‘Ndrangheta a Roma, un vibonese e un direttore di banca al “servizio” della cosca

Emergono elementi significativi, anche in relazione alle estensioni della ‘ndrangheta vibonese a Roma, dall’inchiesta Propaggine che ha portato all’arresto di 43 persone contro un locale di ‘ndrangheta operativo a Roma. Tra i profili emersi, c’è quello di Pasquale Valente, finito dietro le sbarre. L’uomo, originario di Vibo e con alle spalle precedenti per traffico di droga, risiede a Roma dai primi anni ’90 e rappresenta un soggetto di particolare interesse per gli investigatori. Basti leggere le intercettazioni per rendersene conto: “Vincenzo, mi segui – dice Valente in una conversazione finita agli atti – che per me non è un fratello te l’ho detto, è qualcosa che va oltre”. Fortissimo, ad esempio, il legame con il boss Vincenzo Alvaro grazie al quale sarebbe riuscito ad acquistare un noto ristorante di Roma. Di lui parla in una intercettazione Francesco Calò insieme all’altro boss della locale romana, Antonio Carzo: «Lino, quello del ristorante…che è brutto forte (…) glielo fece comprare Vincenzo… glielo ha fatto prendere Vincenzo, intascava sopra i tremila euro di…pure qualcosina in più di incasso giornaliero”.

A Pasquale Valente era stata conferita la dote della Santa. «Lino? L’alieno (…) ha la santa, gliel’abbiamo data ora (…) gli è bastata». Particolari, poi, i soprannomi affibbiati a Pasquale Valente: oltre a “Lino”, era noto anche come “Cagnolino” e “l’Alieno”. E ancora, secondo gli inquirenti, dal 2001 aveva messo tutte le sue conoscenze a disposizione degli Alvaro. Basti pensare ai suoi contatti con un direttore di banca, Fabio Marsili, finito ai domiciliari. Pur conoscendo -secondo gli inquirenti -la caratura di Vincenzo Alvaro, gli aveva permesso, infatti, di aprire conti per tre società, ZIO MELO s.r.l., CALA ROMA s.r.l. e STATION FOOD s.r.l.., nella sua filiale. Non solo, il direttore della banca informava Pasquale Valente di di una grossa indagine che era venuto a conoscere “dai piani alti della banca”.