso di sfogarsi: “Papa – spiegava – utilizzava le sue relazioni con ambienti giudiziari e con forze di polizia per “andare sotto”, fare richieste e chiedere favori a imprenditori come me”.
Insomma, qualunque imprenditore o persona abbastanza facoltosa abbia un problema in corso con la giustizia, diventa per Papa una possibile vacca da mungere. Il meccanismo era sempre lo stesso: raccogliere (attraverso La Monica) un po’ di notizie sulla questione, far presente alla “vittima” che si trova nei guai, far balenare l’idea di arresti imminenti e, poi, passare all’incasso. E Papa raccontava a Gallo che lui e Bisignani si stavano occupando anche di altri imprenditori nei guai con la legge come Alessandro Petrillo (Protecno), Matacena (antincendio, che avrebbe vinto appalti per oltre 35 milioni alla Regione Calabria ma è stato sempre protetto dagli amici degli amici), e Schiavone (Clinica Pineta a Mare).
Aggiungendo anche notizie sul suo capo, cioè Bisignani (“dirige di fatto l’Eni”) e sui suoi rapporti con la regina di Giordania (“il figlio lavora per lei”) e ancora sui rapporti di Papa col generale Poletti dei servizi segreti (Aise). E concludeva: “Ritengo che Papa sia una persona molto pericolosa dalla quale bisogna guardarsi”.
“…Il Gallo accusa il Papa – scriveva il 22 gennaio del 2012 Panorama -. Era un’udienza attesa quella al Tribunale di Napoli nell’ambito del processo, che coinvolge il deputato del Pdl Alfonso Papa. Vi ricordate? Dalla mirabolante accusa di P4, smantellata poi dalla stessa Cassazione, si è giunti ad alcuni episodi di concussione, questi i capi d’imputazione di cui Papa risponde a processo da uomo libero. L’imprenditore Alfonso Gallo, che insieme ad altri due dichiara di essere stato concusso da Papa, ha risposto alle domande dei giudici. Uno strano incontro. Gallo conferma che lui e Papa erano amici, che andavano sempre a cena insieme, che lui, il Gallo, aspirava ad entrare in stretti rapporti con Luigi Bisignani grazie all’intermediazione del Papa. Gallo è il principale contractor delle centrali elettriche in Italia, nonché titolare di una società d’intelligence, la G.Risk, il cui amministratore delegato è il colonnello De Donno, ex braccio destro di Mori.
Gallo dichiara di essere in stretti rapporti con i vertici della Guardia di Finanza, ma di patire in modo inaudito il terrore esercitato da Papa. E che cosa faceva il Papa nero? Secondo il Gallo Papa disponeva di una “squadretta” di ufficiali di polizia giudiziaria e gli forniva informazioni su indagini che lo riguardavano direttamente…”.
Insomma, sembrava che tutto fosse venuto alla luce, almeno per gli episodi di corruzione, e che presto ci sarebbero stati risultati concreti se non per l’appartenenza alla P4 almeno per questi episodi di concussione, ma alla fine, in perfetto stile Italietta, è finito tutto a tarallucci, vino e… prescrizione.









