Mafia-stato. Miccichè, l’uomo dei Servizi che truffò la Banda della Magliana

Continuiamo a pubblicare gli stralci del libro-inchiesta sulla ‘ndrangheta “Porto Franco: politici, manager e spioni nella Repubblica della ‘ndrangheta” di Francesco Forgione. Dall’omicidio di Salvatore Pellegrino, detto uomo mitra, gli inquirenti hanno scoperto attraverso le intercettazioni cose incredibili sulla famiglia Piromalli… Nel 1975 l’allora ministro del Bilancio Giulio Andreotti è presente a Gioia Tauro per la posa della prima pietra del V Centro Siderurgico che non vedrà mai la luce ma soprattutto per dare un “riconoscimento ufficiale” ai Piromalli e insieme a lui c’è un personaggio incredibile, Aldo Miccichè, scomparso poco più di due anni fa, il cui percorso è a dir poco rocambolesco.

ALDO MICCICHE’, L’UOMO DEI SERVIZI 

A Gioia, nel codazzo democristiano al seguito di Andreotti c’è anche un dirigente che nessuno nota con particolare attenzione. E’ stato segretario provinciale del partito sul finire degli anni Sessanta. Poi, dal 1975 al 1985, consigliere provinciale di Roma. Non è un personaggio di primissimo piano. Ma questo non gli impedisce di accumulare potere tra la segreteria politico-amministrativa e quella amministrativa di Piazza del Gesù, la storica sede nazionale della Democrazia cristiana. Da quegli uffici passano nomine, incarichi di governo e di sottogoverno. E soprattutto fiumi di soldi che arrivano da tutte le parti, da dentro e fuori l’Italia.

L’uomo è Aldo Miccichè. Un desaparecido il cui nome ricomparirà sui giornali italiani solo nel 2008, quando quasi nessuno ne ricordava più l’esistenza e la storia. La cronaca giudiziaria, nel 1983 lo vuole coinvolto in un giro di tangenti. Le avevano pagate alcune aziende svedesi per vendere le case prefabbricate da destinare ai senzatetto del terremoto che aveva colpito l’Irpinia e la Basilicata nel 1980.

Nel 1987 è protagonista di una truffa per il valore di un milione di franchi svizzeri, circa 850 milioni di lire del tempo. Una grossa banca svizzera, la SBS, li aveva trasferiti a una banca di Chiasso per finanziare la società Euro Editrice Internazionale srl. Ma tutti i documenti di supporto al prestito erano falsi. Sempre con la stessa società editoriale provoca un buco altrettanto profondo nei forzieri dell’Istituto Opere Religiose, la banca vaticana presso la quale aveva ottime entrature. I soldi servono a far nascere un giornale, “Italia Sera”, del quale è direttore. Il giornale è un lampo, durerà poco più di un mese, dal 22 maggio al 18 luglio del 1986, Poi, a finanziamento incassato, scomparirà dalle edicole.

L’uomo è un vero esperto di truffe e fallimenti pilotati. Lo aveva già fatto con una delle prime televisioni private romane: Tele Radio Più. Con l’Albergo Diurno della stazione Termini e con un esclusivo ristorante romano a due passi dal Parlamento, 31 al Vicario. Un locale ben frequentato e, forse per il nome, punto di riferimento di notabili democristiani, nobiltà romana e alti prelati vaticani.

Il personaggio è davvero particolare. La passione per il giornalismo la coltiva da ragazzo. Scrive i primi articoli su “La Voce della Calabria”. Poi approda a un altro giornale semiclandestino, “La Tribuna del Mezzogiorno”. Infine, alla “Gazzetta del Sud”, il giornale di Messina che da sempre è il quotidiano “ufficiale” dei calabresi. A Roma si piazza all’Agenzia Italia e poi diventa redattore dell’agenzia parlamentare “Montecitorio” e del settimanale “Eco del Sud”. Molte di queste testate, semiclandestine, sono finanziate con soldi pubblici. Sono tutte legate al sottobosco delle correnti e del potere democristiano di quegli anni. E all’occorrenza sono anche buoni collettori di tangenti e di operazioni finanziarie sporche.

Anche la passione per le trame e l’intrigo l’ha sempre avuta nel sangue. Come lo sguazzare nella palude melmosa dei rapporti tra politica e Servizi segreti che, già dai tempi dei “Boia chi molla”, sono una costante sia sull’asse geografico Reggio Calabria-Roma che su quello politico Dc-massoneria-estremismo fascista.

A Miccichè si rivolgono anche i capi della Banda della Magliana. Hanno bisogno di false perizie psichiatriche e di un aggancio con i giudici romani per ottenere il proscioglimento di uno dei loro capi, Marcello Colafigli. Lo racconta uno dei boss della banda, Maurizio Abbatino, diventato collaboratore di giustizia. “… il Miccichè era calabrese, un uomo politico che possedeva una Bmw serie 7 di colore celestino metallizzato e che incontrai in una villa in via Cortina d’Ampezzo e in un albergo a Piazza Capranica“. Per i favori promessi, Miccichè avrebbe intascato 25 milioni di vecchie lire, senza però produrre alcun risultato.

Anche questa poteva sembrare una truffa. Ma una truffa alla Banda della Magliana, che in quegli anni metteva a ferro e fuoco Roma, è davvero un privilegio unico nella storia criminale italiana. Soprattutto se non scattano le ritorsioni e la vendetta. E’ possibile realizzarla solo se si hanno le spalle coperte da protezioni importanti.

La spiegazione la fornisce sempre il pentito Abbatino: “Miccichè ci era stato suggerito e raccomandato da Giorgio De Stefano”. Cioè dal capobastone più potente della ‘ndrangheta della città di Reggio Calabria. Un boss legato alla massoneria e all’eversione di estrema destra già dai tempi della rivolta del 1970 e la cui famiglia ha ancora oggi la guida delle cosche della città dello Stretto.