Era da tempo che la questura, agli ordini del vice questore dottor Zanfini, teneva d’occhio quella vineddra: via Gradoni Gaeta. Una delle tante viuzze poste sul principale corso della città antica, Corso Telesio. Un via vai frenetico, e a tutte le ore, di conosciutissimi tossicodipendenti, non era certo passato inosservato, né ai cittadini onesti che in quel quartiere risiedono, né ai poliziotti che per mestiere si nutrono di soffiate.
Il sistema usato per lo smercio della rrobba, era semplice e rapido: entravi nella vineddra, Marco Paura calava u panaru dalla finestra della sua abitazione che dà proprio nel vicolo, mettevi i soldi dentro, e ricevevi la bustina. E avanti un altro. Marco era il punto di riferimento degli zingari a Cosenza vecchia. Casa sua era la loro base logistica. Marco era l’uomo di fiducia di “Micetto”, all’anagrafe Celestino Abbruzzese, esponente di spicco della cosca denominata “degli zingari”, a detta della questura. Colui il quale riforniva Marco di eroina e cocaina, che a sua volta, oltre a spacciarla direttamente, la distribuiva ai vari pusher.
Tutto confluiva a casa di Marco, soldi e droga. Che Marco custodiva in diversi posti, conosciuti solo a lui e al “boss”. E come in ogni buona azienda che si rispetti, alla fine del mese si facevano i conti, ed ognuno percepiva il proprio stipendio, che mediamente di aggirava tra 4/500 euro mensili, per i cosiddetti “cavalli”. Che spesso sono solo dei consumatori “costretti” dalla dipendenza a spacciare pur di avere la dose quotidiana.
In tutto questo via vai, gli uomini del dottor Zanfini organizzano un classico appostamento per quasi un anno: piazzano una microcamera nelle vineddra e diverse “ambientali” a casa di Marco, e non solo. Per mesi e mesi, intercettano e pedinano. E alla fine il quadro è chiaro e la “filiera” sgamata. I poliziotti durante questa attività di appostamento, fermano, subito dopo aver acquistato la pezzata da Marco, ma lontano dal luogo di spaccio, diversi “tossici”, procedendo al sequestro della sostanza.
Cosa che si ripete costantemente e ininterrottamente fino al giorno del blitz. Consumatori che, dopo essere stati “fermati”, indirizzano sin da subito gli investigatori sul giro di spaccio a Cosenza vecchia. Il dottor Zanfini e i suoi uomini, a questo punto, hanno raccolto talmente tanto materiale investigativo che dimostra, senza ombra di dubbio, come in quel vicolo si svolga una organizzata e continuata azione di spaccio, ad opera degli attenzionati, che non c’è più bisogno d’altro.
Una montagna di prove che inchioda gli indagati alle loro responsabilità. Così il 22 settembre 2015 scatta il blitz condotto dalla Polizia di Stato per l’esecuzione di 14 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettante persone accusate di avere far parte di un’organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti e collegata alla cosca di ‘ndrangheta degli zingari. Nell’operazione denominata “Job center” sono stati impegnati 120 poliziotti, ed eseguite 26 perquisizioni nei confronti di altrettanti indagati. Delle 14 persone coinvolte nell’operazione, 12 sono state condotte in carcere e due sono state poste agli arresti domiciliari. L’inchiesta giudiziaria sfociata nell’operazione è stata condotta dalla Dda di Catanzaro e dalla procura della Repubblica di Cosenza, nelle persone dei pubblici ministeri, dottor Domenico Assumma e dal dottor Salvatore Di Maio.
Diversi saranno i particolari che usciranno dalla conferenza stampa degli investigatori, sui personaggi arrestati Su tutti uno. Dice il dottor Bombardieri: “L’organizzazione ha dimostrato di saper gestire bene lo spaccio nel centro storico cosentino. Avevano una cassa comune, un’organizzazione verticistica e hanno perfino, in un’occasione – ha detto Bombardieri – denunciato un soggetto, Zicaro, alle forze di polizia per farlo arrestare, visto che stava acquistando troppa importanza. Quando Zicaro fu fermato, gli Abbruzzese fecero una vera festa, con tanto di squilli di tromba, a casa loro, che abbiamo immortalato in un’intercettazione ambientale”.
Tutti gli arrestati vengono portati in questura per le formalità di rito. Dalle 26 perquisizioni, non risulta il rinvenimento in casa dei maggiori indiziati, Micetto, Paura, Esposito, Aloise, di quantitativi di sostanze. Tant’è che nel corso della conferenza stampa, gli investigatori, come in genere fanno, non “espongono” nessuna bustina di droga. Ci si limita a parlare genericamente del rinvenimento durante l’ attività investigativa pregressa del sequestro di 660 dosi di eroina.
Verosimilmente quelle sequestrate duranti gli appostamenti ai consumatori, nonché quella sequestrata ai pusher arrestati, che non si capisce se sono pusher o consumatori. Il biltz oltre agli arresti non ha prodotto il rinvenimento di sostanza. Anche se, l’attività di spaccio, rimane filmata e “certificata” da prove inoppugnabili. La droga sul tavolo della conferenza stampa non c’è, ma è sicuro che era a disposizione degli arrestati e che dagli stessi veniva spacciata, come dimostrano i filmati e le intercettazioni. A poche ore di distanza dal biltz, ecco puntuali che arrivano i primi pentimenti. Il primo in assoluto è Marco Paura. Messo di fronte alla mole enorme di prove a suo carico, con una prospettiva di passare i prossimi 10 anni in galera, Marco sceglie di cambiare vita. E racconta agli investigatori tutto quello che sa. Come da prassi inizia a riempire verbali.
Vi abbiamo raccontato, qualche giorno dopo questa operazione, (vedi articoli sezione cronaca “furto a casa Paura”) di uno strano furto avvenuto a casa del pentito Paura, a detta degli investigatori, 48 dopo il blitz. Dove – a detta del pm che ha raccolto la denuncia, inoltrata, sempre a detta loro, dalla suocera del Paura – ignoti si erano introdotti in casa di Marco per svaligiarla, mettendola a soqquadro. Cosa ha spinto ignoti ladri a rischiare così grosso, entrando in una casa attenzionata dalla DDA 48 ore dopo un blitz, rimane un mistero.
Si parla di una playstation, forse dal valore inestimabile. La stessa sera del furto, qualcuno, contattando la nostra redazione, ci racconta in diretta telefonica, della presenza di agenti in borghese nei pressi della famosa vineddra, che si aggirano guardinghi. La versione fornita dal pm, e pubblicata dalla Gazzetta del Sud, cioè che “la casa di Marco è stata messa a soqquadro”, cozza, però, con la versione data dalla mamma di Marco, e dai due pubblici ufficiali che l’accompagnarono il giorno dopo di questo finto furto, a casa del figlio per prelevare un po’ di biancheria.
La casa si presentava perfettamente in ordine. Versione che nessuno può smentire. Infatti il signor questore non ci ha neanche provato quando gli abbiamo chiesto il perché di questa evidente discordanza nelle versioni e come mai alcuni suoi uomini si trovavano proprio in quella vineddra, mentre avveniva a detta loro stessa, un furto. Ha preferito fare scena muta. Una storia con molti lati oscuri. Che oggi si arricchisce di nuovi elementi.
Marco, nel rendere da subito dichiarazioni, prima in questura e poi ai pubblici ministeri Di Maio e Assumma, indica agli investigatori che non hanno trovato niente nel suo appartamento, né nei luoghi di sua pertinenza, dove nasconde droga e soldi. Questo è sicuro che lo dichiara subito. Perché, dopo averlo portato in questura, e capita l’antifona, Marco immediatamente si dimostra collaborativo, e dice che si vuole pentire. E inizia a cantare, e sotto la spinta di qualche marpione che gli chiede da subito una prova della sua sincerità, svela il luogo segreto. Dichiarazione che ritroviamo nei verbali resi da Marco davanti al dottor Di Maio e al dottor Assumma: “La droga veniva prelevata dai fratelli Abbruzzese a volte dallo Zicaro, a volte da Esposito e a volte da Aloise e la consegnavano a me che la detenevo per conto del gruppo, occultandola all’interno di un magazzino. Allo stato ho la disponibilità di circa 130 grammi di eroina e ventinove di cocaina, avvolti in un contenitore di plastica, nascosta in un magazzino ubicato vicino casa mia, per la precisione in via Gradoni Gaeta”. Paura -riferiscono gli inquirenti – « fornisce analitiche indicazioni sul luogo ove attualmente è nascosto lo stupefacente, sulla base delle quali la polizia giudiziaria operante, in virtù della pregressa attività investigativa, è in grado di individuare lo stabile indicato».
Allo stato, dice Marco, quando parla di dove tiene la droga (che è come dire adesso, dunque, la dichiarazione è contemporanea all’evento del suo arresto). Marco dove tiene la droga e i soldi lo dice subito. Una dichiarazione che conferma anche il non ritrovamento di alcuna sostanza agli indagati, e a lui in particolare, altrimenti, se fosse stata sequestrata durante il blitz, perché dire dove sta la droga se l’hanno già trovata?
E’ evidente che Marco sa che la questura non ha trovato niente. E per accreditarsi, come qualcuno degli sbirri gli fa credere, indica subito il luogo dove nasconde la roba e i soldi. Allora, siccome noi siamo maliziosi, e chi di dovere è chiamato a rispondere, vorremmo sapere se esiste un verbale di sequestro di questo ritrovamento. Giusto per fugare o confermare i nostri dubbi, anche se la cosa non vi piace. Perchè se non si trova la droga, allora vuol dire che abbiamo visto giusto, e qualcuno in questura ha la manina lunga. E poi, questo verbale, non è un documento segreto, o un segreto di stato che se svelato può mettere a repentaglio la sicurezza dei cittadini, né può in alcun modo mettere a rischio la tenuta del processo. Quindi non ci vuole niente per capire chi dice il vero o il falso. E per favore, non venitevene fuori col segreto istruttorio, perchè qui, in questa storia, l’unico segreto è quello di Pulcinella.
GdD