Le mamme oggi in Italia sono in media un po’ più avanti negli anni, 31 e mezzo alla nascita dei figli, e molto raramente sono teenagers (meno di 2.000 i figli nati da madri minorenni), ma tutte, indistintamente, condividono una condizione inequivocabile di svantaggio sociale, professionale ed economico. Le donne nel nostro Paese sono infatti costrette a un difficile equilibrismo tra la scelta di maternità e il carico dovuto alle cure familiari, ancora molto sbilanciato sulle loro spalle e reso ancor più gravoso dalla carenza di servizi di sostegno sul territorio, facendo al tempo stesso i conti con un mercato del lavoro che le penalizza a priori in quanto donne e diventa un problema ancora più grande quando arrivano i figli.
Cura familiare, lavoro e servizi pubblici per l’infanzia sono proprio le tre dimensioni rappresentate nel nuovo Mothers’ Index (Indice della Madri) italiano di Save the Children, che stila una speciale classifica delle regioni dove è più facile essere mamme in Italia. L’indice, sviluppato sulla base dell’analogo indice mondiale dell’Organizzazione, incrocia in modo ragionato sette tra i principali e più recenti indicatori disponibili per diverse fasce d’età, quali il tasso di fecondità, l’indice di asimmetria nel lavoro familiare, il tasso di occupazione femminile e quello di mancata partecipazione al mercato del lavoro, l’indice di presa in carico degli asili nido e dei servizi per la prima infanzia e la frequenza della scuola dell’infanzia.
Se la regione più “mother friendly” di tutte risulta essere il Trentino Alto Adige, che si colloca al primo posto seguito nell’ordine da Valle d’Aosta (2), Emilia Romagna (3), Lombardia (4), Toscana (5), Piemonte (6) e dalle altre regioni del nord, che mostrano in generale condizioni più favorevoli alla maternità, la Calabria chiude invece in ultima posizione la speciale classifica, preceduta di poco da altre regioni del Mezzogiorno come Puglia (16°), Basilicata (17), Sicilia (18) e Campania (19).
Si tratta di uno squilibrio territoriale tra nord e sud confermato anche nel dettaglio di ciascuna dimensione che compone l’indice relativo a cura, lavoro e servizi per l’infanzia. Anche osservando solo l’aspetto della cura familiare, infatti, l’Emilia Romagna si colloca al 1° posto mentre all’ultimo troviamo la Calabria, e rispetto all’accesso delle donne al mondo del lavoro il Trentino Alto Adige è la regione più virtuosa, la Campania quella meno. Per quanto riguarda l’offerta di servizi pubblici per l’infanzia la Valle d’Aosta si segnala al 1° primo posto e la Basilicata all’ultimo.
Come ben evidenziato nel rapporto di Save the Children, l’accesso al mercato del lavoro delle mamme dipende dalla possibilità di trovare un equilibrio soddisfacente tra la loro vita personale e quella lavorativa. Su questa sfida grava fortemente la diversa distribuzione del lavoro familiare tra uomini e donne.
Uno squilibrio che è ben rispecchiato dall’indice di asimmetria del lavoro familiare in Italia, che è pari al 71,9% per le coppie in generale, e che sale a 72% per quelle sposate con figli, con una maggiore incidenza al sud (75,8%).
Guardandosi intorno in cerca di sostegno, le mamme con un figlio dagli 0 ai 3 anni trovano per lo più l’aiuto dei nonni, nel 51,4% dei casi, quello di un asilo nido, 38,8%, di una colf, baby-sitter o badante (4,2%) o di altri familiari (2,5%), e solo nel 3,3% dei casi quello del compagno o del marito. La prevalenza dei nonni nel sostegno alle mamme, non è però risolutivo: molte sono quelle che non possono contare su di loro, e questo tipo di aiuto è destinato ad assottigliarsi sia per effetto dell’aumento dell’età media delle madri che per il prolungamento dell’età lavorativa dei nonni stessi. Inoltre, bisogna considerare che il 29,7% delle mamme lavoratrici che hanno un figlio 0-3 anni che non frequenta l’asilo nido desidererebbero che non fosse così, e indicano come maggiori ostacoli la retta tropo cara (50,2%) o la mancanza di posti (11,8%). La presa in carico tra 0-3 anni degli asili nido e dei servizi integrativi e innovativi per la prima infanzia in Italia è infatti ferma al 13%, con il picco positivo in Emilia Romagna (26,8%) e il dato peggiore in Calabria (2,1%). Uno scenario desolante che cambia però radicalmente per i bambini dai 4 ai 5 anni, che nel 95,1% dei casi frequentano la scuola dell’infanzia.
Save the Children