In Calabria è tutto un magna magna, non si salva nessuno

È tutto un magna magna. Lo scriviamo da anni nell’indifferenza totale delle istituzioni, politica in testa. Non c’è settore legato alla pubblica amministrazione libero dalla corruzione, dal clientelismo e dal familismo amorale. La cosa pubblica è oramai intesa come patrimonio personale di questo o quel clan politico/ massonico/ mafioso in “voga” al momento. Il bene comune è da tempo il bene di pochi, che ne dispongono come più gli aggrada: dalla sistemazione di figli, amanti, parenti stretti e alla lontana, e degli immancabili amici degli amici, all’utilizzo del denaro pubblico per fini personali. Denaro che finisce non solo nei loro conti cifrati all’estero, ma anche nelle tasche dei tanti mafiosi in grado di garantire al politicastro il famigerato pacchetto di voti.

A tutto questo i calabresi, e più in generale gli italiani, si sono assuefatti, anzi si sono adeguati. Tutti sanno che se non hai qualche “buon amico” disposto a spendere due parole per la “tua causa”, partecipare ad un concorso, a un bando pubblico, o ad una gara per questo o quell’appalto è inutile, perciò i calabresi tagliano corto, e quando hanno bisogno si rivolgono direttamente alla cupola massomafiosa che governa questa terra da oltre 50 anni (di padre in figlio), e se sei un bravo picciotto sempre disposto “all’ubbidienza”, il gioco è fatto. Conquistarsi la benevolenza dei potenti, dei corrotti ad alti livelli, dei collusi, dei disonesti di stato, è la sola possibilità di sopravvivere in questa terra. Ecco perché tutti apprezzano e lodano la furbaria del politicastro intrallazzone, il suo saper rubare allo stato, e soprattutto la sua malandrineria, perché chi possiede queste “doti” ha la chiave in mano per aprire tutte le porte del “sistema”, che funziona solo così. Votare il politico furbastro e ammanigliato a tutti i livelli, significa, per tanti, garantirsi un santo in Paradiso. Ed è per questo che tutti vogliono avere un “buon amico” nella paranza, senza il quale non si “va da nessuna parte”. Non c’è, o meglio non esiste, un altro modo per “lavorare”. E ai bravi picciotti che si mettono a disposizione, la paranza massomafiosa garantisce pace e prosperità.

In Calabria la politica è solo un affare di famiglia. A decidere il destino dei calabresi poche famiglie massomafiose. A Cosenza tale fenomeno è più evidente che altrove: I Gentile, i Morrone, gli Adamo, gli Occhiuto, gli Incarnato, i Succurro, i Greco, tutte famiglie che amministrano la cosa pubblica dal salotto di casa propria: chi il marito, chi la moglie, chi il figlio e la figlia, chi il cognato, chi il fratello, chi la sorella, chi il cugino, chi lo zio, queste famiglie sono sempre rappresentate all’interno delle istituzioni, da almeno 30 anni. E tutte, chi più chi meno, gestiscono denari e beni pubblici come se fossero loro. Sono loro che decidono, con la complicità dello “stato parallelo”, chi deve lavorare e chi no. Sono loro che decidono, con la complicità di magistrati corrotti, chi colpire e chi no. Sono loro che decidono, con i fratelli massoni, le quote del malloppo. Sono loro che decidono, con la complicità di ditte mafiose, a chi assegnare questo o quell’appalto pubblico. Sono loro che decidono, con la complicità di burocrati corrotti, chi deve fare carriera e chi no. Sono loro che decidono, insieme ai vertici della paranza, ogni aspetto sociale e economico di questa terra.

La vicenda dell’Università Mediterranea è solo l’ennesima conferma che non si salva nessuno. A leggere le oltre 1.200 pagine dell’ordinanza relativa all’operazione giudiziaria “Magnifica” viene fuori di tutto: esami regalati, concorsi pilotati, appalti irregolari, cene e viaggi in cambio di favori e voti, spese a carico dell’Università per scopi privati e tanto, tanto altro. Oltre naturalmente alla sistemazione dei figli dei potenti. Diciamolo: questo infame sistema è oramai considerato l’unico “modello sociale, economico e culturale”, possibile a queste latitudini. In Calabria non serve a niente studiare, impegnarsi, sgobbare, specializzarsi, avere esperienza, capacità, ingegno, voglia di fare, non sono questi i requisiti richiesti per partecipare attivamente alla vita sociale e produttiva della nostra comunità, ai marpioni non servono i bravi, ma scimmiette ammaestrate che, per sistemarsi, devono saper rispondere ad una sola domanda: … ma a vua chini vi manna? Da questa risposta dipende il tuo futuro.