Ma “Le Iene” lo sanno che nelle redazioni dilaga il lavoro nero?

Siamo al ridicolo, o peggio alla frutta. Sono giorni che l’intera informazione mainstream ci abbuffa la guallera con la storia dell’operaio che lavorava a nero, nove anni fa, nella ditta del papà di Di Maio. Una notizia tirata fuori da “Le Iene”, che come si sa lavorano a comando: raccontano solo quello che serve per favorire il loro padrone, e omettono tutto ciò che può danneggiarlo. Presto vi diremo alcune cose sul loro modo di “lavorare” con una “esclusiva” su un famoso caso locale: un chiaro esempio di narrazione parziale, dove si sputtana qualcuno per tutelare altri (non anticipiamo altro). Che è una costante nel loro lavoro, come del resto dimostra il servizio in questione sulla ditta del papà di Di Maio. Viene da chiedere: ma “Le Iene” lo sanno che la percentuale più alta di lavoro nero avviene nelle redazioni giornalistiche? Hanno mai indagato su cosa succede nelle redazioni di mezza Italia? Hanno mai denunciato editori e simili?

Infatti, dopo il loro servizio, il meglio del peggio del giornalismo italiano scopre che in Italia esistono i lavoratori a nero. Gli stessi giornalisti e direttori di testate e Tg nazionali che hanno le redazioni piene di sfruttati, lavoratori precari e tanti impiegati a nero, luogo dove Le Iene non andranno mai. Ma di questo non bisogna parlarne, anche perché ai direttori, così come alle Iene, della precarietà dei giornalisti, non gliene frega niente: tanto loro sono ben pagati e tutelati, e del cronista di provincia che lavora a nero per 400 euro mensili, non gliene può fregar de meno. Quello che conta, in questo momento, è fare i titoloni contro Di Maio che sfrutta gli operai per compiacere il padrone. E giù con editoriali, corsivi, talk, approfondimenti, interviste, dibattiti, confronti, inchieste. Manco avessero scoperto l’inventore del lavoro nero. L’obiettivo di questa infame campagna stampa contro Di Maio, per tutte le testate storicamente al servizio dei potenti, è fermare questo governo prima che cancelli il finanziamento pubblico all’editoria. E per arrivare a questo, dopo aver vivisezionato la vita della famiglia Di Maio senza trovare niente di clamoroso, si attaccano a quello che trovano.

Quello che non hanno capito i direttori e Le Iene è che è chiara a tutti gli italiani la pretestuosità di questa finta notizia. Nessuno si è scandalizzato di fronte a questa svelata verità. Tranne i politici di Forza Italia e del PD. Gli stessi onorevoli che ad ogni legislatura riempiono le loro segreterie di lavoratori a nero. Ma si sa: i loro lavoratori a nero non contano, sono felici della loro condizione, al contrario dell’operaio a nero nella ditta del papà di Di Maio, per il quale bisogna ottenere, costi quel che costi, giustizia.

Come si può credere alla genuinità di questa notizia, se a fare gli indignati sono proprio coloro i quali hanno reso “legale” il lavoro nero?

Infatti in Calabria nessuno ha dato retta a questa finta notizia. E il perché è semplice: in Calabria, come nel resto d’Italia, il lavoro nero è la normalità, perché nessuno, dei politici che oggi fanno finta di indignarsi, si è mai impegnato a porre un freno a questo dramma sociale ed economico. Da noi se togli il lavoro statale, e qualche media industria, tutto il resto o è in nero, oppure è pagato a metà: si dichiara un part time, ma si lavora full time. Questa situazione è ben nota a tutti: politici, sindacati, ispettori del lavoro, procura, e tutto il cucuzzaro.

Per dare qualche numero: nell’ultimo rapporto della Cgia di Mestre, l’associazione di artigiani e piccole imprese che rappresenta un punto di riferimento nazionale grazie al suo centro studi, la Calabria, infatti, è la regione con la percentuale più alta di lavoratori a nero, il 9,9% del totale, pari a circa 146mila unità, per un valore aggiunto sommerso di quasi 3 miliardi di euro.

Una stima al ribasso ovviamente che non tiene conto delle piccole attività commerciali: bar, abbigliamento, pizzerie, ristoranti, piccole officine. Giusto per fare qualche esempio.

Ecco, di questo i direttori responsabili dei giornaloni di partito non parlano. Non approfondiscono, non accusano, non chiedono giustizia. Così come non dicono niente i politici calabresi. Vuoi mettere l’operaio del papà di Di Maio, con l’esercito di lavoratori a nero di tutto il sud? Sul primo si possono scatenare come gli pare, sull’esercito di lavoratori in nero non possono dire niente visto che sono proprio loro la causa della loro condizione.

Di sicuro questa finta notizia –  per quel che riguarda la stragrande maggioranza degli italiani, basta frequentare un po’ la strada, e la vita reale di tutti i giorni per capirlo –  ha chiarito definitivamente il ruolo dell’informazione in Italia: al servizio dei potenti, dei corrotti, degli speculatori, e dei ladri di stato. Sollevare un caso di lavoro nero solo per colpire un avversario politico, senza tener conto del dramma generale che questo odioso reato comporta, è la prova provata del controllo totale dell’informazione, in Italia, da parte di certa politica. La solita vecchia e stantia nomenklatura politica italiana che non ci sta a restare fuori dalle stanze dei bottoni, e utilizza ogni mezzo necessario (la stampa asservita in primis) per screditare l’avversario. Ma di questo Le Iene non si occupano mai, chissà perché.

Per nostra fortuna alla finta indignazione di questi ipocriti, non crede più nessuno. Viva, ora e sempre, la Libertà di stampa.