Lamezia, l’area industriale ex Sir come la terra dei fuochi: le inchieste della Dda e la terza vasca per l’interramento dei rifiuti

Che l’area industriale ex Sir di Lamezia Terme sia una polveriera di inquinamento, lo sappiamo ormai da molti anni. Ma quello che è accaduto quest’anno con gli scarichi a mare delle peggiori schifezze tanto da far diventare l’acqua giallo-verde non era mai accaduto con tanta disarmante “regolarità”. E che la situazione sia diventata gravissima, lo testimonia l’ordinanza del sindaco di Lamezia Terme Mascaro, che finalmente – e probabilmente sentendo vicino l’intervento della magistratura – ha messo nero su bianco una serie di questioni molto gravi.

Nello specifico l’amministrazione comunale sollecita il Corap, l’ente strumentale della Regione Calabria delegato allo sviluppo delle aree industriali (oggi in liquidazione), di “provvedere alla pulizia e alla manutenzione dei canaloni “B” e “C” e di tutti i pozzetti in cemento ubicati a ridosso dell’argine est del canalone “B”; di provvedere alla chiusura dei pozzetti privi di copertura. Tale chiusura per i pozzetti collegati a canali in disuso – si precisa nell’ordinanza – dovrà essere permanente cosi da evitare eventuali manomissioni. E ancora, si chiede di “provvedere allo smaltimento e/o avvio a recupero dei rifiuti presenti nel canaloni e pozzetti, attraverso il conferimento degli stessi presso impianti specializzati al loro trattamento e/o smaltimento ai sensi della normativa vigente…

L’ordinanza firmata da Mascaro prende le mosse dal fatto che l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria il 7 agosto ha notificato la “Relazione sulla situazione ambientale dei Canaloni denominati “B” e “C” siti nell’Area “Ex Sir” di Lamezia Terme”, successiva a sopralluoghi effettuati nell’area in oggetto, in collaborazione con i Carabinieri Forestali, durante i quali sono emerse importanti criticità definite come “potenziale pericolo igienico sanitario”: il contenuto dei pozzetti e dei canaloni potrebbe, a seguito del verificarsi di piogge non intense, riversarsi direttamente in mare; i pozzetti, lasciati aperti, essendo direttamente collegati al canalone “C”, potrebbero essere usati per lo scarico illegale di rifiuti liquidi, che verrebbero così ad essere veicolati nel canalone “B” e quindi giungere in mare… Ed è appena il caso di sottolineare che tutti i condizionali utilizzati dal sindaco Mascaro stanno lì a rappresentare la gravità della situazione perché purtroppo è tutto vero e senza… condizionali.

Ma non è certo da adesso che si parla della estrema pericolosità dell’area industriale ex Sir di Lamezia. Basta soltanto rispolverare qualche cronaca di pochi anni fa.

I RIFIUTI IN FIAMME

Primavera-estate 2020

Terzo incendio in meno di due mesi in un capannone adibito allo smaltimento dei rifiuti nell’area ex-Sir a Lamezia Terme. L’ultimo si è verificato in una struttura di proprietà della Logica scarl, consorzio di imprese subentrato alla Daneco nella gestione dell’impianto di trattamento meccanico biologico dei rifiuti. 
Il consorzio è un frutto misto di imprese lametine (Ecosistem srl ed Ecotec Srl), imprese crotonesi del noto gruppo Vrenna (Salvaguardia Ambientale spa e Waste Srl) e la tarantina Progeva srl. A godere della maggior parte delle quote societarie sono la Ecosistem (con il 41,72% della proprietà) e la Salvaguardia ambientale spa (con il 39, 76%)…

Sempre nella ex Sir (che conta sette impianti di riciclo sparsi per tutta l’area) pochi giorni prima era toccato a un altro capannone e ancora qualche giorno prima, il 25 giugno 2020, i Vigili del fuoco avevano domato un altro grosso incendio che aveva divorato plastica, legno e metallo contenuti nel capannone della Econet Srl. La guardia, da parte degli inquirenti, resta alta.
Ma i problemi ambientali per Lamezia non si fermano qui.

In quel periodo – ma non solo – in molti hanno “scomodato” il paragone con la terra dei fuochi per spiegare al meglio la situazione dell’area industriale ex Sir di Lamezia.

TERRA DEI FUOCHI – Il termine è abusato e ridondante ma per Lamezia Teme potrebbe calzare a pennello. Perché la città della Piana di Sant’Eufemia non è lontana affatto dall’essere designata quale “terra dei fuochi”. Sulla questione ambiente, d’altronde, i riflettori da parte della Procura di Lamezia Terme e della Dda di Catanzaro sono ormai accesi da anni. Rifiuti pericolosi interrati malamente (taluni anche in terreno demaniale), inquinamento di corsi d’acqua e falde acquifere, capannoni adibiti al trattamento dei rifiuti che vanno in fiamme, roghi tossici provenienti dal ghetto rom di Scordovillo. Cosa manca ancora perché Lamezia riceva la patente di “terra dei fuochi” e, soprattutto, perché il pericoloso baratro del disastro ambientale sul quale la città cammina, scuota le coscienze di governanti di ogni ordine e grado e l’apatia che avvolge la stragrande maggioranza della popolazione?

Ma non siamo soltanto alla definizione “terra dei fuochi”. Qualche nome delle aziende che operano in quest’area lo abbiamo già fatto ed è tempo di ricordare anche quelli di alcuni imprenditori che, peraltro, sono già indagati dalla magistratura.

Per esempio, sono indagati per gestione illecita di rifiuti Giovanni De Ninno ex direttore tecnico dell’Ilsap srl e Roberto Martena. L’Ilsap, sempre nell’ex area Sir, produce 15mila litri di bio-diesel al giorno. L’accusa è che lo scarto industriale sia stato interrato, e poi maldestramente coperto. Una terribile moria di pesci nel 2018 ha fatto scattare l’allarme. «Gli accertamenti hanno consentito, inoltre, di ricostruire come la società, attraverso l’allestimento di attività collaudate, poste in essere in modo abituale e continuativo, abbia nel tempo cagionato un potenziale e significativo deterioramento del suolo e dell’ecosistema, con alto rischio di contaminazione delle matrici ambientali, che allo stato potrebbero essere già intaccate», scrivevano in una nota gli investigatori.
I carotaggi e le successive indagini non disdegnavano l’ipotesi dell’inquinamento ambientale già quattro anni fa, figuratevi adesso…

Il 6 dicembre 2019, la Polizia di Stato, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catanzaro e della Procura di Lamezia Terme, aveva tratto in arresto 20 persone ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti ed inquinamento ambientale. Un vero e proprio sistema criminale attraverso la costituzione e il controllo di fatto della Ecologa, società con sede a Gizzeria e la Crm, con sede a Dozza (Bologna), entrambe destinatarie di un provvedimento di sequestro preventivo, gestivano in modo illecito la filiera del recupero e dello smaltimento dei rifiuti, che sono stati sversati sia all’interno della discarica abusiva di località Bagni, sia in un ulteriore sito individuato in località San Sidero a Lamezia Terme, prossimi ad alcuni corsi d’acqua che attraversano il Lametino. Tra i rifiuti interrati senza alcun criterio, anche farmaci scaduti.

Il Gup ha condannato in abbreviato di tutti gli imputati che avevano scelto il rito alternativo con pene dai 4 anni a un anno e 9 mesi di reclusione e multe fino a 42mila euro.
Dalle indagini delle procure calabresi aveva preso le mosse anche la Dda di Milano che, con l’inchiesta “Feudo”, è arrivata a lambire anche il territorio lametino. Sono quattro i siti del Lametino citati nelle carte dell’inchiesta: innanzitutto quello della società Eco.lo.da a Gizzeria, quindi la “Cava Parisi” in località Caronte, la vicina “Cava Liparota” e l’impianto Eco Power, sempre a Lamezia. Secondo l’accusa i rifiuti indifferenziati provenienti dalla Campania e arrivati in Calabria – tramite un traffico gestito dalla Lombardia – venivano scaricati e smaltiti “tal quali”, cioè senza nessun trattamento. In questo caso gli inquirenti rilevano contatti con la ‘ndrangheta, in particolare con la cosca Iannazzo…

LA TERZA VASCA – Come se non bastasse, in un territorio che ha urgente e vitale bisogno di essere bonificato, la questione politica sulla quale si concentra l’attenzione del governo regionale e comunale riguarda la costituzione della terza vasca per l’interramento di rifiuti in località Stretto. L’ordinanza numero 45 del 20 maggio 2020, vergata dall’allora governatrice Jole Santelli, prevedeva la realizzazione di una terza vasca (volumetria pari a circa 600mila metri cubi) in località Stretto del Comune di Lamezia Terme. Già prima della Santelli, l’ex governatore Mario Oliverio aveva nominato un commissario ad acta «affinché, in sostituzione del Comune di Lamezia Terme, presenti all’autorità competente,… il progetto della terza vasca in località Stretto…».

Una vasca per l’interramento dei rifiuti che faceva e fa gola perché le royalties dovrebbero risollevare le cattive sorti economiche in cui versano la municipalizzata Lamezia Multiservizi e il Comune. Un progetto al quale si sono opposti non solo consiglieri comunali come Rosario Piccioni ma, soprattutto, gli attivisti della rete Rete Civica No Discariche i quali avevano voluto incontrare l’assessore all’Ambiente dell’epoca – Capitano Ultimo – mettendolo a conoscenza di tutte le problematiche ambientali del territorio. Ci fu anche un braccio di ferro tra Capitano Ultimo e la Santelli ma alla fine tutto continuò ad andare… come doveva andare. Nel frattempo, Lamezia affoga nei rifiuti e nell’incuria, trogolo di interessi (sovente illeciti) altrui. E sta trascinando nella sua deriva anche Vibo Valentia e Pizzo. E non è finita qui…