Lettere a Iacchite’: “La rivolta di Reggio e la repressione delle forze speciali”

Un momento della rivolta di Reggio Calabria di quarant'anni fa. Una citta' in guerra per il capoluogo di regione, assegnato invece a Catanzaro. Una guerra vera, con cinque morti e duemila feriti, oltre 800 arresti, danni per miliardi di lire dell'epoca. I reggini devastarono la loro citta', ingaggiarono scontri furiosi con le forze dell'ordine, ruppero il legame che li univa ai maggiori partiti e sindacati e scelsero nuove forme di rappresentanza. ANSA/Per gentile concessione di Rosario Cananzi/CRI

La rivolta di Reggio Calabria per il capoluogo di regione.

Reggio di Calabria 1970,”boia chi molla”, lotta di popolo, l’unico e vero 14 luglio altro che la cosiddetta “presa della Bastiglia”. Cinquantadue anni fa la rivolta della città, dal  14 luglio 1970 al febbraio del 1971, scese in piazza la popolazione di una città  emarginata, vessata, arrabbiata. Il  regime  romano-centrico (governo e partiti, sindacati e mezzi di informazione), la  bollò  come una “rivolta fascista”. Cinque morti, duemila feriti, ottocento arresti e carri armati sul più bel lungomare d’Italia.

Ricordiamo l’epopea di una città eroica, cara a tutti i meridionali, esempio che, oggi non pochi per via della grave  crisi politico-economica in corso,  pensano – anche se non lo   dicono – che bisognerebbe  seguire  in tutte le regioni della nostra martoriata nazione. La lotta di Reggio Calabria raccolse diverse adesioni in tutta la Calabria, capofila l’organizzazione cosentina della “Unione Bruzia”, per il succedersi dei moti che non furono contro lo Stato ma contro il sistema di   potere che   l’occupava. Molte le simpatie da parte di movimenti localistici indipendenti e antipartitocratici che parteciparono alle elezioni del   1970.

La  repressione fu brutale e dura, non vi furono eccezioni nel colpire anche le donne che manifestarono in massa. Molte le pubbliche denunce a riguardo dei reparti speciali che violarono domicili, inflissero  torture,  in servizio 24 ore su 24 che a detta  dei cittadini  fu possibile con l’uso di stupefacenti.

Nessuna collusione con l’attentato di Gioia Tauro, che è rimasta sempre e solo una semplice congettura. Giorgio Almirante, unico leader cui si consentì in comizio a Villa San Giovanni,   provò a rimuovere la linea dura del governo onde promuovere un ponte per il dialogo ma   non fu assolutamente ascoltato. Alla repressione  si accompagnò la mobilitazione della   triplice  sindacale che calò da  tutta Italia a Reggio per intimidirla. L’adesione vantata da parte di alcune organizzazioni extraparlamentari di estrema sinistra, a  differenza della  destra, fu solo un fatto simbolico dl propaganda e non registrò una presenza di piazza. Sul   finire della rivolta era stata progettata l’astensione dal lavoro, in tutto il nord, dei meridionali che poi non ebbe più modo di realizzarsi.

La condotta delle forze dei reparti speciali intervenute spesso non trovarono condivisione da parte degli uomini delle locali forze  dell’ordine; non contrastarono iniziative, tanto per fare un solo esempio, come quella della “Unione Bruzia”, di far giungere a Reggio propri manifesti di solidarietà, già affissi a Cosenza, e volantini, in modo che non valesse il blocco totale della città nella quale nessuno poteva entrare oppure uscire, e nulla poteva inviarsi.

Grazie dell’attenzione.

Arturo Stenio Vuono