Mediterraneo da scoprire. Mamma li Turchi: storia e leggenda del calabrese Occhialì

MEDITERRANEO DA SCOPRIRE. Mamma li Turchi!

di Pino Tassi

Immaginate che Giorgia Meloni e Matteo Salvini, invece di sbarcare a Cutro per il grande Consiglio delle figuracce, fossero sbarcati qualche chilometro  più in là  e gli si fosse parata davanti una statua con un mezzo busto di un baffuto corsaro saraceno. Immaginate la fifa dei due, la paura avrebbe fatto novanta e come nel film di Troisi e Benigni “Non ci resta che piangere” avrebbero concluso di trovarsi anche loro in quel 1492, qualche anno dopo e qualche latitudine più indietro.

Immaginate Meloni e Salvini ai tempi dei Saraceni in qualche paese barbaro. Già sento il loro grido disperato: mamma li Turchi. Nulla di tutto questo, siamo invece a Isola Capo Rizzuto dove  abbiamo Piazzetta Uccialì con al centro la statua d i un comandante saraceno Uluc Ali, più comunemente definito Occhialì. Chi era Uluc Ali’ o Uluj Ali o Uccialì o Luchalì o Occhialì? Era un giovane calabrese rapito dai corsari in una delle tante spedizioni lungo le nostre coste. Attraverso la sua storia si può capire e leggere la Calabria e il Mediterraneo e cosa sono i popoli che si affacciano sulle sue rive.

Per uscire dalle minchiate che vengono fatte circolare  tipo : “blocco navale”,“aiutiamoli a casa loro”, “morte ai mercanti di morte nel globo terracqueo”, “non devono partire”, vi consiglio di leggere il bel  libro Il grande Ammiraglio, storia e leggenda del calabrese Occhialì, cristiano e rinnegato che divenne re” di Enzo Ciconte, storico calabrese, edito da Rubbettino. Il vero nome di Occhialì era Franco Cardini, un giovane di Isola, che un bel giorno del 1536, all’età di 14 anni, la sorte lo fece cadere  prigioniero di una delle tante scorribande del corsaro ottomano Barbarossa. Erano tempi tormentati, già allora era in atto uno scontro tra le potenze marinare dell’Occidente, Francia e Spagna, grandi imperi, ma anche Venezia, Genova, Pisa, Amalfi che avevano un ruolo  importante  come forza militare e commerciale. Per semplificare la storia si può dire che fu il primo scontro tra le potenze commerciali dell’epoca quelle occidentali e quella ottomana , l’impero turco che si estendeva fino a Tripoli, Algeri e Damasco. Il centro di quel conflitto fu il  mediterraneo e la Calabria vi si trovò in mezzo.

Ciconte dà una bella descrizione del teatro di confronto e scontro: “Il mare è uno dei protagonisti principali di queste pagine: il mar Mediterraneo che ha affascinato poeti, cantastorie, studiosi, cartografi, marinai, mercanti, uomini di Stato, diplomatici… È un mare unico al mondo, luogo di antiche civiltà e di insediamenti umani che hanno origine nella notte dei tempi; è una vasta area di commerci, di guerre e di epiche battaglie che hanno cambiato il destino di nazioni, di principi e di re, oltre che della povera gente che di solito non lascia molte tracce del suo passaggio perché sono in tanti a pensare che non conti niente; e dunque non deve sorprendere che nessuno si sia mai occupato degnamente della vita e della condizione di questa povera gente, che è considerata buona come carne da cannone o per essere messa ai remi, ma non per essere raccontata e descritta nella vita d’ogni giorno, nelle speranze e nei sogni, nei desideri e nella dura lotta per la sopravvivenza… Cristiani e musulmani si fronteggiano ovunque; a lungo, con odio e con implacabile determinazione.

Un mare di pace e di guerre, di amori e di odi, di rancori e di inimicizie, di invidie e di speranze, di interessi contrapposti che s’inseguono per secoli sulle onde e lungo le coste, di sogni struggenti, di leggende e di miti visionari, di favole che spalancano le porte dell’immaginazione. Il passato, ma anche il futuro è impastato di tutto ciò. La sosta nei paesi che s’affacciano sul mare, teatri di tragedie e di grandi trasformazioni un tempo inimmaginabili, è sempre istruttiva e va fatta, almeno una volta nella vita”.

Il Mediterraneo  fu la location principale di questo scontro di civiltà e soprattutto economico. La differenza con oggi è che allora  lo scontro era per conquistare e controllare il mediterraneo per affermare la propria potenza e il proprio commercio. Nessuno era costretto a fuggire dalla propria terra per la miseria e per la fame. La guerra era totale e anche trasversale. I pirati e i corsari assalivano le nostre coste per predare  derrate agricole, frumento, beni essenziali e per fare schiavi da vendere nei mercati del Nord Africa. Ma lo stesso facevano  le spedizioni occidentali che  predavano le coste nord africane per fare   schivi da vendere anch’essi in Occidente. Non esisteva una chiara linea di demarcazione tra  pirateria e commercio; del resto, lo stesso trasporto di merci via mare era un’impresa di vita o di morte, motivata non tanto dal desiderio d’avventura ma dal guadagno economico.

La Calabria, allora come oggi, si trova  coprotagonista della storia. Le popolazioni rivierasche della Calabria convivevano con la paura di vedere arrivare all’orizzonte i galeoni dei pirati. Sempre Ciconte scrive: “Tale situazione durò ancora a lungo nel tempo perché le coste molto estese della Calabria si trovarono sprovviste di difese efficaci in grado di proteggere le popolazioni rivierasche.. Paura e insicurezza diventarono permanenti in quelle comunità; perciò gli abitanti di quei luoghi erano abituati a confidare solo su loro stessi e poiché nessuno dei governanti riusciva a proteggere in modo duraturo i loro insediamenti sceglievano la via di riparare nell’entroterra e costruire lì i paesi che dalle colline s’affacciavano sul mare ed erano in grado di vedere l’avvicinarsi di vele nemiche per prendere in tempo la via dei boschi, quella che portava in cima alle montagne, ancora più sicure delle colline”.

La prima considerazione  che la storia ci fa trarre è che allora era uno scontro tra potenze economiche, culturali e commerciali. Nonostante le atrocità, le guerre nessuno parlava di muri e di aiuti a casa loro. Era tutto un guazzabuglio dove il confine tra predoni, corsari, stati, era labile e attraversava i vari fronti.

Nessuno era costretto a fuggire dalle proprie terre, ci si spostava nelle zone interne, oggi invece si fugge dalle coste del Nord Africa e dell’Oriente per la miseria, la fame e l’instabilità politica in cui noi Occidentali abbiamo fatto cadere quelle popolazioni. Il Mediterraneo che allora era un mare centrale per gli scambi economici e per il predominio militare,  oggi  è  diventato un mare marginale ma che potrebbe riacquistare importanza se le i paesi rivieraschi collaborassero.

La seconda considerazione amara va sulla Calabria e sulla distruzione del suo territorio e dei suoi costumi. Certo nella Calabria di oggi si sta meglio, le nostre coste non sono più infestate dalla malaria, ma siamo certi che abbiamo trattato meglio le nostre risorse e il nostro territorio?  

Come non condividere ciò che scrive Enzo Ciconte: “Questi insediamenti arroccati in collina, pieni di storia e di ricordi, popolati per secoli, sono stati in gran parte abbandonati solo pochi decenni fa in seguito alle nuove necessità di costruire in riva al mare, spesso senza regole e criterio, saccheggiando territori e coste, rendendo orribili gli arenili, degradando panorami e orizzonti fatati, la cui vista per chi guardava da terra un tempo era sgombra dal cemento. Nell’arco di pochi decenni le frazioni a mare sono diventate il doppione dei paesi arroccati in collina e si sono trasformate, di fatto, nella sede principale dopo lo svuotamento avvenuto degli antichi centri storici collinari. Solo da qualche anno a questa parte si sta cercando di ripopolare questi piccoli borghi abbandonati.

Occhiali, giovane schiavo, divenne musulmano e uno dei capi militari dell’impero ottomano che combattè anche a Lepanto facendosi valere nonostante la sconfitta ottomana  sul campo. In realtà molti storici datano l’inizio della fine dell’impero veneziano sull’adriatico proprio da quella data e dalla conquista degli spagnoli, portoghesi, olandesi e inglesi di nuovi mercati al di là dell’Oceano.

L’amara attualità della vicenda sta nell’epilogo del libro di Enzo Ciconte: “La vicenda storica di Occhialì si consuma tutta nel Mediterraneo, un mare solcato da navi che trasportano merci e che alimentano commerci e ricchezza. Altre navi, invece, trasportano soldati in armi che portano guerre e distruzioni. Sono tanti i morti, lo si è visto, che sono precipitati nei gorghi profondi del mare. Ma sono morti in battaglia, sono uomini che si scontrano a viso aperto, armi in pugno, per difendere o per aggredire. Una guerra combattuta da entrambi i fronti con onore e anche con le astuzie, i crimini, le maniere selvagge propri di quel tempo. Sono tanti i morti del passato le cui modalità stridono con quelle recenti. Sono morti molto diversi da quelli che negli ultimi anni – ancora oggi! – sprofondano nel mare trovandovi una fine atroce: sono innumerevoli anche donne e bambini, e tanti uomini che non sono armati se non della forza della disperazione che la guerra e la fame produce, persone che muoiono annegate perché nessuno le ha soccorse. Sono morti che offendono la nostra coscienza e dignità, e che sfregiano irrimediabilmente il volto della nostra civiltà”.

Per banalizzare si potrebbe dire che allora si lottava per la conquista del mondo conosciuto, oggi per la salvezza della vita.

Per concludere con Ciconte: “La forza di Occhialì è proprio in questo conflitto-attrazione degli opposti. Parla agli uni e agli altri, senza contraddizioni; almeno apparentemente. La Calabria ha dimenticato questo suo figlio e la sua storia ha avuto un andamento carsico: s’inabissa per molto tempo per poi riemergere all’improvviso quando uno meno se lo aspetta. La Turchia ha di lui un ricordo più solido e duraturo, perché quello che ha fatto non è stato dimenticato e la sua tomba continua a esser visitata, meta di pellegrinaggi e di curiosi. Pensiamo di sapere tutto di lui e della sua storia, e poi invece ci accorgiamo da studi recenti che molte sono le cose che non conosciamo.

È attuale Occhialì, in questo nostro mondo incerto e pencolante, contornato di guerre e di paure reali e fittizie, avvinghiato in conflitti religiosi che sembrano irrisolvibili, dietro i quali spesso si nascondono politiche e interessi di Stati, logiche di potenza.

La storia di Occhialì è anche la storia del cozzo e della convivenza tra culture e religioni diverse, che si contrappongono con le armi, ma che trovano anche il modo di coabitare, di vivere insieme, tentando, con mille sforzi e andando controcorrente, di sopire contrasti e conflitti sanguinosi”.

Per concludere, se la Meloni e Salvini fossero capitati in quella Piazza di Isola Capo Rizzuto non avrebbero capito un cazzo e si sarebbero messi ad urlare: “Mamma li Turchi.”

Tutte le citazioni sono tratte da : Il grande Ammiraglio, storia e leggenda del calabrese Occhialì, cristiano e rinnegato che divenne re” di Enzo Ciconte, edito da Rubbettino.