M5S-Lega: prove tecniche di accordo

Fonte: Huffington Post

Scena numero uno. Sono le venti e quindici quando lo smartphone di Luigi Di Maio vibra. Sul display appare il nome di Matteo Salvini. È il primo contatto tra leader di schieramenti opposti all’indomani delle elezioni. “Un confronto franco e cordiale”, riferiscono fonti della Lega. Che si è protratto per poco più di cinque minuti, ed è stato seguito da voci di un incontro fra i due da tenersi la prossima settimana, prontamente smentite dal Movimento. Per i 5 stelle è stato “solamente un primo approccio”, con all’interno elementi di contradditorietà ma anche segnali importanti.

Perché il leader del Carroccio avrebbe detto al suo omologo stellato di “rappresentare il centrodestra”, aggiungendo tuttavia che “le cose cambiano dalla mattina alla sera”. Il nocciolo della telefonata ha ruotato sulla presidenza delle Camere. Ma il riferimento a future alchimie di governo e a una Lega che potrebbe sganciarsi dagli alleati di coalizione è sin troppo evidente. Al punto che entrambi concordano un elemento comune da diffondere una volta attaccato il telefono. Dalle presidenze “porteremo avanti la nostra battaglia contro i vitalizi”, scrive il capo politico del Movimento. “Tagliare vitalizi e spese inutili sarà la nostra priorità”, gli fa eco Salvini. Primo contatto, prima convergenza sui temi.

Scena numero due. Quando ormai la sera avanza, una fonte dell’inner circle di Luigi Di Maio risponde al telefono dopo una lunga girandola di squilli a vuoto e numeri staccati: “Siamo costretti a farlo, l’aria che tira oggi è questa”. Ecco la conferma che il vento è definitivamente cambiato. Certificata l’indisponibilità del Partito democratico anche solo a sedersi intorno a un tavolo, il vento soffia con forza sulle ali di uno schema che prevede insieme Movimento 5 stelle e Lega anche nel futuro esecutivo. E non si fa più fatica ad ammetterlo. Anche perché, spiegano, “è una soluzione che fa morire di paura Pd e Forza Italia”. Rivelando che la speranza di smuovere le acque nei Dem che si dimostrano ancora granitici sul no al dialogo è ancora una fiammella accesa nel campo grillino.

Scena numero tre. Due altissimi dirigenti azzurri si incontrano alla buvette di Montecitorio. Si è appena concluso l’incontro dei gruppi con Silvio Berlusconi. Chi c’era racconta di un clima tutto tarato sul “programma” da cercare in tutti i modi di attuare. Sfumati, molto sfumati, i passaggi su presidenza delle Camere e governo. Scherzano, poi abbassano la voce. “Ti hanno chiamato?”, chiede il primo. “Chi il Quirinale?”. “No, gli amici nostri”. “Ah sì, loro sì”. “E che gli hai detto?”. “Che ognuno va per i fatti suoi”. Testuale, fatto salvo per un eufemismo utilizzato nell’ultimo virgolettato. Che certifica una situazione da tana libera tutti nel centrodestra. Ma soprattutto avvalora il canale di dialogo tra le truppe di Di Maio e quelle di Salvini. Ad oggi il più robusto tra i sottili fili che si intrecciano sul prossimo futuro.

Che qualcosa si stesse muovendo lo si era capito fin dal mattino. Quando sul blog del Movimento a sorpresa era spuntato un post: “Da oggi, in accordo con Luigi Di Maio, inizieremo le interlocuzioni con gli altri gruppi politici”. Delega ai capigruppo, Danilo Toninelli e Giulia Grillo. Coadiuvati da una squadra di vicepresidenti e segretari di cui venivano diffusi i nominativi. Con una specifica: il mandato riguarda “le presidenze di Camera e Senato”.

È da lì che parte il grande gioco del Palazzo. La situazione è molto fluida, gli umori vasti e cangianti. La linea da seguire è quella che collega Toninelli e Giancarlo Giorgetti, capi delle rispettive diplomazie. All’orizzonte il primo inceppamento. Perché entrambi i partiti, per motivi simili ma non sovrapponibili, puntano a Montecitorio. Come si sono ribaditi nella telefonata, rimanendo ognuno sulle proprie posizioni e lasciando al momento insoluta la questione. “Siamo la prima forza politica – ha scritto Di Maio su Facebook – abbiamo il 36% di deputati. Vogliamo che la volontà degli elettori venga rispettata attraverso l’attribuzione al Movimento della presidenza della Camera dei deputati”.

I 5 stelle puntano alla Camera bassa per due ordini di ragioni. Non vogliono che, nel caso il presidente della Repubblica individui nella guida del Senato il possibile destinatario di un mandato esplorativo, sia uno dei loro. Perché considerano l’esplorazione destinata al fallimento. E sarebbe un serio ostacolo, in una fase successiva, a un mandato pieno per Di Maio. Considerano inoltre lo scranno di Montecitorio più visibile e spendibile politicamente. E più influente nella gestione dell’Ufficio di presidenza e dell’iter legislativo.

Sul primo punto il ragionamento è condiviso dal Carroccio. C’è tuttavia un’ulteriore variabile. I fedelissimi di Salvini siedono alla Camera (Fontana, Fedriga, Giorgetti). E qualora si puntasse su Palazzo Madama sarebbe difficile prescindere dalla figura di Roberto Calderoli, che negli ultimi tempi si è molto avvicinato al segretario senza mai arrivare a ottenerne piena fiducia.

Non siamo ancora allo scontro, non c’è un vero braccio di ferro perché la trattativa è ancora all’aurora. Il leader delle camicie verdi ha aperto seccamente a Di Maio anche in pubblico: “Oggi lo cerco al telefono”. E ancora: “Non ho smanie di governo, voglio mantenere fede a quello che mi hanno chiesto gli elettori, lavoreremo e vedremo: esclusa una collaborazione con il Pd, tutto il resto è possibile”.

Salvini esclude che sia possibile “un patto tra la Lega e un altro partito”, e assicura di lavorare “per un programma di centrodestra”. Ma il mood della giornata porta in tutt’altra direzione. A partire dal segretario della Lega che si muove con la libertà del vincitore, e che ha contattato anche Pietro Grasso e Maurizio Martina, incassando da entrambi una disponibilità a parlare delle presidenze della Camere individuando “figure di garanzia”, in un quadro che le vede del tutto slegate dal capitolo governo. E proseguendo con gli umori in Forza Italia, la quale rimane alla finestra in attesa degli eventi, lasciando corda all’alleato che “sbatterà con il muso contro i 5 stelle”. Sperando di portare la coalizione esattamente dall’altra parte del quadro politico, a dialogare con il Pd.

Il leader del Carroccio ha l’assenso di trattare sulle presidenze delle Camere. E il fatto che sia lui sia Di Maio battano con insistenza sul tasto per il quale “le presidenze sono slegate da un futuro governo” certifica la fase preliminare dei colloqui. I 5 stelle hanno due o tre nomi spendibili. Sono quelli di Riccardo Fraccaro, una legislatura da segretario d’aula e molto vicino al leader, Emilio Carelli, stimato anche dal centrodestra e Roberto Fico. Le quotazioni di quest’ultimo in caso di accordo a destra sembrerebbero al ribasso, nonostante il pressing dell’ala più movimentista dei 5 stelle, nella sua salita sullo scranno più alto di Montecitorio vede una condizione irrinunciabile per cementare senza scossoni la leadership del capo politico. La Lega, da par suo, sembra aver individuato in Giorgetti il proprio candidato. Ai blocchi di partenza la situazione sembra di stallo, ma la partita è lunga ed è appena cominciata. E non è da sottovalutare che M5s sa perfettamente che al quarto scrutinio il centrodestra avrebbe la forza di eleggere da solo il presidente del Senato, rischiando di creare un effetto domino che li potrebbe tenere al palo anche alla Camera.

Una tela che, ad oggi, sta diventando prodromica anche per il dopo. Le parole di Salvini sul non voler fare “il premier a tutti i costi” vengono considerate dal Movimento un segnale. E si ragiona su quello che già inizia a circolare come “il piano C”. Ovvero: se nessuno dei due avesse la forza di varare un esecutivo, si porrebbero le basi per una sorta di governo di scopo gialloverde, con all’ordine del giorno la modifica della legge elettorale, la legge di stabilità, una manciata di provvedimenti condivisi, e il ritorno alle urne al più tardi nella prossima primavera.

Un’ipotesi che al momento rimane l’unica in campo per M5s, “l’unica praticabile”, per citare chi siede nella stanza dei bottoni di Di Maio: “Noi non entreremo mai in un governo di unità nazionale, quello che chiamano l’esecutivo di tutti. Non avrebbe senso. A quel punto per noi è meglio tornare al voto”.

Lo spauracchio della Lega, quello del ritorno alle urne. I contatti telefonici. Ai blocchi di partenza del complicatissimo risiko l’aria che spira è quella che unisce la macchia gialla che ha colorato l’Italia meridionale e quella verde che ha dipinto il Nord, che si sono fuse e incontrate nel centro nevralgico della capitale. Domani si vedrà.