Le urla di Meloni (per il nome di Casini) e l’occhiolino di Di Maio: diario di una trattativa invisibile

(Fabrizio Roncone – corriere.it) – Ecco quello che succede qui a Montecitorio. Un giochetto che, dopo quattro giorni, sta diventando stucchevole.
Per dire: Matteo Salvini spunta dal nulla nel Transatlantico affollato dai grandi elettori, lo attraversa a passo di carica, con una finta evita il leghista Claudio Borghi che vorrebbe congratularsi a prescindere, entra nell’emiciclo, vota, esce e fila via verso il portone principale.
Mischione di cameramen e fotografi in attesa, microfoni a mezz’aria. La dichiarazione di Salvini è: «Offrirò nomi noti anche a livello internazionale».

Ma quando l’ha deciso?
E dove?
E con chi?
Giorgia Meloni è d’accordo?
Hanno telefonato a Silvio Berlusconi?
C’è un elenco di quei nomi?
Sono domande che non hanno risposta. Circa mille grandi elettori devono accontentarsi di apprendere le notizie dalle agenzie di stampa. Meno di dieci persone (Salvini, Letta, Meloni, Di Maio, Conte, Franceschini, Renzi e pochi altri) stanno decidendo il nome del nostro nuovo presidente della Repubblica incontrandosi, parlandosi, trattando e litigando, litigando parecchio, lontani da questo salone liberty e dal cortiletto dove bivacchiamo tutti — votanti e cronisti, portavoce e portaborse, un tizio con il Borsalino calato sulla testa che nessuno sa chi sia, un altro vestito da marinaio con un maglione giallo che non cambia da lunedì — tutti fumando come non ci fosse un domani, sigari, sigarette vere e sigarette elettroniche, con la mascherina abbassata anche chi non fuma, tra botte di noia pazzesca e soprassalti di cupo terrore; i grillini, non appena torna a circolare l’ipotesi che alla fine sia Mario Draghi a salire su al Quirinale, annusano il rischio elezioni e vanno nel panico.

Luigi Di Maio lo sa: e, infatti, viene a votare con il chiaro e unico intento di «tranquillizzare» la fanteria a 5 Stelle, che lo adora. «Giggino caro, che ci dici?». «Giggino, ah se non ci fossi tu…». Lui offre il corpo fasciato in un abito di sartoria napoletana e si lascia sfiorare, accarezzare, stringe mani e incede, un po’ ministro degli Esteri e un po’ sultano, un sorriso qua, un occhietto là, rassicurante come venti gocce di En. Ma anche Di Maio: mai visto scambiarsi mezza parola in pubblico con Letta. O con Speranza.
Rocco Casalino, leggendaria ombra di Giuseppe Conte, capita l’antifona, ha suggerito: «Peppino, meglio che vieni a farti un giretto…».

E così si presenta pure Conte, che non è un grande elettore ma sarebbe comunque il capo in carica del Movimento. Eccolo allora comparire morbido nel suo cappotto di cashmere, saluta un paio di giornalisti e poi va alla buvette, incontra Liliana Segre e si lascia fotografare: quando però riparte nel suo giro pastorale non riconosce le sue pecorelle stellate, ne liscia una dozzina che si aspettano almeno un cenno, e invece niente, procede distribuendo sorrisi e inconsapevoli sospetti.
Guardate: non è che in passato, per esempio nel maggio del 1992, Giulio Andreotti venisse a sedersi su questi divanetti per trattare la sua candidatura al Colle; restava per ore chiuso nel suo ufficio a cercare di spiegare quanto e come fosse più giusto votare lui e non il suo avversario, Arnaldo Forlani, il Coniglio Mannaro (cit. Giampaolo Pansa). Però poi a spiegarti la scena scendeva Paolo Cirino Pomicino, Ciriaco De Mita blandiva le truppe scudocrociate e ti portava a bere un caffè, arrivava Rino Formica e dava un senso ai tuoi appunti.
Stavolta, invece: tutti distanti. Nascosti.

Certo le urla della Meloni erano così forti che sono rotolate giù dal palazzo dei gruppi, le finestre che affacciano su via degli Uffici del Vicario. Nella notte, Lega e FI le avevano preparato un pacchetto. Lei l’ha scartato e dentro ci ha trovato il nome di Pier Ferdinando Casini.
Così s’è capito anche perché, fino all’alba, Salvini fosse sparito (certo non era tornato a casa del professor Sabino Cassese: quelli del Foglio giurano che la visita sia avvenuta nelle ore precedenti). Però, per intenderci: adesso le agenzie di stampa battono la notizia che è irraggiungibile Conte.
Dove sei Conte? Che fai?
Quanto al Cavaliere: è ancora ricoverato, ed è complicato persino parlargli al telefono (pure Mario Draghi ha faticato un po’). Enrico Letta, invece, è poco loquace anche quando vede le partite del Milan, figuratevi adesso (poi comunque nel Pd sono così tanti quelli che pensano di decidere qualcosa, che alla fine vivono meglio).