Ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere di persona Silvio Longobucco. Nel 2007 sono andato a intervistarlo a Scalea per “Campioni di Cosenza”, una collana di ricordi calcistici e Longobucco aveva aperto il suo libro del passato con una passione incredibile. Ne era uscito fuori un bellissimo cameo e oggi che non c’è più, il minimo che io possa fare è rispolverare quell’album. Dopo gli inizi nella sua Scalea e a Terni (https://www.iacchite.blog/ciao-silvio-da-scalea-a-terni-con-nino-cardillo-i-derby-con-lac-talao-e-le-sfide-tra-i-quartieri/), adesso è la volta della Juventus.
Quando hai saputo che saresti andato alla Juve?
“Nell’estate del 1971. Facevo il servizio di leva, dal Car di Orvieto ero stato trasferito all’ospedale di Perugia e stavo telefonando. Il centralinista aveva la radio accesa e stava ascoltando le notizie sul calciomercato. “Altri due colpi della Juventus – riferì il cronista -: acquistati i terzini Spinosi e Longobucco…”. Io sapevo che dovevo passare al Vicenza e non ero molto contento perché noi meridionali non vorremmo mai stare troppo ontani da casa. Lì per lì, quando ho ascoltato la notizia, ho pensato che Torino era ancora più lontana…”.
E’ vero che il primo contratto con la Juve te l’ha fatto firmare Luciano Moggi?
“Certo che sì. Quando ero militare ad Orvieto insieme a quelli che poi sarebbero diventati miei nuovi compagni di squadra alla Juve, gli attaccanti Landini e Novellini, si è presentato proprio Luciano Moggi in jeans e maglietta a mezze maniche blu e col riporto per i capelli… Mi pare che lavorasse “ufficialmente” alla stazione di Civitavecchia, forse come capostazione… Moggi c’era già allora, altro che storie e non faceva guadagnare soltanto la Juve…”.
Stai cercando di giustificare l’operato di “Big Luciano”?
“No, non voglio giustificare nessuno, per carità. Ma vogliamo dirci apertamente che c’è un Moggi in ogni società importante del calcio professionistico? C’è chi è più bravo e chi meno, tutto qui. Mi spieghi allora perché l’Inter, il Milan, il Napoli e tante altre società erano tutte lì a fargli la corte per assicurarsene i servigi? Non lo sai? Te lo spiego io: perché il loro “Moggi” non era stato in grado di farle decollare”.
Non era solo la Juve di Moggi ma soprattutto la Juve di Allodi, Boniperti e Vycpalek
“Italo Allodi è stato il più grande di tutti, il maestro e il punto di riferimento di ogni direttore sportivo. Un vero gentiluomo. Boniperti, con tutto il suo passato di fuoriclasse, era un presidente che ti metteva in difficoltà con la sua sconfinata competenza e la sua infinita signorilità. Quanto al mister Vycpalek era un abilissimo stratega tattico: preparava le partite con una cura straordinaria e gestiva uno spogliatoio difficile con estrema naturalezza”.
Il primo anno, 1971-72, subito scudetto ma solo due partite
“Ero militare ed ero un oivellino, sono stato molto fortunato. Ho esordito a Firenze e ho giocato anche a San Siro contro l’Inter di Sandro Mazzola. Eravamo quasi a fine torneo e la lotta per lo scudetto era ancora aperta. Ho rispettato tutte le consegne e mi hanno fatto tutti i complimenti”.
1972-73: 12 partite e un altro scudetto
“Non era facile entrare tra i titolari della Juve. Nello spogliatoio c’erano i clan, dovevi muoverti con molta prudenza, stare attento a non alterare certi equilibri. Il titolare del ruolo di terzino sinistro era Giampiero Marchetti, giocavo quando non c’era lui ma ero anche il primo “cambio” per la difesa. Avevo legato soprattutto con Sandro Salvadore, il nostro libero. Il mio armadietto era vicino al suo e a quello di Capello.. Mi davano una mano anche i giornalisti. Tuttosport in primis con il grande Vladimiro Caminiti. Avevano notato che ero un fluidificante naturale grazie alla mia velocità e alla capacità di crossare in corsa. Come me all’epoca c’erano solo Facchetti e Sabadini”.
E riesci anche a giocare la finale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax a Belgrado.
“Credo che sia il punto più alto della carriera di ogni calciatore insieme alla finale della Coppa del Mondo. L’Ajax era una squadra stellare, aveva inventato il calcio totale, ma noi non scherzavamo. Zoff, Marchetti, Longobucco, Furino, Morini, Salvadore, Altafini, Causio, Anastasi, Capello, Bettega: non so se mi spiego… Io giocavo al posto di Spinosi. Dovevo marcare Johnny Rep e lui segnò dopo appena 4 minuti. Ho rivisto quell’azione centinaia di volte. Arriva un cross dalla destra, lui capisce che sto per fregarlo e mi pianta un gomito sulla giugulare per non farmi saltare: era fallo netto! Ma l’arbitro lasciò correre. C’era tutta la partita per recuperare, sbagliammo un sacco di gol. Era destino che non dovessimo vincerla…”.
Com’erano i grandi campioni juventini?
“Zoff era un grande lavoratore. Quando noi stavamo già sotto la doccia, lui era ancora in campo e ci rimaneva almeno per un’altra ora. Bettega cantava sempre le canzoni di Battisti: era innamorato perso… Altafini era un guascone, simpaticissimo, ne inventava sempre qualcuna. Causio si incazzava se lo chiamavi “barone” ma se poi lo chiamavi Franco ti teneva il muso… Comunque è un falso burbero, in fondo è un tenerone. Quando ci siamo rivisti negli anni Novanta si è persino commosso”.
Era il periodo in cui molti meridionali giocavano con la Juve: tu di Scalea, Furino di Palermo, Causio di Lecce, Anastasi di Catania, Cuccureddu di Alghero… Dicevano che era una strategia dell’avvocato Agnelli per ingraziarsi i suoi operai della Fiat.
“No, non era così. La Juve non guardava la provenienza geografica di nessuno. E’ sempre stata un’azienda che doveva produrre utili e chi gestiva il settore tecnico aveva intuito che al Sud c’erano talenti a volontà che magari costavano anche meno e rendevano di più di quelli del Nord. E poi negli anni ’70 il “classismo” comunque dominava e i meridionali tifavano più per il Toro che per noi. Nonostante i giocatori del Sud”.
E il famoso “stile Juventus”?
“Tutto vero. C’era una serietà fuori dal comune, c’era un rispetto verso i dipendenti che rasentava l’incredibile. Ogni volta che festeggiavo il compleanno, mi arrivava una cassetta di champagne da sei bottiglie. Firmavamo i contratti in bianco…”.
1973-74: finalmente titolare, anche negli album delle figurine Panini
“E’ stata la mia annata migliore. Vycpalek mi aveva definitivamente preferito a Marchetti. Giocai 24 partite su 30: un trionfo. Ma lo scudetto lo vinse la Lazio. Col mister eravamo entrati in sintonia. Gli piaceva il mio modo di attaccare e spesso me lo lasciava fare. Il fluidificante significava avere un uomo in più sulla fascia per attaccare, creava la famosa “superiorità”. Ma quando giocavi gli scontri diretti avevi solo da svolgere compiti ferrei. Nelle partite più importanti mi faceva stare a metà tra la mezzala e il tornante avversario per poter avere più libero Capello a centrocampo. In sostanza, quando Fabio scendeva in avanti, io dovevo “coprirgli” l’uomo”.
1974-75, ultimo anno alla Juve. E’ vero che sei stato ceduto perché hai picchiato Gorin, ala destra del Milan?
“Questo Gorin era un tipo particolare. Mi ha provocato fino all’ennesima potenza: “africano”, “tua madre è una vacca” e ti risparmio i “complimenti” più pesanti. Io gli dicevo di finirla, che gli avrei fatto male veramente, ma non c’era verso. Come se non bastasse, in un corpo a corpo sulla fascia, mi sferra pure un pugno in faccia a due passi dal guardalinee, che fa incredibilmente finta di niente. A quel punto ho deciso che era venuto il momento di vendicarmi. Ho atteso che l’arbitro mi voltasse le spalle e gli ho mollato un diretto sul muso. E’ dovuto uscire sanguinante. Poi ho saputo che gli hanno messo 13 punti e che gli è caduto un dente. La partita è finita regolarmente, io non sono stato neanche espulso ma non avevo fatto i conti con la “moviola”… Il casino, insomma, è scoppiato ugualmente. Figurati come ha preso la palla al balzo quell’antimeridionale di Gianni Brera per buttare fango sui giocatori del Sud. Ricordo che alla “Domenica Sportiva” è stato Bettega a dirgliene quattro rispetto alla sua campagna denigratoria. E Brera non ci fece una bella figura”.
La questione è finita anche all’Associazione calciatori
“C’è stata una specie di “processo” nel corso del quale abbiamo raccontato le nostre verità. Io ero difeso da Fabio Capello. Al bar c’era anche Nereo Rocco, che non fu molto tenero con Gorin. E’ finita che lui per sei mesi non ha ricevuto nessun tipo di assistenza dall’Assocalciatori mentre io ne sono uscito pulito”.
Ma hai perso il posto di titolare
“Vycpalek se n’era andato e questo non giocava a mio favore. Carlo Parola, il nuovo mister, “vedeva” meglio Cuccureddu a sinistra e io stavo cercando in qualche modo di fargli cambiare idea. Quell’episodio non mi ha certo aiutato. Comunque vinsi il mio terzo scudetto giocando una decina di partite”. (g. c.)