Nando Dalla Chiesa: “Le navi dei veleni. L’offesa mafiosa ai mari e il capitano De Grazia che vi si oppose”

Nando Dalla Chiesa nella sua rubrica “Storie Italiane” su Il Fatto Quotidiano scrive questa settimana di Andrea Carnì, giovane filosofo calabrese che si è trasferito a Milano per fare il dottorato. Come potrete leggere nell’articolo di Nando Dalla Chiesa che riportiamo sotto, Andrea Carnì ha prima fatto la sua tesi sulle navi dei veleni in Calabria, poi ha scritto un libro “Cose storte”, e adesso ha realizzato una rappresentazione teatrale che è stata presentata nella sala della Camera del Lavoro a Milano.

Siamo certi che leggendo l’articolo di Dalla Chiesa il Presidente Roberto Occhiuto proporrà l’inserimento del lavoro teatrale di Andrea Carnì in uno dei tanti “grandi  eventi”  finanziato dalla Regione Calabria. Siamo altrettanto certi che il presidente Anton Giulio Grande  della Calabria Film Commission ne patrocinerà e finanzierà la trasposizione cinematografica. Così come che il grande Gian Vito Casadonte ospiterà Andrea Carnì al Magna Graecia festival con i dovuti onori e premi al seguito. E che il libro sarà presentato nei tanti premi letterari che si celebrano in Calabria. In più siamo certi che anche i tanti sindaci di grandi, medi e piccoli comuni intraprenderanno iniziative simili per far conoscere la storia di Natale Di Grazia morto nel cercare di fare luce su un fenomeno delenquenziale e mafioso che ha arrecato tanti danni alla nostra terra, all’ambiente e alla salute di tanti calabresi.

Far cadere questa iniziativa nel silenzio e non darne il giusto spazio e visibilità in Calabria sarebbe l’ennesimo prova dell’inettitudine dei nostri amministratori pubblici, a partire dal Presidente Roberto Occhiuto.

Le navi dei veleni. L’offesa mafiosa ai mari e il capitano De Grazia che vi si oppose. 

Di Nando Dalla Chiesa

 Ogni tanto capita. Succede che un professore chieda pubblicamente scusa a un suo allievo. Su queste “Storie italiane” le scuse le riceve (da parte mia) Andrea Carnì. E vi spiego perché. Andrea è un giovane filosofo calabrese venuto a Milano a fare il dottorato in Studi sulla criminalità organizzata. Dove tra le mie iniziali perplessità ha fatto una tesi su un tema storico un po’ speciale, quello delle navi dei veleni. Ossia delle navi piene di sostanze tossiche o nucleari affondate in mare per liberarsi senza costi (per sé) degli inferni che si portavano in pancia. Criminalità stratosferica. Pare andassero di moda soprattutto negli ultimi decenni del secolo scorso. Quando grazie a imprese italiane e straniere e perfino ad agenzie statali, nacque il fenomeno delle “navi a perdere”. Spesso con il consenso attivo di gruppi mafiosi, ’ndrangheta soprattutto, grazie alle insenature proibitive e ai litorali deserti (e all’omertà di ferro) della Calabria.

Di queste navi ne sono state calcolate, tra il 1986 e il 1993, più di una ventina. Di esse si è scritto, su di esse si è indagato. È uno dei capitoli più infami e sconosciuti nella storia della Repubblica. Ne fa parte la vicenda della Rigel, bandiera maltese, affondata al largo della Calabria nel 1987, in cui una volta di più troviamo uomini dei servizi segreti e morti misteriose.

Come quella dell’eroe purtroppo di turno che fa il suo dovere indagando, il capitano Natale De Grazia, ufficiale della Capitaneria di porto di Reggio Calabria. Ebbene, il giovane Carnì venne a sapere di questa storia alcuni anni fa. E non se ne è mai dimenticato. Ne ha letto, si è documentato, ci ha scritto a sua volta un libro, Cose storte. A ogni piccolo fondo di ricerca in arrivo, suggerisce timidamente se sia possibile usarlo per le navi dei veleni. Purtroppo nessuno assegna fondi a una università per sapere la verità su questi casi. La ricerca l’ha fatta allora in proprio. E ha tirato fuori un reading teatrale, come se la materia fosse in grado quasi quarant’anni dopo, tra due guerre e tutto il resto, di accendere le passioni di un pubblico che non se ne è mai scaldato più di tanto.

Ci ha scommesso avendo un appoggio solo: alcuni amici della Cgil lombarda, disposti a concedergli la sala della Camera del lavoro di Milano e a fare un po’ di promozione tra gli iscritti. Appuntamento alle 14, con dibattito introduttivo sulla criminalità ambientale. C’ero, ovviamente. Ma temendo un fiasco di pubblico per il reading avevo anche discretamente sondato qualcuno accanto ad Andrea perché verificasse bene le condizioni di contesto: chi ci sarà alle due, a parlare di un caso sconosciuto di quasi quarant’anni fa? Perché rischiare?

Andrea è salito sul palco con un gilet verdino, accompagnato da due suonatori suoi conterranei. E ha incominciato il racconto davanti a una platea di nemmeno cinquanta persone progressivamente un po’ rinfoltita. Teso, serrato. Nomi sconosciuti, fatti lontani, musica inizialmente un po’ asintonica rispetto al testo, e tuttavia un’emozione crescente. Finché, grazie al timbro della voce, è emersa la potenza della storia, l’offesa incommensurabile di una catena di crimine verso il mare e la gente di Calabria. Da una parte il solito putrido grappolo di potere, dall’altra una persona onesta, il capitano Natale De Grazia, che indaga tenacemente perché le “cose storte” non gli piacciono.

Fino alla sua morte per avvelenamento, negata dai referti ufficiali, ma avvalorata dalla commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti. Andrea chiede dal palco verità per una persona che non ha mai conosciuto, getta nel racconto l’orgoglio calabrese, perché davvero se un calabrese è antimafioso nessuno è più antimafioso di lui. Alla fine una standing ovation. Non da stadio, certo. Ma carica di ammirazione, a partire da me, verso chi è stato capace di chiedersi sul serio: ma io che cosa posso fare? E l’ha fatto.