L’agente Minniti ora è ministro: quando aspettarsi poco è molto meglio (di Vito Barresi)

di Vito Barresi

Come forse avrebbe detto un grande scrittore americano, Marco Minniti, uomo politico di Reggio Calabria Centrale, non è certo uno di quei calabresi che ha vissuto d’illusioni.

Egli stesso mai fece mistero dietro il caratteristico look al total black così tipico del suo excursus pubblico, di aver sempre aspirato a far parte di quel Parnaso al profumo di bergamotto che si staglia simbolico e leggendario, come Gambarie d’Aspromonte si specchia sullo Stretto dei Mamertini, sullo scenario scabro della sua ultima provincia, per povertà e arretratezza socio economica, troppo a lungo dilaniata da feroci e barbare orde di ‘ndrangheta, così magistralmente analizzate da magistrati sociologi.

La stessa che fece dire a lui, succintamente, tanto somigliante al minaccioso terrorismo islamico, quello dell’ora topica dei giorni attuali, in cui sa immergersi come acciuga nel sale. Insomma, a ritrovarsi incastonato tra le stelle e le firme dei migliori e intramontabili penati e cittadini eletti che, da Gianni Versace vanno a Mia Martini, da Leonida Repaci giungono al beato padre Catanoso.

Giacchè è proprio questo il contrasto che si coglie con un certo brivido nel giubilo campanilistico, pronto a strombare al volgo nel commentare la nomina a cotanto alto soglio di un personaggio che ha saputo sempre planare, con garbo e delicatezza estrema, sulla trucidità delle mappe calabre, con la sua ormai proverbiale costanza di conferire sempre alla propria carriera politica un movente etico, un timbro aulico e illustre, quello dello zelante Cavaliere dell’Idea, esibito in ogni sortita, specie estiva e comprensiva di festività d’avvento e resurrezione, in quanto espressione magistrale di exeplum etico, mai sporcandosi le mani intonse con amministrazioni di qualsivoglia grado e natura istituzionale.

E questo lo si ammetta sia quando le azioni parlamentari si elevavano indifferenti sulla rissa territoriale, sia quando le stoccate inferte tra un bilancio dello stato e l’altro apparivano politicamente incisive per far crollare, odiatissimi nemici amici in cordata alfaniana, i soliti rampanti e arroganti della allora e un tempo giovine destra reggina.

minniti-magorno Sempre pronto a sfilare dal suo taschino fascinoso una nuova penna per siglare atti di memorabile storia militare, universalmente lodato per la sua specchiata moralità, il nuovo ministro degli Interni allorquando venne posto alla direzione della politica regionale dai suoi molteplici ma sempre unici partiti (Pci, Pds, Ds, Pd…) non si è lasciato mai conquistare dalle turba delle mezze calzette di paese, quegli adulanti compagneros di una volta che mai avrebbero potuto percepire il senso della sua profonda filosofia.

Una sorta di ‘arrière pensée’ pragmatica, che si manifestava in un sorriso velato e leonardesco, nell’attenzione posta con zelo alle domande dell’altro ignoto, senza mai confessare, il più forte e struggente deliberato dell’animo, scassa cazzi di ieri e di oggi, di “piantarli in asso, non appena fortuna cangi, volgendosi di maestro in grecale” (Gadda, Carlo Emilio, Adelphi, 2016).

Chi stende simile nota è personalmente certo che il ‘neon’ Ministro Minniti Marco (guarda caso, 3M) non è quel che i detrattori han detto di lui, cioè un ‘narciso’ della politica calabro-romana, bensì figura non cangiante con caratteristiche mentali e progettuali, militante estote parati che non ha mai amato leggere giornali scandalistici né tanto meno umoristici, quanto saggi e messaggi (magari criptati per via del suo incarico ai Servizi di Stato), tipo quello di Simon Blackburn, che tra Oxford e Cambridge, avverte ogni sicurezza che occorre immantinenti fare attenzione a non confondere narcisismo con autostima, che è al contrario parte salutare della personalità e delle qualità del buon politico.

Minniti eredita dal suo predecessore Alfano un comparto della Pubblica Sicurezza che è a dir poco in condizioni pessime, vuoi anche per l’ultimo delitto che troverebbe titolo tra i tipi di Avagliano come una sorta di Bambola cinese.

L’Italia, dopo gli accordi caldeggiati dal fiorentino sfuggito alla mattanza senatoriale, si è svenduta come cerniera lampo dell’Asia e del Medio Oriente, incapace di pianificare una ostpolitik adeguata ai flussi migratori, con un organico di Polizia insufficiente e impreparato ad affrontare i problemi della sicurezza interna e internazionale che riguardano i ¾ del pianeta, 3 continenti su 5, Asia, Africa ed Europa.

Per cui Minniti avrebbe da formulare nuove linee operative, sagomare l’organigramma e la struttura organizzativa di una delle Polizie, insieme delle forze dell’Ordine, più performante a livello globale, affrontando un complesso di questioni dirimenti per la civiltà, la democrazia, la libertà e l’integrazione dei popoli e dei gruppi umani.

Minniti non è il Migliore come San Gennaro. Non farà miracoli. Da lui, come sanno tutti i calabresi, aspettarsi poco è molto, ma molto meglio.