L’uomo che parlava ai vaccini e sussurrava alle medaglie

(di Andrea Scanzi – Il Fatto Quotidiano) – “È stato un lavoro complesso, grazie davvero a tutti e soprattutto agli italiani”. Così il commissario per l’emergenza Francesco Figliuolo ha salutato il mondo tutto lo scorso 31 marzo. Ci mancherà, il mitico Figliuolo. Non tanto per le sue qualità, di cui certo non sarà sprovvisto, quanto per quella tragicomica aura di mito che gli avevano affibbiato sin dall’inizio – così: a prescindere – larga parte dei media nostrani. Ora, al suo posto, c’è una nuova Unità per il completamento della campagna vaccinale che opererà fino al 31 dicembre 2022. È diretta da un altro generale, Tommaso Petroni, che – al di là dei suoi meriti effettivi – non potrà mai raggiungere mediaticamente i livelli di Figliuolo. Un po’ perché di Covid non si parla quasi più e un po’ perché Figliuolo ha saputo toccare “vertici” difficilmente superabili in termini di comunicazione. Figliuolo arrivò nelle nostre misere vite il Primo marzo del 2021. La campagna vaccinale era appena partita e la copertura era al 3%. Figliuolo ha portato sostanzialmente a termine il suo lavoro non perché lui fosse Goldrake e Arcuri il Poro Schifoso, ma perché prima i vaccini non c’erano e ora con Figliuolo sì. Un dato non proprio trascurabile, che però l’informazione italiana ha sempre teso a minimizzare, per ribadire la semplificazione secondo cui “Draghi (e quindi Figliuolo) uguale Perfezione” e “Conte (e quindi Arcuri) uguale Schifo & Morte”. Oggi la copertura vaccinale sfiora il 90%. Nel 65% dei casi è stato usato Pfizer, nel 24,7% Moderna, nelll’8.95% AstraZeneca, nell’1.11% Johnson&Johnson e Novavax praticamente nulla (al 31 marzo erano 32 mila somministrazioni a fronte di 1 milione di dosi inutilizzate).

Parafrasando il maestro Raf: cosa resterà di questo generale Figliuolo? Il lessico, anzitutto. Il suo è sempre stato un uso della lingua italiana dadaista, personale, un po’ alla Lino Banfi e un po’ alla Di Pietro: strafalcioni, neologismi, gaffe. Figliuolo verrà poi ricordato come l’uomo dei lustrini e delle medaglie. Per mesi è andato in giro con una quantità tale di metalli e orpelli da cortocircuitare in eterno tutti i metal detector del mondo. Le sue interviste, soprattutto quelle in collegamento da Fabio Fazio, erano fatalmente irresistibili: non potevi non seguirle, perché il futuro della tua vita sarebbe dipeso anche dalle parole di quello strano personaggio, e certo non c’era nulla da ridere nei contenuti e nel contesto. Eppure nell’osservarlo ti veniva sempre un po’ da ridere, perché una delle cifre di Figliuolo è sempre stata la costante propensione alla caricatura. All’anacronismo. Figliuolo sarebbe stato strepitoso in certe commedie all’italiana dei Sessanta: per esempio ne I soliti ignoti, pronto a duettare da pari a pari con “Ferribotte” e Capannelle. Uomo perennemente in divisa (per la gioia di Michela Murgia) e mai in borghese, quasi che la sua vita non contemplasse leggerezza e fosse per sempre soggetta a una bizzarra marzialità gerarchica, Figliuolo è stato anche l’uomo dei record da bruciare: “500 mila somministrazioni al giorno”, anzi facciamo 700 mila, ma che dico 1 milione! Ogni volta si credeva l’Usain Bolt dei vaccini, poi però faceva cilecca e neanche saliva sul podio. Lui però, stoico come un Diogene alpino, non si arrendeva mai e continuava ad alzare chissà perché la posta. Figliuolo è da un mese in libreria con Un Italiano, libro-intervista con Beppe Severgnini. La guerra e la fine dello stato d’emergenza lo hanno forse già reso un personaggio del passato, ma nessuno potrà dimenticare l’uomo che parlava ai vaccini e sussurrava alle medaglie.