L’americanizzazione dell’Italia

(di Francesco Erspamer) – Sui giornali e telegiornali americani è percepibile un chiaro senso di sollievo: no, non solo perché le esternazioni individualistiche di una ricca e viziata celebrity stanno mettendo in difficoltà un’antica istituzione, la corona inglese – inutile e anacronistica, certo, come i vecchi libri e le tradizioni e che proprio per questo ostacola la diffusione del pensiero unico liberista e delle consolanti certezze che quello presente sia comunque il migliore dei mondi possibili e che l’ultimo iPhone sia l’espressione del bisogno finalmente soddisfatto e per sempre (ossia fino al prossimo anno e all’uscita di un nuovo modello).

No, il sollievo di cui parlo riguarda il ritorno del Covid in Italia. Proprio non gli piaceva, ai profeti stelle e strisce delle magnifiche sorti e progressive che quel paese mediterraneo e per tanti versi tenacemente provinciale (secondo me un valore da difendere, secondo loro un insulto quasi pari a quello di nazionalista) si fosse dimostrato virtuoso e in grado di contenere l’epidemia pur avendone subito il picco all’inizio, quando nessuno sapeva come affrontarla. La scorsa estate molti giornalisti del New York Times e di CNN si erano arrampicati sugli specchi per sostenere che il governo Conte stava sbagliando tutto benché i contagi fossero pochi e benché negli Stati Uniti, invece, si stessero moltiplicando esponenzialmente. Forse è a causa di quell’imbarazzo che i poteri forti furono costretti a rimandare di qualche mese il colpo di stato che doveva portare, e a febbraio ha portato, al potere un loro pupazzo, un anziano banchiere ormai inadeguato per le lotte al coltello della finanza e dunque pensionabile in una posizione politica, ossia marginale – gli economisti sono i nuovi teologi, e di una religione molto più fondamentalista di qualsiasi altra.

“Servono scelte meditate ma rapide”, ha detto ieri Draghi commentando la grave recrudescenza del virus; come a dire, “festina lente”, una massima latina e greca che ha del merito, ma non in questo caso. Perché di tempo Draghi ne ha avuto e lo ha sprecato. Erano tre settimane che non faceva un discorso pubblico, nella compiaciuta indifferenza dei giornalisti, razza dannata, gli stessi che se Conte non raccontava ogni sera a Mentana e Gruber quello che aveva fatto e intendeva fare, lo accusavano di autoritarismo. E cosa ha fatto Draghi in queste tre settimane? Meditato sul Covid? Ma quando mai: ha fatto quello che ha sempre fatto, ossia interpellare multinazionali private di consulenza tipo l’americana McKinsey.

Però la sua inazione ha avuto conseguenze precise. Lo chiamerei, per l’esperienza degli scorsi quattro anni in America, l’“effetto Trump”. Direttamente, infatti, Trump ha fatto poco o niente; incarnazione del liberismo puro, si è limitato a indebolire regole e vincoli, con la certezza che quando lo Stato si fa da parte e la società cessa di essere civile, a vincere sono sempre e solo i ricchi e gli stronzi. In Italia Salvini è stato il primo a scommettere su questa strategia, chiedendo apertamente l’eliminazione di qualsiasi organismo di controllo sull’operato di imprenditori e politici. Ma è stata la vittoria di Draghi, o meglio della cordata che lo ha insediato, a scatenare l’Italia peggiore, legittimandola e facendole perdere qualsiasi remora e prudenza; parlo dell’Italia che se ne frega di tutto e di tutti salvo sé stessa, e solo per quel che riguarda l’immediato presente, incapace di pensare e dunque di preoccuparsi delle conseguenze di medio e lungo termine. L’Italia da bere, immatura, edonista, cazzara, quella del “lei non sa chi sono io” e del “tu fatti i cazzi tuoi”, insomma dell’abuso elevato a diritto, sempre esistita ma fino a qualche decennio fa nettamente minoritaria, poi cresciuta grazie a Berlusconi, alle sue televisioni, al rincoglionimento tecnologico: fino all’attuale egemonia.

Non tutti sono così; però vittime non ce ne sono: la responsabilità della liberalizzazione e privatizzazione del paese è di tutti, i tanti che l’hanno voluta e i tantissimi che l’hanno subita e accettata. I popoli hanno i governi che si meritano, disse il reazionario de Maistre; aggiungerei che hanno anche i non-governi che si meritano e che consentono ai miliardari e alle loro megacorporation di dominare senza intermediari (vedi Amazon, Apple, Ikea, Google, Goldman Sachs, McKinsey). C’è ancora qualcuno che non crede che questo sia un destino manifesto e che valga la pena impegnarsi per impedire l’americanizzazione dell’Italia e del pianeta? C’è ancora qualcuno che sa cosa significano bene comune, solidarietà, cultura? È ora che si svegli, che la smetta di lamentarsi e così di rassegnarsi, che impari a lottare; e per cominciare, a resistere. È un momento buio; come un secolo fa, forse il massimo che ci è consentito è dire ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Ma quello, almeno, bisogna trovare il coraggio e la forza di dirlo.