Italia-Inghilterra 4-3, la felicità si chiama Europa: il racconto della finale

di Fabrizio Roncone 

Fonte: Corriere della Sera

È bellissimo essere italiani. Che notte. Che festa. Ci meritiamo tutto. Questo campionato d’ Europa e anche il resto. È il nostro tempo nuovo, con la meravigliosa conferma che siamo ancora capaci di vincere e di essere felici: lacrime di gioia, finalmente, e allegria scatenata, e pensieri belli, e poi la dolcissima consapevolezza di sentirci uniti e forti.

Cuori martellanti, qui a Wembley. Nemmeno stavolta ci è stato risparmiato il martirio dei rigori.

Gigio Donnarumma, l’ eroe volante. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è balzato in piedi perché anche lui, come tutti, ha quasi accompagnato fisicamente quel salto nel vuoto, dentro una grande storia.

Che non è solo di calcio.

Ci portiamo addosso tutti troppa vita, paura, sofferenza, speranza: per questo Giorgione devi farcela vedere bene, la coppa. Tienila su nel nostro cielo.

Adesso però piano, qui sul tavolo della tribuna stampa c’ è una Moleskine piena di appunti.

C’ è uno scarabocchio, proprio all’ inizio: sbagliamo un paio di diagonali consecutive, prima a destra, poi a sinistra, dove arriva micidiale Shaw, al volo: e la mette dentro. È un colpo duro.

Per qualche minuto restiamo storditi, Sterling s’ infila ovunque, Kane è bravissimo nelle sponde, ma poi – piano piano – ci sistemiamo. Cerchiamo la nostra idea di calcio anche sotto una pioggia sottile.

Del resto: fin dalla prima partita dell’ Olimpico, a Roma, ci sono state tracce di una speranza concreta: la gente che cantava la canzone di Edoardo Bennato e Gianna Nannini, quella delle notti magiche, cercando un gol; e poi però soprattutto, sul campo, questa Nazionale subito dentro un progetto di gioco preciso, evidente.

Andavamo via palleggiando, una squadra di brevilinei, certo nessun fuoriclasse, ma in tanti a saper toccare il pallone. Come adesso.

Gli inglesi possenti e veloci, ruvidi. Noi con lampi di talento, insistenti: molto bene a sinistra con Insigne ed Emerson, Chiesa a strappi, male Immobile. Mancini, ad un certo punto, è costretto a spiegargli dove stare, e cosa fare.

Anche stasera, solita percezione del ct: sempre con quella sua aria controllata, quell’ equilibrio persino un po’ efferato per noi che viviamo di ansie struggenti e pericolosi miraggi; lui invece rassicurante con quel ciuffo sceso sulla fronte, il viso liscio come una porcellana di Capodimonte, al massimo un paio di grinze.

Verratti, falla girare. Lorenzo (Insigne), non insistere.

Poi l’ arbitro fischia la fine del primo tempo e allora si vede Gianluca Vialli che dice qualcosa a Mancini. L’ abbraccio tra quei due, ai supplementari, al gol di Chiesa contro gli austriaci, tornerà utile nelle sere d’ inverno che ciascuno di noi affronterà, quando fuori piove e dentro fa freddo.

Su Vialli è stato scritto moltissimo. Il suo incarico di capo delegazione è stato un dettaglio: averlo lì, con il suo sguardo pieno e profondo, ha costretto ogni azzurro a pensarci due volte prima di dire no, sono stanco, non ce la faccio più.

E anche adesso: eccolo lì, Gianluca, che accoglie Immobile e Barella in panchina. Entrano Berardi e Cristante. Mancini ha deciso: Insigne falso centravanti.

Perché poi pure di questo, siamo capaci: cambiare. Quando necessario, usciamo dall’ ossessione del bel gioco. Siamo veloci a capire i momenti. È perfino successo di andare all’ armadio, aprirlo senza imbarazzi e tirare fuori il nostro vecchio, caro catenaccio. Sappiamo ancora usarlo. E con la Spagna ci è stato molto utile. Con la Spagna, in semifinale, abbiamo sofferto. Ci stavano facendo una testa così. E allora il gruppo s’ è trasformato: esattamente come sta accadendo contro i britannici. Andiamo tosti su ogni pallone, sprazzi solo isolati di talento, applicazione di uno spirito di gruppo feroce, centimetro dopo centimetro.

Cresciamo. Cominciamo ad incartargliela.

Se ne accorgono anche i tifosi inglesi, nonostante la maggior parte di loro abbia in corpo solo birra e qualche goccia di sangue.

Sobrio, il loro ct Gareth Southgate fa segno con le mani ai suoi: calma, ragazzi.

Non serve: perché battiamo un calcio d’ angolo, Verratti colpisce di testa e centra il palo, parata di Pickford e, sulla ribattuta, grande zampata di Bonucci. Uno a uno (e strepitosa esultanza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in tribuna d’ onore) Ora ce la giochiamo.

Il miraggio dei supplementari, un altro possibile pozzo nero dei rigori: non ci spaventa più niente (tra l’ altro: dopo l’ ultimo anno e mezzo, per metterci un brivido addosso, ci vuole altro che l’ Inghilterra).

Fa irruzione sul prato un gentiluomo a torso nudo che in The Crown avrebbero evitato di farci vedere. Ma qui, niente: va in mondovisione.

Le telecamere inquadrano gli sguardi imbarazzati di William e Kate, mentre il piccolo George ride come ridono tutti i bambini di fronte agli imprevisti (povera creatura: l’ hanno vestito tipo prima comunione, in giacca e cravatta).

Sulla Moleskine non c’ è più spazio. Da adesso: solo ricordi a braccio.

Il ghigno da combattimento di Bonucci, il primo supplementare lo chiudiamo in attacco, Berardi in scivolata, i cinquemila tifosi italiani intonano l’ Inno di Mameli, azzurri stanchi, stanchissimi.

I rigori sono struggenti immagini in dissolvenza. Impossibili da raccontare (però volare insieme a Gigio è stato fichissimo).