La retorica dei lecchini da Costantino a Draghi

(DI FILIPPOMARIA PONTANI – Il Fatto Quotidiano) – “Dov’è questa nostra repubblica? L’augusto tuo aspetto, la illimitata nostra venerazione, il tuo e l’universale silenzio, appien mi rispondono che la repubblica è in te; in te solo: e che in te, per favore speciale dei numi, degnamente sta tutta” (V. Alfieri, Panegirico di Plinio a Traiano).

Fioriranno gli studi sugli antichi panegirici imperiali, da quello celebre di Plinio il Giovane a quelli per Costantino, Giuliano e Teodosio nel IV secolo: non ricordo infatti un momento storico in cui così tante vie di encomio e di adulazione venissero praticate dagli oratori più diversi, in tanti appelli fotocopia: Egli è un pater familias che protegge il suo popolo (“porta avanti riforme e investimenti per chi ha bisogno di assistenza e cura”, lanciano i sanitari); è il comandante in capo invitto in tempo di guerra (e “le tensioni geopolitiche che non accennano a diminuire”, ricordano gli operatori della logistica); è colui che assume su di sé l’onere del governo controvoglia, come unico possibile garante della concordia sociale (“Si rifugiò nel tuo seno la repubblica vacillante”, caro Traiano, e “principe non ti ha fatto la tua ambizione, ma l’altrui vantaggio”: la lettera di Scurati sul Corriere di lunedì è tutta così); è colui che per la sua liberalitas ha a cuore il bene di tutti, e apre a una nuova età dell’oro (sotto Costanzo “il calore del sole fa rivivere messi abbattute dalle piogge”, e Lui ci salverà dalla siccità e dalla crisi climatica); ogni suo oppositore – per lo più additato con definizioni sprezzanti (“pirati”, “bande senza speranza”, “ usurpatori”) – si oppone in realtà al bene comune, e mette alla prova la patientia del capo.

Non c’è bisogno di insistere sull’alterità radicale tra questo genere di retorica personalistica e i valori fondanti della Repubblica, tanto più a pochi mesi da un altro passaggio in cui analoghi – ma più misurati – toni messianici erano stati riversati su Sergio Mattarella. Il caso presente è più grave non solo per la funzione istituzionale coinvolta, ma anzitutto perché l’Unto non è mai passato dall’investitura elettorale, ricoprendo sempre ruoli apicali scevri di diretta legittimazione democratica.

Tra i temi ricorrenti negli appelli a Mario, vorrei sottolinearne due: il princeps è il garante di un saeculum aureum e come tale deve vivere il più a lungo possibile, perché il suo venir meno provocherebbe disastri (“ti piaccia, Giove, conservarlo ai nostri nipoti e pronipoti”; Draghi deve restare perché senza di lui “ci sono le condizioni per una tempesta perfetta”, si argomenta sul Sole 24 Ore); il princeps è un exemplum, un modello indiscusso per tutti gli altri cittadini, in particolare chi farà parte della classe dirigente (“hai anche soggiunto che se taluno avesse bisogno di esempi imitasse te”, dice ancora Plinio).

Scelgo questi due motivi perché essi sono al centro dell’appello del presidente della Crui (il rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta), il quale si fa araldo non solo dei rettori che dirige (e che non credo abbia consultato), ma anche di tutti i docenti e gli studenti degli atenei italiani proclamando prima che “l’università ha bisogno di Lei” e che “una barca senza timone va alla deriva”, e poi che ai giovani del nostro Paese “dobbiamo fornire modelli positivi”, perché essi “hanno bisogno di esempi da seguire e di riferimenti da ricordare”. Che simili esternazioni provengano da chi è chiamato a presidiare i valori repubblicani, della critica e del pluralismo (e forse, semmai, a esortare i giovani a cambiare il mondo lasciato da Draghi e dai suoi pari, non a riprodurne i percorsi), è motivo di sconcerto.

Come hanno mostrato vari studi, in età imperiale i panegirici non erano semplici atti di omaggio: attorno a essi – o meglio tramite essi – si costruiva e si consolidava il potere dell’imperatore, che aveva bisogno di garantire la propria autorità non attraverso meccanismi istituzionali stantii o inesistenti, bensì tramite la conclamata adesione delle élite cui gli stessi retori appartenevano. Ciò che colpisce ora, nella moltitudine delle preghiere affinché Mario resti, è proprio il posizionarsi, del tutto dis-intermediato nell’assordante delegittimazione del Parlamento, di diversi attori sociali attorno non già a un’idea o a un programma, bensì a una persona. È il pendant di quel moto di disgregazione della civitas in un bellum omnium contra omnes tra monadi sociali (anche atomizzate e poco rappresentative) che la fine analisi di Joseph Vogl (Capitalismo e Risentimento, Beck 2021) individua nell’attuale trionfo del finanz-capitalismo digitale, capace di tradurre le dinamiche di potere in un rapporto tra leader e follower.

Il Traiano di Alfieri, per la cronaca, sceglieva alla fine di sottrarsi all’impero e, “come sola dignità veramente onorevole di uomo, di essere e farsi cittadino di Roma”.