Ci sono pentiti e pentiti. Pentiti le cui dichiarazioni scatenano la giusta reazione dello stato, e pentiti, a parità di spessore criminale, le cui dichiarazioni finiscono sistematicamente nel dimenticatoio. Come mai?
Per alcuni è solo una questione di strumentalizzazione giudiziaria del pentito da parte del potere politico di turno per colpire i propri avversari, attraverso “certi magistrati” che orientano le loro dichiarazioni in base alla convenienza elettorale degli amici degli amici del momento, per altri una questione di “nomi altisonanti” rivelati dal pentito che godono di alte protezioni, perciò intoccabili. Ovvero: se sei un pentito di ‘ndrangheta e appartieni ad un “locale” di Cosenza e dichiari che il tuo clan ha fatto un accordo elettorale (voti in cambio di appalti e cottimi fiduciari) con il candidato a sindaco della città – con tanto di nome e cognome del sindaco, dei suoi collaboratori e di tanti altri politici, nonché riveli l’identità dei magistrati, dei poliziotti, degli avvocati e dei carabinieri che offrono loro coperture, dietro compenso ovviamente – raccontando fatti e circostanze, le tue dichiarazioni finiscono direttamente nella spazzatura.
Se invece sei un pentito di una organizzazione criminale la cui mafiosità non è stata mai provata, come dire: un pentito di poco, di una città del centro Italia non certo famosa per la presenza mafiosa come da noi, e dichiari di aver attaccato il giorno prima del voto (amministrative 2016) i manifesti per la Lega di “Noi con Salvini”, scatta subito l’allarme mafia con tanto di mobilitazione politica, giudiziaria e mediatica, e le tue dichiarazioni diventano oro colato per certa politica e materia d’indagine per certi magistrati.
Niente di nuovo direbbero in tanti, abituati come siamo a sopportare la mala Giustizia che da noi regna sovrana. Invece una novità c’è ed è rappresentata dalla presenza politica di chi si è sempre dichiarato limpido e trasparente, ed oggi è alla guida dell’organismo politico più importante nella lotta alle mafie: Nicola Morra presidente della Commissione parlamentare conosciuta come “Antimafia”.
Oramai è pacifico per tutti che Nicola Morra ha sottoscritto, sottobanco ovviamente, un trattato di non belligeranza con il sindaco Occhiuto e parte della procura corrotta cittadina, promettendo loro di tenere lontano da Cosenza ispettori ministeriali e commissione, in cambio dell’insabbiamento dell’inchiesta che riguarda suo figlio. A dire che il figlio di Morra frequenta mafiosi e con loro fa affari nella gestione di alcuni locali fu proprio il sindaco Occhiuto, in risposta alle dichiarazioni di Morra che accusavano il sindaco di far gestire gli appalti cittadini a ditte mafiose. Erano i tempi in cui Morra era solo un “semplice senatore”. Dopo il duro battibecco tra i due, e dopo la nomina di Morra a presidente della Commissione, tra i contendenti è calato il silenzio. Della mafiosità di Occhiuto e dell’inchiesta sul figlio di Morra per le sue equivoche frequentazioni, non si è più parlato. Segno evidente di un accordo tra i due che da toni così accesi passano al silenzio totale, in men che non si dica.
Per nascondere l’accordo stipulato sottobanco agli occhi della gente che da tempo si chiede il perché di questo silenzio della commissione sui gravi fatti di Cosenza, Morra ha continuato a far finta di presentare esposti in procura che denunciano la mala gestione di Occhiuto, giusto per mantenere il tono da oppositore che si era dato all’inizio della sua carriera. Esposti che non hanno mai avuto una risposta – ne ha presentato una decina, alcuni vecchi di tre anni – né tantomeno Morra si è mai preoccupato di sollecitare o chiedere, come prevede la Legge, che fine hanno fatto le sue denunce al procuratore capo Spagnuolo.
E’ chiaro che fanno finta di litigare, ma sotto sotto si tutelano l’un con l’altro. Infatti ad impedire l’arrivo degli ispettori in procura, dopo l’interrogazione parlamentare dei deputati 5Stelle eletti a Cosenza che chiedono al Ministro di intervenire sui gravi fatti di corruzione presenti nel tribunale cittadino, è proprio Morra. E a dirlo sono alcuni dei deputati firmatari dell’interrogazione al ministro Bonafede. Deputati che hanno parlato al telefono con noi, e che in un momento di sconforto si sono lasciati andare, dopo un nostro lungo pressing in cui chiedevano loro che fine avesse fatto l’interrogazione, raccontandoci la verità: Morra non vuole questa ispezione. Perché fa parte dell’accordo che prevede anche la tutela del procuratore Spagnuolo. Infatti la richiesta di ispezione presentata un anno fa, non è mai stata presa in considerazione dal ministro che non ha mai risposto ai deputati. Questi sono dati oggettivi: nessuna risposta agli esposti, nessuna risposta alle interrogazioni.
Qualora ce ne fosse bisogno vi forniamo l’esempio perfetto della finta attività antimafia di Morra, che pur di mantenere la sua immagine fittizia di uomo dello stato che lotta contro la mafia, stando sempre attendo a non pestare i piedi a chi lo tiene sotto schiaffo, se ne inventa ogni giorno una. Ma questa è veramente grossa. Dichiara il senatore Morra qualche giorno fa: “Matteo Salvini sarà chiamato in commissione Antimafia per parlare dei presunti legami d’affari ed elettorali tra esponenti della Lega e il clan rom dei Di Silvio nella provincia di Latina, dopo le rivelazioni del pentito Agostino Riccardo, che ha raccontato ai magistrati come il clan aveva fatto campagna elettorale per Noi con Salvini in occasione delle amministrative 2016”.
Dice Morra: “Ci occuperemo anche del caso Latina”, e se sarà necessario ascolteremo anche Zicchieri e Adinolfi”. Ovvero Francesco Zicchieri, vice-capogruppo alla Camera della Lega, il cui nome era finito – non indagato – nell’inchiesta “Alba Pontina” che il 12 giugno 2018 aveva portato in carcere 25 membri del clan Di Silvio: candidato al comune di Terracina nel 2016, i suoi manifesti erano stati rinvenuti nell’auto di due pregiudicati che facevano campagna elettorale insieme ad Agostino Riccardo. E Matteo Adinolfi, quell’anno eletto in consiglio comunale Latina, oggi coordinatore provinciale del Carroccio e candidato alle europee.
Dice il pentito Agostino Riccardo: “Abbiamo affisso manifesti il giorno prima delle elezioni a Terracina e a Latina… erano tappezzate. Abbiamo fatto la campagna elettorale di Noi con Salvini perchè ci pagava… e anche perché se avessero vinto le elezioni l’appalto sui rifiuti sarebbe andato tutto alla sua impresa”.
Insomma siamo di fronte ad un classico: un pentito di un clan di poco conto di Latina, racconta quello che succede in quasi tutte le città italiane specie al sud, in ogni campagna elettorale: compravendita di voti. Solo che questo episodio, grave, ma non certo ai livelli nostri, ha colpito profondamente il presidente Morra che ha deciso di convocare, addirittura il ministro Salvini in commissione per chiarimenti. Tanto ci tiene alla legalità. Un modo per farsi vedere attivo dagli italiani, ma anche un modo per “ricattare” politicamente Salvini.
Perché se così non fosse Morra dovrebbe spiegare come mai, a Latina, si adopera a questi livelli per un attacchinaggio fatto da un clan la cui mafiosità non è stata mai sentenziata, mentre a Cosenza dove 4 pentiti di ‘ndrangheta – di un certo spessore criminale quali Daniele Lamanna, Adolfo Foggetti, Franco Bruzzese, e altri – raccontano, non solo di aver fatto campagna elettorale per il sindaco Occhiuto e altri sindaci quali Manna, Principe, il consigliere regionale Greco e per l’avvocato Paolini dietro pagamento, ma di aver anche stipulato accordi economici per la gestione degli appalti in città, ebbene di fronte a queste dichiarazioni il presidente Morra, che conosce bene questi verbali (da noi pubblicati, cerca “le cantate di Foggetti”), per queste nostrane cantate non ha mai convocato nessuno. Come mai? Forse che i pentiti di Latina sono più attendibili e più mafiosi di quelli di Cosenza? Più chiaro di così si muore.