Lettera aperta sui tamponi di rientro. Follie (disorganizzate) da Repubblica delle banane

LETTERA APERTA SUI TAMPONI DI RIENTRO: FOLLIE DISORGANIZZATE DA REPUBBLICA DELLE BANANE

Ho aspettato lungo tempo prima di fare polemica, poiché, in queste situazioni così acute, le frizioni non sono mai di giovamento. Ora però credo sia il caso di denunciare a voce alte le follie che dal 4 maggio (data del mio ritorno in Calabria) vivo giornalmente.
Andiamo con ordine.

Arriva il giorno della fase due, a seguito del Dpcm che mi consente il rientro presso la residenza mi avvio in stazione centrale, a Napoli, per ritornare in terra di Calabria. Avendo gia’ adempiuto, così come prescriveva l’ordinanza regionale al censimento (che brutta parola tra l’altro), sulla piattaforma online predisposta dall’ente regione.
Arrivato in stazione, dopo aver fatto una fila non troppo folta ai varchi, mi aspettavo che qualcuno procedesse a misurarmi la temperatura come da propaganda sbandierata, e invece niente. Vabbè mi sono detto, succederà all’arrivo, il personale è poco e i viaggiatori molti. Li capisco.

Arriva il momento del controllo di polizia, l’agente mi chiede dove stia andando. Sono pronto a mostrare l’autocertificazione, la apro e la porgo. In quel momento mi sento rispondere “no, mi dica solo per quale motivo si sposta, non c’è bisogno che la visioni”. Parlo, espongo, vengo congedato con il foglio di carta ancora in mano. Vabbè mi sono detto, il personale è poco, la gente è tanta. Li capisco.

Inizia il viaggio, i posti distanziati, il personale di bordo redarguisce chi non mette bene la mascherina, ma l’impiegato stesso ne è privo e scorrazza tra i posti.
Finalmente arrivo a Paola, un viaggio teso.
Mi sottopongo ai controlli di sicurezza, consegno l’autocertificazione e l’autocertificazione dell’autocertificazione che il sito della regione mi ha inviato a suo tempo per email, dopo la richiesta di rientro.
Primo step superato. Anche qui, però, nessuno mi prende la temperatura.

Arriva poi il momento tampone: il personale sanitario è disposto vicino ad un banchetto, tute di biocontenimento e Chanteclair sgarssatore disinfettante per i guanti.
Sono il primo del mio treno a sottopormi volontariamente al test. È rapido il personale, alla fine della tamponatura mi dicono che verrò ricontattato, in massimo 72h. Saluto e mi avvio in macchina.

Tornato a casa mi aspetto di trovare già l’ordinanza del sindaco notificata da un pubblico ufficiale che mi impone la quarantena coatta (dato che nessuno ha l’obbligo giuridico di rispettare un isolamento se non per un atto dato dall’autorità sanitaria locale). Chiedo ai miei, mi dicono che non è arrivato ancora nulla, ma io decido di autoisolarmi, solo per senso civico. Tanto sarà una questione di ore dico, non avrebbe avuto senso altrimenti l’autocensimento entro 2 giorni prima dall’arrivo, non avrebbe avuto senso chiedere il placet per il rientro comunicando i miei dati. La regione sarà sicuramente stata solerte nella indicazione agli enti locali, così da poter provvedere, celermente, alle misure del caso. Sarà solo un problema momentaneo, organizzativo.
Vabbè mi sono detto, il personale è poco, la gente è tanta, li capisco.

Passano i giorni, continuo a non ricevere nulla, tutto tace.
Dopo 4 giorni squilla il telefono, è l’ASP.
Esulto (sarà l’esito del tampone penso), potrò interrompere la quarantena se negativo.
Niente risultato invece, semplicemente mi domandano chi sia il mio medico curante. Chiedo io dell’esame, e loro mi rispondono che i tamponi sono tanti, “non si possono fare previsioni sui tempi necessari alla comunicazione”. Vabbè mi sono detto, il personale è poco, la gente è tanta, li capisco.

Nella stessa giornata leggo una nota del direttore dell’Azienda Sanitaria provinciale. È in lotta con la Regione sull’obbligo di quarantena. “Non si deve interrompere neanche dopo l’esito del tampone negativo” dice, “ne serve un secondo”. Non farà rispettare l’ordinanza regionale.
Inizio ad essere così un poco indignato. Ricordo a me stesso di essermi messo in autoisolamento per aspettare il tampone, e che ho accettato di farlo a determinate condizioni (la comunicazione in 72 h, appunto), non si cambiano le regole del gioco in corso d’opera, anche perché in teoria io sarei libero di scorrazzare ancora dove mi pare, ma non lo faccio solo per coscienza, precauzione, civismo. In più sono anche sicuro di essere negativo, ho fatto come tutti 2 mesi di lockdown, e arrivo da Napoli, non da una provincia ad alto rischio. Ma pare comunque che si faccia di tutta l’erba un fascio.
Vabbè mi sono detto, il personale è poco, la gente è tanta, li capisco.

Giorno 9 maggio.
Per caso, controllando la mail, noto negli spam una notifica in più rispetto al giorno precedente. Apro la casella e mi accorgo che sono stato raggiunto da una ordinanza del sindaco che mi impone, a scopo precauzionale, la quarantena (dopo 6 giorni). Nel corpo del messaggio di testo, al di là dell’allegato, è presente una chiosa che mi chiede di rispondere alla comunicazione con un messaggio, volto a segnalare l’avvenuta ricezione.
Sono sbigottito. Ci sono voluti 6 giorni per emanare un provvedimento così essenziale? A cosa è servito allora comunicare addirittura 48 h prima del rientro i miei dati alla regione? Non sarebbe stato meglio notificarla subito, al mio arrivo? Che senso ha un provvedimento del genere ora? E per di più con questo metodo di notificazione cosi poco auspicabile e per certi versi di dubbia legittimità.

In 6 giorni, se fossi stato infetto da covid, avrei potuto seminare contagio ovunque. Un insulto al principio di precauzione e alla celerità della amministrazione pubblica. Tutta propaganda scellerata penso.
Vabbè mi sono detto, il personale è poco, la gente è tanta, li capisco.

Arriva il 12 maggio: corrono voci (a me non confermate dalla Asp) che il risultato del tampone verrà comunicato solo se positivo. Siamo lasciati in balia delle speculazioni, della immaginazione, delle minchiate in successione.
È ora di pranzo, bussa alla porta mio zio, mi dice al citofono che un operatore del servizio rifiuti gli ha lasciato un foglietto di illustrazione e dei sacchi per la raccolta dei rifiuti da consegnarmi.
Dovrei procedere alla indifferenziata (come previsto dalla ordinanza comunale del 9 maggio), i sacchetti però arrivano oggi.

Ecco, questa mi pare la goccia capace di far traboccare qualsiasi bocca di vaso.
Follie disorganizzate, in ordine sparso, robe che appartengono più ad una Repubblica delle banane che ad uno Stato sociale di diritto, ad una comunità attenta, che non lascia nessuno indietro.
Se volete fare la lotta al virus, fatela seriamente, con criterio, coordinamento, ragionevolezza, proporzione.
Le giustificazioni non sono più possibili.
Pochi proclami, più attenzioni. Se non ne siete capaci abbiate la forza di dichiarare il vostro stato confusionale, dimettervi e ritirarvi nei meandri più oscuri, in silenzio.
Non si gioca con le libertà delle persone, né con la loro psiche…

Lettera firmata