L’Italia e la crisi di vocazioni, parla il cosentino Coscarella: “Alleniamo l’istinto”

Il cosentino Ernesto Coscarella

di Enrico Currò 

Fonte: Repubblica

MILANO. La disfatta della Nazionale legittima il quesito: è possibile sviluppare il talento a livello scientifico? La risposta affermativa arriva da un neurochirurgo italo-americano di fama internazionale: Ernesto Coscarella, 50 anni, cosentino di nascita trapiantato negli Usa dagli anni Novanta, un’autorità nel campo della neuroanatomia e della neurochirurgia adulta e pediatrica, responsabile in USA della www.NeuroUsa.com, International Telemedicine Second Medical Opinion.

Professor Coscarella, si può coltivare il talento in laboratorio?
“I miei studi più recenti dimostrano che il talento dei grandi campioni risiede nella parte sub-corticale, l’area più profonda del loro cervello. Per questo, con opportuni allenamenti specifici, il talento può essere coltivato e accresciuto sin dall’età infantile: quell’età che noi chiamiamo la Golden Age, periodo in cui la plasticità cerebrale, cioè l’abilità del cervello di stabilire nuove connessioni, è al massimo del suo potenziale”.

Da dove nasce l’ idea scientifica della sua metodologia per velocizzare il pensiero di un atleta?
“L’ho definita Metodologia di allenamento neurocognitivo nello sport e nasce da un lungo percorso scientifico, iniziato dalle osservazioni su alcuni bambini malati di epilessia con crisi severe e subentranti. In questi casi limite si rende necessario un intervento di hemispherectomy, cioè la rimozione di un intero emisfero cerebrale. Se fatta in età precoce, i bambini recuperano quasi completamente una normale funzionalità. In inglese questa fase è definita Brain Plasticity at the Golden Age”.

Ma il talento di Cristiano Ronaldo e Messi è un’altra cosa.
“Appunto. Gli studi sono proseguiti con l’osservazione di esperimenti su Ronaldo e Neymar e di importanti settori giovanili europei. Ronaldo fu sottoposto in Spagna a diversi test di abilità calcistica, compreso un test di abilità mentale. Alcuni di questi test, come quello con un pallone lanciato nel buio da colpire al volo indirizzandolo in porta, dimostrano che esiste un Ronaldo “non vedente” cioè capace di eseguire alla perfezione un gesto tecnico, ancor più se è particolarmente complesso e richiede un’esecuzione di millisecondi”.

E Neymar?

“Da partecipante a un secondo gruppo di studi è stato sottoposto a risonanza magnetica funzionale cerebrale, per visualizzare l’ anatomia funzionale del cervello. Il risultato è stato che Neymar, a differenza degli altri, attiverebbe pochissima corteccia cerebrale, cioè il cervello più superficiale, quando esegue movimenti specifici di calcio, come la rotazione della caviglia”.

Il talento dei fuoriclasse è naturale?
“Sì, ma oggi si può creare. È il risultato di tanti e molteplici fattori in un habitat perfetto, che sono scientificamente riproducibili. Fattori che stimolano e impregnano di più la parte profonda o sottocorticale che quella superficiale o corticale del cervello e contribuiscono alla formazione del bambino talento o istintivo fin dall’infanzia. E’ l’età in cui c’è un’incredibile esplosione di nuove connessioni tra le cellule cerebrali o meglio una vera e propria Big Bang della Brain Plasticity. Un banale esempio di plasticità è l’esposizione di un bambino in tenera età all’ ascolto di due o più lingue diverse. Le imparerà tutte con naturalezza, lo zio forse una e con difficoltà, il nonno nessuna”.

Quindi come apprende il cervello di un campione?
“Il nostro cervello impara usando tre meccanismi fondamentali: l’errore, la ripetizione che deve essere corretta e la decodificazione continua di migliaia di stimoli sensoriali al secondo, cioè deve introiettare il mondo esterno. Vista e propriocezione giocano un ruolo fondamentale nell’ infanzia di un futuro talento. Un bambino impara molto vedendo, perciò non ha bisogno di un bravo allenatore, ma di un impeccabile istruttore di pura tecnica calcistica. Purtroppo proprio in questa fascia d’ età non vedo figure così qualificate: prima in strada si poteva emulare il compagno più forte oggi il calcio di strada non esiste più e i giovanissimi atleti nelle scuole calcio necessitano tutti i giorni di un Pirlo come esempio da analizzare e copiare”.Come si può rimpiazzare l’istruttore Pirlo?
“Non si può. Il grosso errore è solo pensarlo. Sarebbe bello poterlo convincere ad allenare i giovani e magari con la mia metodologia”.

Allora da dove si parte per creare un Pirlo?
“Un qualunque atleta si può costruire stimolando il sistema motorio, ma un talento naturale è più complesso e lo si deve formare utilizzando maggiormente i circuiti sensoriali, cognitivi ed infine motori. Nella nostra corteccia motoria, l’area superficiale del cervello dove risiede la motilità, siamo rappresentati con grandi mani e un grande viso, mentre il resto del corpo è molto più rappresentato nella corteccia sensoriale. E non è un caso che queste aree della corteccia motoria siano prevalenti, perché nella nostra evoluzione abbiamo dovuto usare le mani per costruire utensili di difesa e la mimica del viso per interagire e comunicare. Il grande golfista Tiger Woods, quando gli viene chiesto di descrivere cosa pensa prima di colpire la palla, usa parole come feelings, creativity, imagination, visualization, cioè l’ uso dei sensi e mai dei soli muscoli. Lasciare che una performance accada piuttosto che pensarla o farla succedere è la dote naturale del talento. Woods parla di momenti di black-out, perché per lui è più facile eseguire il colpo che pensarlo. Abbiamo calcolato circa 35 secondi di buio mentale, 35 secondi in cui esegue perfettamente una complessa azione tecnica, in apparenza solo motoria o della corteccia cerebrale superficiale”.

Invece?
“Invece avviene a un livello più profondo: quello sottocorticale o subconscio. La corteccia cerebrale ci rende abili a parlare a calcolare, a prendere decisioni ponderate e meno istintive. Ma è la zona sottocorticale, chiamata circuito limbico, che ci rende super veloci e ci salva la vita in situazioni di istantaneo pericolo. Io sono convinto che i talenti naturali usino molto di più questo circuito profondo e riescano ad anticipare complesse azioni apparentemente solo motorie, non tanto vedendole ma immaginandole, e agiscano usando tutti i sensi a disposizione. Torniamo agli esempi di Ronaldo e Neymar. La mia metodologia di allenamento, anche con l’ uso di nuove tecnologie, studia e stimola proprio queste aree del cervello”.

Nel dettaglio?
“Oggi, quando osservo un atleta, riesco a visualizzare la sua anticipazione mentale su quella motoria. Con un piccolo test che ho sviluppato riesco a capire se esegue un’azione tecnico-motoria a livello corticale o sottocorticale, cioè se ha una possibile predisposizione alla dote del talento, cioè l’ istinto. Osservo partite dove le squadre vincenti mi sembrano più spesso quelle dove undici cervelli giocano come in uno stato di trance o stato di flow, interagiscono in perfetta sincronia di tempi, hanno indubbie abilità individuali di anticipazione mentale sul gesto tecnico motorio. Operano a un’altra velocità: quella subconscia. Il paragone che mi sembra più adatto è quello di un’orchestra, dove tutti i musicisti sono sincronizzati nell’ eseguire il brano musicale. Proprio nella musica si usa molto lo stato di esecuzione subconscia individuale”.L’orchestra è la metafora preferita di un rivoluzionario del calcio come Arrigo Sacchi.
“Non lo sapevo, ma mi fa molto piacere perché è proprio questo che spero di creare: l’ incontro tra la neuroscienza ed i migliori uomini del calcio. Mi piacerebbe incontrarlo e condividere la mia ricerca scientifica. In effetti come pianista vivo spesso questa sensazione di rallentamento del tempo quando suono, quasi come quello che si ricerca nella meditazione. In pratica il cervello, che normalmente riceve migliaia di informazioni al secondo, si focalizza solo su quelle necessarie e le esegue quasi in maniera automatica. Nei talenti questo è istintivo e viene messo in atto alla massima velocità per un essere umano”.

Quanto incide l’ambiente?
” Moltissimo. Ad esempio siamo gli unici esseri viventi che impiegano mesi per camminare e molti dei sensori responsabili nel metterci in piedi e darci la coordinazione motoria necessaria sono nel 70 % presenti sotto la pianta dei piedi. Perciò giocare con le scarpe e su terreni perfetti non aiuta. Si dice che i bambini in Africa camminino prima perché correre scalzi e su terreni sconnessi ha un impatto maggiore a livello propriocettivo. Provate a chiedere ad un calciatore professionista dove giocava da bambino: vi dirà sabbia, pietre, radici, cemento e spesso scalzo. Parte della mia metodologia va anche a stimolare questi sensi”.

Ma la strada non è più il campo di allenamento.
“I ragazzi di oggi non giocano più per strada, eppure la strada rimane sempre la migliore scuola di calcio. Il miglior allenatore di un bambino è un altro bambino proprio perché hanno un linguaggio diverso tra di loro. Le scuole americane tendono a far fare i compiti a scuola tra i bambini, cosa che funziona molto bene. La realtà virtuale ci può aiutare a colmare questo gap. Per questo sto presentando la mia metodologia anche a compagnie che studiano la realtà virtuale negli sport. L’ idea è di creare una metodologia parallela di allenamento neurocognitivo e propriocettivo: insomma uno di quei giochi intelligenti che comprerei a mio figlio, se lo sapessi per molto tempo davanti alla playstation”.

Si può ricostruire l’habitat più adatto?
“Certo. La visione neuroscientifica mi ha aiutato a capire come. Fondamentalmente è un lavoro di squadra tra neuroscienziati, allenatori o ancor meglio istruttori di calcio di altissimo livello tecnico. Bisogna creare centri di neuroscienza applicati al calcio e inizialmente crearli in club professionistici dove ci sono i ragazzi più talentuosi. Centri dove possiamo unire osservazione, ricerca scientifica ed esperienza calcistica per ottenere risultati nuovi, importanti, e per cambiare radicalmente l’ approccio di allenamento nel calcio e nello sport in genere, sviluppando nuove tecnologie. Penso che la mia metodologia scientifica possa essere estesa a tutti gli sport, non solo al calcio. Ho trovato interlocutori attenti in tutta Europa”.

Dove?
“Ho presentato il mio metodo in Olanda al PSV Eindhoven, all’AZ Alkmaar e a Mino Raiola, il noto agente Fifa, in Inghilterra al Manchester City, in Germania al Borussia Dortmund. E poi alla Beyond Sports Virtual Reality di Amsterdam, specializzata nello sviluppo di realtà virtuale applicato allo sport. L’obiettivo è di realizzare e coordinare centri pilota di allenamento neurocognitivo in Europa”.

E in Italia?
“Io sono così convinto delle mie idee che ho deciso di vivere per un anno tra Miami e Milano. Mi piacerebbe mettere i miei studi a disposizione anche del calcio italiano, dove c’è davvero terreno fertile per iniziare a introdurre questo nuovo approccio neuroscientifico, ma al momento ho riscontrato serio interesse solo da club europei. In Germania sono già molto avanti in questo campo e soprattutto molto interessati nello specifico. Anche dal Qatar sto ricevendo alcuni contatti iniziali in vista del Mondiale 2022. In diversi club europei ho constatato un approccio, nella scelta dei giovani atleti e metodologia di gioco, che conferma la mia intuizione scientifica: d’altronde molti allenatori prediligono le abilità mentali rispetto a quelle fisiche”.Qualche esempio?
“Quello classico è Guardiola, col suo Barcellona super-sincronizzato. Oggi il Napoli di Sarri è un ottimo esempio di anticipazione mentale, quindi di velocità spesso affidata ai piedi dei più bassi ma dei più talentuosi calciatori, abituati fin dalla tenera età a lavorare quasi in maniera ossessiva su tecnica e tempi di gioco. In Olanda questo approccio è ancora più evidente, considerando che si tratta di una delle popolazioni più alte nel mondo. Le caratteristiche dei nostri migliori calciatori, Pirlo, Totti, Del Piero, Baggio, Eranio le vediamo sempre più in squadre spagnole: non è un caso che in tutte le competizioni, settori giovanili, club e nazionale, la Spagna arrivi troppo spesso prima di noi”.

La scienza può colmare il divario?
“Non sono un tecnico di calcio, il mio è un approccio scientifico, però avverto un controsenso nella selezione dei calciatori italiani in giovane età. Con rare eccezioni, i ragazzi vengono prevalentemente scelti più in base all’aspetto fisico che a quello mentale, tecnico e istintivo-creativo. E questo controsenso è ancora più evidente in uno sport che prevede un baricentro basso e che necessita di una perfetta coordinazione occhio-piede e assai meno di quella occhio-mano. Nel nostro cervello le aree di controllo dell’ occhio e della mano sono anatomicamente adiacenti, ma diametralmente opposte a quello di controllo dei piedi. Questo spiegherebbe perché, quando lanciamo la palla per la prima volta ad un bambino piccolo, tenderà a controllarla con le mani e difficilmente con i piedi. Dal punto di vista
scientifico, il calcio potrebbe essere quasi uno sport innaturale per l’uomo”.

Perché pensa che la sua intuizione sia quella giusta?
“Perché al PSV, dopo la mia presentazione, ho trovato i ragazzi e gli allenatori giocare nel parcheggio. Se avessi avuto le scarpe adatte, mi sarei unito a giocare con loro. La passione è l’ ingrediente chiave eterno per diventare un campione. E nasce solo da lì, dalla strada”.