‘Ndrangheta a Rosarno: minacce al medico per evitare il carcere a Domenico Arena e pressioni sull’ex moglie di Rosario

Un medico costretto sotto minacce a redigere un falso certificato medico per consentire ad un indagato di eludere il carcere e una cooperativa che per 18 anni è stata costretta a pagare quello che era diventato, di fatto, uno stipendio mensile pur in assenza di un rapporto di lavoro. Sono due episodi contestati dalla Dda di Reggio Calabria a Domenico Arena, di 69 anni, già condannato in via definitiva per associazione mafiosa, e suo figlio Rosario, di 44, ritenuti vicini alla cosca di ‘ndrangheta Pesce di Rosarno e arrestati stamani dai carabinieri del gruppo di Gioia Tauro in esecuzione di un’ordinanza del gip Tommasina Cotroneo su richiesta del procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri. Per entrambi l’accusa è estorsione e violenza privata, aggravati dalle modalità mafiose. Nell’inchiesta sono indagati altri due soggetti dello stesso nucleo familiare: la figlia e sorella degli arrestati, Angela Arena (46) e il marito di lei Giuseppe Valenzise (53).

Oltre ad un rodato sistema estorsivo attraverso il quale la famiglia Arena da 18 anni teneva sotto scacco un’impresa agricola di Candidoni (il controllo andava dai proventi, alle assunzioni, alla stessa politica aziendale), le indagini hanno permesso di portare alla luce un altro “filone”.

Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali, la Dda ha scoperto anche le numerose minacce subite dal professionista con lo scopo di ottenere un certificato che sarebbe servito per eludere il carcere e usufruire del beneficio degli arresti domiciliari. Alla vittima era stato chiesto di redigere una relazione che attestasse l’impellente necessità per Domenico Arena, all’epoca detenuto, di effettuare un intervento chirurgico ed il successivo trattamento di riabilitazione neuro-motoria. Il professionista, raggiunto anche mediante l’intercessione di un compagno di cella di Arena e della rispettiva consorte, è stato più volte ingaggiato, sia telefonicamente che di presenza, affinché realizzasse, in tempi brevi e con modalità pedissequamente definite dal congiunto ristretto, l’attestazione necessaria ad ottenere la misura alternativa.

Nelle carte dell’inchiesta sulla cosca Pesce di Rosarno, che stamattina ha portato all’arresto di Domenico e Rosario Arena, padre e figlio, ci sono le minacce subite dall’ex moglie di quest’ultimo che si è rivolta ai pm della Dda di Reggio Calabria a cui ha raccontato le angherie subite dalla famiglia del marito dopo che ha deciso di interrompere la loro relazione. Secondo gli inquirenti, mentre era ancora detenuto, attraverso i figli, Rosario Arena avrebbe detto all’ex moglie che, una volta scarcerato, “avrebbe sistemato tutto”. Suo padre Domenico Arena, invece, utilizzando un falso profilo Facebook, avrebbe pubblicato frasi indirizzate alla donna sulla cui bacheca il suocero avrebbe scritto “dovrai morire di fame” e, successivamente, in uno scambio di messaggi “le offriva la somma di 100mila euro se fosse tornata a vivere con il figlio”. “Della famiglia Arena – ha dichiarato la vittima ai pm – so che non hanno mai lavorato onestamente. In generale già durante la mia vita matrimoniale ho subito numerose volte minacce del mio ex suocero e dal mio ex marito, che mi hanno più volte detto che per me era già pronta la ruspa, volendo intendere che mi avrebbero appunto uccisa e seppellita.

Quando ho lasciato Rosario (l’ex marito, ndr), il 13 novembre 2018, Arena Domenico, il mio ex suocero, mi ha detto che sarebbe venuto sotto casa, avrebbe distrutto tutto e ci avrebbe ucciso, infatti ho denunciato questo evento presso la tenenza di Rosarno”. La vita matrimoniale della vittima – si legge nell’ordinanza – “è stata improntata a pressioni psicologiche continue, in quanto il suocero ed il marito pretendevano che lei, come le altre nuore, prendesse parte attiva agli affari illeciti della famiglia, tra cui il traffico di stupefacenti, e che avesse con il suocero atteggiamenti sessuali promiscui e confidenziali. Ai pm la donna ha dichiarato: “Ricordo che mio suocero proponeva a noi donne della famiglia di occuparci della coltivazione di sostanza stupefacente. Mio marito mi chiamava ‘pentita’… mi alzava le mani addosso, mi abbandonava 3-4 notti, e diceva che se ne andava per colpa mia”.