Essere la capitale dei call center non Rende: l’inchiesta sul campo del Venerdì di Repubblica

Un nostro lettore ci ha sollecitato la ripubblicazione dell’inchiesta del Venerdì di Repubblica sui call center di Rende, accompagnandola con questo eloquente commento.

La rovina del lavoro in Calabria sono questi maledetti Call center, ci sfruttano per pochi soldi al mese, dobbiamo rifiutarli perché solo così ci può essere una svolta, non bisogna accontentarsi di questi pochi spiccioli che ci danno, dobbiamo lottare per farli chiudere tutti.
#callcenterout
#perunacalabriamigliore
#perunlavoromigliore

Al nostro lettore rispondiamo che, con l’avvento del reddito di cittadinanza, i call center spariranno e volentieri ripubblichiamo quell’inchiesta che era abbastanza esaustiva sul fenomeno call center.

ESSERE LA CAPITALE DEI CALL CENTER NON RENDE

dall’inviata CLAUDIA ARLETTI

Fonte: VENERDI’ DI REPUBBLICA

RENDE (COSENZA) – Per una rara e perfetta combinazione di bisogni e di interessi, la città di Rende, già famosa per ospitare l’Università della Calabria, ha conquistato un primato bizzarro: è la capitale dei call center. Le telefonate per venderti libri o racchette da tennis, le imperdibili offerte sull’energia elettrica e i materassi memory foam, i pacchetti telefonici fisso-mobile-internet, gli sconti sugli attrezzi per potare le siepi, le risposte ai consumatori che chiamano inviperiti da ogni dove. Il 187, il 119, persino lo 06-06-06 di “Roma, la città che ti ascolta”: è quasi sempre la meglio gioventù di Rende a darti la sua voce.

Nell’area cosiddetta industriale dove l’ultima industria ha chiuso anni fa, lontano dal centro e dal mondo, una fila di capannoni quasi identici accoglie ogni giorno i suoi lavoratori con cuffia e pc. Niente panchine, non un bar; le strade biancheggiano al sole, silenziose come in certi film apocalittici, come se fosse caduta la bomba N che fa fuori le persone ma lascia intatte le cose. Nei cortili dei capannoni la pausa è una sigaretta in piedi, all’ombra risicata dei muri. Ecco i ragazzi e le ragazze di Abramo – un call center che appartiene alla famiglia del sindaco di Catanzaro ed è ritenuto tra i più decenti per condizioni e rispetto delle norme, beato chi ci entra.

Nelle piazzole, giovani laureati raccontano svogliatamente le loro vite con mamma e papà: Seicento euro al mese. Settecento. Mille i superfortunati. Ferdinando invece è un veterano, ha già 34 anni: diplomato geometra (“mai fatto il geometra neanche un giorno”), oggi gestisce con la moglie la libreria giuridica di Rende – ci vuole una libreria giuridica con l’Università a un passo; si mette in cuffia quattro ore al giorno, dal lunedì al venerdì, da sei anni, con uno stipendio che oscilla fra 600 e 700 euro al mese, lordi sia chiaro. Arrotonda così le entrate della famiglia. E’ un Lap, lavoratori a progetto che si vedono rinnovare il contratto di mese in mese, 400 euro netti di paga, niente ferie o malattia o liquidazione. A Ferdinando “va bene così”, ma la maggior parte dei Lap sono gli epsilon di questo mondo nuovo, ultimo degli ultimi.

Sulla piazzola assolata ora si discute animatamente.

Fare figli? Noi? Ma che state dicendo, ma come vi viene in mente? Io invece lo farò presto, lo sento l’orologio biologico che fa tic tac. Tu devi essere pazza.

Più di undicimila persone impiegate nei call center della Calabria, 3.250 solo a Rende (di questi 1.750 sono a tempo indeterminato, poi ci sono moltissimi micro call center impossibili da censire).

L’Università della Calabria, che è sulla collina di Arcavacata, è il serbatoio mai vuoto che fornisce voci sempre nuove e cervelli sempre freschi. A ogni ristrutturazione, a ogni vertenza, a ogni chiusura e riapertura – ce ne sono di continuo, e quando si riparte le paghe sono un poco diminuite, le condizioni di lavoro un poco peggiorate – ecco pronta un’altra infornata dall’ateneo.

Il rettore dell’Unical Gino Crisci

“Mi piange il cuore” dice il rettore Gino Crisci,”ma la situazione è questa: abbiamo ragazzi laureati di ottimo livello che diventano la materia prima dei call center”. Il rettorato non è dove te lo aspetti (ha cambiato palazzina cinque anni fa, però la segnaletica è rimasta la stessa), ma il campus ha nel complesso un aspetto moderno. Crisci fa notare che l’Università si sforza di “invertire la situazione, per noi è una missione”. Come? “Puntiamo sulla ricerca legata alle tecnologie e all’informatica avanzate”. Spin off, start up, incubatori… è così che l’olio solido, brevettato dall’ateneo, è arrivato nei supermercati: ci hanno messo 15 mesi a metterlo a punto, è spalmabile come il burro e la margarina, ma non contiene grassi. Queste aziende nate grazie all’Università e alla Regione occupano circa 600-700 persone. Il fiore all’occhiello, da tutti citato, è Ntt Data, società nata nel 2001 e specializzata nella sicurezza informatica: ci lavorano trecento persone, metà delle quali sotto i trent’anni. Ntt Data è a un passo dai call center ma lontana anni luce. E poiché funziona benissimo, i giapponesi se la sono subito comprata.

Novanta dei 94 milioni di euro destinati dal Ministero all’Università vengono spesi per pagare gli stipendi. “Sono le tasse degli studenti a coprire luce, tasse, didattica” dice ancora Crisci. Gli atenei grandi e superbi del Centro Nord si prendono la fetta più grande: “Ci penalizza un dato storico: i finanziamenti sono ancora calcolati sulla base degli studenti iscritti nel 1993. Allora avevamo sette-ottomila studenti, ma oggi ce ne sono 28 mila”.

Anche il sindaco, Marcello Manna, decanta questo piccolo e vivace mondo delle start up. “Sono venuti persino dal Qatar per il brevetto di un prodotto in campo medico”. Manna ha tre figli, niente cuffie per loro: due sono avvocati, come il padre; il terzo è nell’agroalimentare. I call center di Rende danno di che vivere – sopravvivere – a tante famiglie: sono un fenomeno sociale, un caso politico, un miracolo e un enigma, che però ormai è fissato nel paesaggio mentale di tutti e non stupisce più. Nessun rapporto con l’Università, niente meeting, niente studi (anche il rettore ci dice che no, non gli vengono in mente ricerche fatte ad Arcavacata). Un mondo parallelo, o sotterraneo, che non intesse legami né ha frequentazioni con la politica e che è da essa ignorata, con simmetrica reciprocità, persino in campagna elettorale: “Ma sa, il fenomeno call center è talmente recente” si schermisce come può Manna.

Però nei giorni scorsi le aziende e i sindacati si sono fatti vivi con il Comune perché la mancanza di un autobus di linea tra il centro e la zona industriale è insostenibile. E siccome la città (Rende è stata dichiarata “città” nel 2016, con tanto di decreto presidenziale), nonostante i suoi 35 mila abitanti non ha una rete propria di trasporti, tocca aspettare le decisioni della Regione. Più facile che il ritorno alla civiltà passi attraverso l’apertura – finalmente – di un bar o magari di un self service. Mentre Cosenza celebra l’innalzamento dell'”antenna” che permetterà la costruzione del ponte più alto d’Europa (un Calatrava doc di 104 metri), Rende è in fermento perché, dopo 33 anni in serie D, la squadra cittadina di calcio giocherà in C; in compenso il cinema Garden (l’unico) resterà chiuso fino al 24 agosto e quindi resta ben poco da fare.

In un monolocale con poca aria ha sede il giornale on line Iacchitè.com, che dal 2015 spara a zero sull’amministrazione cosentina. “‘Ndrangheta, massoneria, corruzione a tutti i livelli” accusa il direttore Gabriele Carchidi. Che poi racconta della ex Legnochimica, un’azienda nell’area dei call center chiusa tanto tempo fa: le vasche di lavorazione sono ancora colme di scarti e una, a giugno, ha preso fuoco, gettando nel panico il circondario. Un comitato di cittadini invoca da un pezzo la bonifica, invano. Se poi gli si chiede dei call center, Carchidi non ha dubbi: non interessano a nessuno.

Interessano invece ai ragazzi del centro sociale Sparrow. Francesco, 31 anni, laurea in Scienze politiche, ne ha fatto una ragione di vita. Colto, appassionato, mette le cuffie per 680 euro al mese. Divide una casa con alcuni colleghi. E’ un sindacalista Cobas e pensa che, parlando riparlando e insistendo, le cose possano cambiare. “una volta qua dentro abbiamo fatto persino un’assemblea con 250 persone”. Se gli si chiede come si veda di qui a cinque anni risponde. “Ancora in Calabria, nella terra dei miei padri, a fare politica, a cercare di migliorare le condizioni di lavoro. Non me ne andrò mai”.

Non se ne è andato Daniele Carchidi, 36 anni, brillante sindacalista Cgil, due lauree e 1.100 euro al mese. Undici querele e per ora nessuna condanna, più un periodo con la scorta: gira su e giù per la Calabria quasi ogni giorno, a inseguire call center che chiudono o a denunciare quelli illegali, che pagano 2.5 euro all’ora e restano aperti il tempo di smaltire una commessa. E non se ne è andato Carlo Cerchiara, dipendente Tim, anche lui sindacalista Cgil: 1.600 euro al mese dopo 29 anni di lavoro. Raccontano delle due ultime emergenze: a Locri, Call&Call ha avviato i licenziamenti di 129 persone (vorrebbe aprire in Puglia, cominciando daccapo, presumibilmente per risparmiare sul costo del lavoro). Qui a Rende, invece, la Yope (che aveva una commessa di Enel Energia) prima ha smesso di pagare gli stipendi, poi ha saltato le rate degli arretrati, infine ha mandato tutti a casa. Cerchiara è incredulo: “Non riusciamo a parlare con i dirigenti, non si fanno trovare”. Yope, un giorno d’estate ha chiuso così, con un giro di chiave alla porta.