Interdittive antimafia, l’inchiesta: Reggio Emilia stacca Salerno, Catanzaro e Reggio Calabria

Qui Reggio (Emilia), la provincia record per interdittive antimafia
Viaggio nel territorio che, con 106 casi, stacca di gran lunga Salerno (circa 70), Catanzaro e R. Calabria (circa 50)
Di MARCO GRASSO
Fonte: IL FATTO QUOTIDIANO
Ci sono le imprese che si erano spartite gli appalti post sisma e per anni avevano lavorato indisturbate con le amministrazioni locali, come le ditte dei fratelli Todaro, al centro di una recente inchiesta della Dda di Brescia. C’è una rete di aziende dietro a cui spuntano i nomi di famiglie imparentate con i padri fondatori della ‘ndrangheta in Emilia Romagna, i boss Antonio Dragone e Nicolino Grande Aracri: nel comune di Fabbrico, per esempio, il parco comunale è stato realizzato dai nipoti. Ci sono poi le infiltrazioni dei piccoli comuni di provincia, come Brescello o Casina, dove a finire nella lista nera è addirittura la società dell’assessore locale, la Manfreda Costruzioni.
Insomma, c’è un mondo dietro a un exploit che non ha precedenti: con 106 interdittive antimafia Reggio Emilia è (di gran lunga) la provincia con più misure in Italia. Più di Salerno, una settantina), più di Catanzaro e Reggio Calabria, rispettivamente poco sotto e poco sopra la cinquantina. Nelle parole del prefetto Iolanda Rolli, questo risultato è sorprendente solo per chi fino a ieri ha guardato da un’altra parte: “Qualcuno forse pensava di lasciarsi alle spalle il processo Aemilia, come se non fosse mai accaduto niente. Ma non è così. Il mio pensiero, da quando sono arrivata, va alle imprese sane, che in questo modo vengono liberate da una concorrenza sleale. La sensibilità sta cambiando, nella società civile e anche negli ordini professionali. In tutta onestà, e senza voler sembrare allarmante, non credo però che Reggio Emilia sia poi così diversa da molte altre città del Nord: basta mettere le lenti giuste e andare a fondo al fenomeno”. Le “lenti giuste” sono più controlli: polizia e carabinieri hanno mappato tutte le parentele dei titolari di aziende; la Guardia di Finanza, guidata dal colonnello Ivan Bixio, tutti i rapporti con imprese sospette, verifiche passate da 3 mila a 15 mila in un anno.
Il prefetto Rolli è a un mese dalla pensione. Prima di questo incarico ha lavorato per molti anni ai vertici dei vigili del fuoco, sulle maggiori emergenze italiane: il naufragio della Costa Concordia, varie alluvioni, il caporalato in Puglia, i terremoti che devastarono l’Aquila e di Amatrice. E, nel 2012, anche quello che colpì al cuore l’Emilia. Rimettere le mani sulle infiltrazioni che ne hanno sporcato la ricostruzione, dunque, è un po’ come chiudere un cerchio. “Quando sono arrivata c’erano attività istruttorie che giacevano su una scrivania da 5-6 anni – racconta – le Prefetture, come tante altre amministrazioni, hanno poco personale e tanti compiti. Abbiamo scelto di dare priorità all’attività antimafia, oltre che all’emergenza dei rifugiati”.
Il risultato è un numero che sfugge a qualsiasi serie statistica. Una recente modifica della legge sulle misure preventive ha reso più lasche le maglie per le imprese, e l’effetto, in tutto il resto d’Italia, è stato di una diminuzione delle interdittive (il record del 2021 era andato a Reggio Calabria, con oltre 160 interdittive, più del triplo del 2022). Soprattutto, il primato dell’economia più infiltrata non è più di una città del profondo Sud, in una delle regioni native della criminalità organizzata. Per trovare un’altra provincia del Nord bisogna scendere al tredicesimo posto, la posizione occupata da Modena, sempre in Emilia, ma molto lontana dalla capolista, con una decina di interdittive. In tutta l’Emilia-Romagna sono state 151 le misure l’anno scorso, quasi due su tre tutte concentrate a Reggio Emilia, che nell’immaginario comune rimane città rossa, simbolo della buona amministrazione, delle cooperative, dei servizi che funzionano, dove ferma l’alta velocità.
Ad aprire la strada è stato il maxi-processo Aemilia, l’inchiesta che ha smantellato la struttura militare della ’ndrangheta sul territorio, capeggiata dal clan Grande Aracri. Ma non è un caso il nome dato alle successive operazioni, che hanno suscitato forse meno clamore ma hanno avuto il merito di indicare con chiarezza che era arrivato il tempo di concentrarsi sul follow the money: Billions, Perseverance e Grimilde, come la strega di Biancaneve. Come dire: è arrivato il momento di guardarsi davvero allo specchio. Soprattutto per un settore, quello dell’edilizia, che da queste parti rappresenta da solo il 22% di una delle economia più floride in Italia. “Parliamo perlopiù di imprese attive nelle costruzioni – ragione Rolli – A Reggio ci sono 1.500 aziende iscritte alla cassa edile. Se le conclusioni a cui siamo giunti sono valide, allora significa che una società su 15 è infiltrata”.
A conti fatti quasi il 7%. Un numero davvero sopra i livelli di guardia. Eppure, sebbene lo stupore destato da questi numeri sia grande, prima del ministero dell’Interno a qualcosa di simile era arrivato l’Uif. Nel 2019 l’ufficio antiriciclaggio della Banca d’Italia aveva stilato una classifica delle economie più infiltrate: Reggio era al tredicesimo posto; al Nord era seconda solo a Milano.
L’esito giudiziario sembrerebbe confermare il lavoro degli inquirenti: i 26 ricorsi presentati sono stati tutti respinti dal Tar; altri 6 anche dal Consiglio di Stato. Ci sarebbe poi da riflettere sulla percentuale che resta fuori da queste azioni legali: il 75% delle aziende escluse dalla white list non ha nemmeno provato a rivolgersi al giudice amministrativo.
La ‘ndrangheta a Reggio Emilia ha una denominazione di origine controllata ben precisa: Cutro, tristemente nota alle cronache di questi giorni per la strage in cui hanno perso la vita almeno 79 migranti. Da questo paese in provincia di Crotone è arrivata nel dopoguerra un’immigrazione massiva, accompagnata anche da decine di ‘ndranghetisti mandati in soggiorno obbligato. I cutresi hanno formato in questo angolo di Nord una delle comunità più numerose d’Italia, molto attiva nell’edilizia. Con il boom dell’alta velocità le imprese calabresi sul territorio, le tante sane, sono state le prime vittime degli appetiti dei clan, convinti che dai compaesani, chi a Cutro aveva lasciato i parenti, sarebbe stato più facile non essere denunciati.
Il proprietario di un noto ristorante del centro lo dice quasi per scherzo, tra un tagliere di salumi, uno gnocco fritto e un bicchiere di Sangiovese: “Qui siamo in provincia di Cutro”. Tanto per dare un’idea del fenomeno, lo scorso autunno a Reggio è passata la campagna elettorale del Comune calabrese, i cui 10 mila abitanti tornavano a votare dopo uno scioglimento per mafia. A Reggio Emilia si è presentato il futuro sindaco Tonino Ceraso, per “difendere i cittadini onesti cutresi a cui sono negati i certificati antimafia nei tavoli istituzionali”. Ceraso, dopo molte polemiche, ha precisato che non era sua intenzione attaccare il lavoro della Prefettura, ma solo dire che sarebbe sbagliato se “tutti finissero nello stesso calderone”. E fece molto discutere, al punto da attirare l’attenzione della commissione antimafia, anche un viaggio in direzione contraria, che fece durante la campagna elettorale del 2009 l’allora sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio: quello a Cutro, ha sostenuto in seguito Delrio, “era una visita istituzionale, a un Comune gemellato”.