La “Via città di Cutro” a Reggio Emilia ci fa unire contro le mafie

É esplosa una polemica sull’abolizione di VIA CUTRO a Reggio Emilia. La proposta è partita dell’ex prefetto della città la Dottoressa De Miro che si è distinta per la sua azione contro la penetrazione ‘ndranghetista a Reggio Emilia. Fu la prefetta che denunciò la penetrazione della famiglia Grande Aracri a Reggio Emilia e decise lo scioglimento del comune di Brescello. Subito dopo, su il Fatto Quotidiano è intervenuto Nando Dalla Chiesa a sostegno dell’iniziativa criticando chi, come Enzo Ciconte, storico sulla ‘ndrangheta, si era espresso contro. Nando dalla Chiesa avanza una proposta: “Si intitoli viale Cutro ai pescatori di Cutro che di fronte al naufragio del ’23 rappresentarono l’umanità di tutti noi. Come Vincenzo Luciano, pescatore, soccorritore eroico: “Non pensavo alla mia vita ma a salvarli”. Parole ​ scolpite nella memoria degli italiani. La gente di Cutro (che è quella che conta) sarà orgogliosa che i valori storici di Reggio Emilia vengano riconosciuti nei propri concittadini. Che dei cutresi siano presi a esempio per il loro sentimento di fratellanza coraggiosa verso migranti innocenti uccisi dal mare e dagli uomini. Sogno una targa così: “Via pescatori di Cutro, 25-26 febbraio 2023”. Che bella festa quel giorno a Cutro. E anche a Reggio. Io ci sarò, parola d’onore”.

Subito dopo il Fatto Quotidiano ospita una replica di Enzo Ciconte che pubblichiamo per intero. Daremo conto di altri interventi nei prossimi giorni.

La “Via città di Cutro” a Reggio Emilia ci fa unire contro le mafie.
Di Enzo Ciconte

Si è acceso un dibattito in questi giorni che riguarda l’opportunità di mantenere una strada di Reggio Emilia intitolata “Via città di Cutro”. È giusto o, come sostengono alcuni, non è opportuno per i legami che Cutro ha con la ‘ndrangheta? Io sono tra quelli che pensano sia giusto. Anzi, ritengo sarebbe profondamente sbagliato non farlo, a meno che non si voglia sostenere – implicitamente ma pericolosamente – che togliere il nome “Cutro” significhi equiparare una città intera alla mafia.

La proposta si muove sulla scia della Prefetta De Miro. Su questo giornale Nando dalla Chiesa, che ringrazio per le parole di apprezzamento che mi ha dedicato, è intervenuto nella querelle proponendo di cambiarla in via dei pescatori di Cutro. Par di capire che a Reggio Emilia non debba esistere via città di Cutro per la “pretesa di quegli stessi criminali di ‘colonizzare’ la città in cui operano in trasferta”. Ma è quello che hanno sempre fatto gli ‘ndranghetisti in tutto il Nord: cercare di “colonizzare” i territori. È il loro mestiere, come sa Dalla Chiesa.

Ma di questo, mi chiedo, ne ha colpa Cutro? Identificare una città, una comunità con la mafia è sempre un pessimo affare. Anni fa Giuliano Ferrara ebbe a dire che “la mafia è l’essenza della Sicilia”, dimenticando che le prime vittime furono i siciliani che contrastarono i mafiosi da La Torre a Chinnici a Mattarella a Peppino Impastato e a tanti e tanti altri siciliani e anche Carlo Alberto dalla Chiesa che pur non essendo siciliano ha combattuto i mafiosi e ne è rimasto vittima. A Reggio Emilia c’è via Città di Cutro, a Cutro c’è piazza Reggio Emilia. Non sono toponimi casuali: hanno una storia alle spalle. Nel tempo, a partire dagli anni Sessanta quando i cutresi arrivarono a Reggio Emilia, le amministrazioni si preoccuparono dell’accoglienza e a Cutro si sono recati tutti i sindaci che si sono succeduti. E da Cutro gli amministratori si recarono a Reggio Emilia. Era uno scambio frequente. In quei decenni il Pci e la sinistra avevano maggioranze bulgare e non avevano bisogno di fare l’inchino al “potere di Cutro”. Cutro insignì del premio Il Putino Dante Bigliardi, partigiano, dirigente che il Pci inviò in Sicilia a dare una mano (allora si usava così) e poi diresse la Filef (Federazione italiana Lavoratori emigrati e Famiglia) si occupò degli emigrati di Reggio Emilia all’estero, e conobbe e lavorò con i cutresi.

Se si togliesse l’intitolazione si finirebbe per lasciare agli ‘ndranghetisti il ruolo di paladini dell’onore offeso, di rappresentanti dell’intera comunità cutrese. Lo hanno già fatto mettendo in scena una narrazione abilmente orchestrata secondo cui, finché c’era ricchezza, i comuni davano lavoro anche ai cutresi; ora che c’è la crisi, si preferiscono i reggiani, e “a noi ci affamano”. Al di là della toponomastica è necessario interrogarsi su un unicum che riguarda Reggio Emilia e tutta l’Emilia-Romagna. Gli uomini di mafia anche quando vanno al Nord cercano i politici, possibilmente quelli al comando. È successo così dappertutto, tranne a Reggio Emilia e in Emilia-Romagna. I mafiosi hanno incontrato gli uomini della destra, non del centro sinistra. Hanno incontrato reggiani collusi e conviventi, colletti bianchi, imprenditori. Sin dagli anni Ottanta ci sono state amministrazioni comunali che, avendo scoperto che le mafie avevano vinto delle gare in modo legale, hanno rescisso i contratti. L’esempio più clamoroso fu Bologna che vide come vincitore di una gara importante una ditta dei cavalieri del lavoro di Catania che il prefetto dalla Chiesa disse a Giorgio Bocca essere legata a Cosa nostra. Il comune pagò una grossa somma, ma Imbeni impedì la penetrazione della mafia a Bologna.

E venendo ai giorni nostri, il processo Aemilia si tenne in città perché il Comune e la Regione pagarono le spese per evitare che venisse spostato ad Ancona perché il ministero di Giustizia non avrebbe sganciato un euro. Mantenere la toponomastica credo rafforzi la cooperazione delle due città nella lotta alla ‘ndrangheta.